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Francesco, Faber e i raggi del buon Dio

La pandemia vissuta in una baraccopoli alla periferia di Buenos Aires. Esce in formato ebook il diario scritto da un volontario italiano, Alver Metalli. L’introduzione è di papa Bergoglio, che tra le righe cita anche una delle canzoni più belle e “dissacranti” di Fabrizio De André

di Lucio Brunelli

“Ci farà bene leggere questo Diario” scrive papa Francesco nella prefazione all’ebook Quarantena di Alver Metalli, pubblicato dalle edizioni San Paolo: appunti, storie, pensieri sulla pandemia vissuta in una baraccapoli alla periferia di Buenos Aires. L’autore, un giornalista e scrittore italo-argentino, discepolo spirituale di don Giussani, sei anni fa scelse di lasciare la sua bella casa in un quartiere residenziale della capitale per andare a vivere a La Carcova, una malfamata “villa miseria” dove in spirito di servizio dà una mano a don José Maria di Paola, più noto come padre Pepe, uno di quei sacerdoti di Buenos Aires dediti alla cura dei più poveri ai quali, scrive il Papa, “voglio tanto bene”.

Il Diario racconta storie di dolore ed emarginazione insieme all’opera quotidiana di carità della comunità cristiana per lenire gli effetti micidiali del Covid19 sulla popolazione. Il lockdown ha significato infatti anche la fine dei lavoretti precari che fornivano un minimo di reddito alla gente del posto, a cui ora mancano i mezzi per assicurare il cibo ai propri familiari. La parrocchia di san Juan Bosco, contando su volontari tutti del posto, riesce a fornire 2500 pasti al giorno e un ricovero sicuro per gli anziani, i più vulnerabili al virus, per limitare il rischio contagio. Quello di Metalli è un racconto struggente, scritto con la penna sensibile e mai retorica di uno dei corrispondenti più apprezzati dall’America latina negli ultimi decenni.

Per esprimere il senso della esperienza cristiana narrata nel Diario il Papa cita una delle canzoni più ‘dissacranti’ di Fabrizio de André, La Città vecchia. Queste le parole di Francesco nella prefazione:

I versi di un cantautore italiano, Fabrizio de André, raccontano di quartieri malfamati dove “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi” perché troppo impegnato a “scaldar la gente di altri paraggi”. Ecco, questo libro ci fa invece vedere come – attraverso il dono della testimonianza – non ci sia zona, per quanto oscura, dove un raggio del buon Dio non arrivi a riscaldare qualche cuore e illuminare esistenze altrimenti invisibili.

Credo sia la prima volta che un pontefice citi in un suo scritto o discorso dei versi del cantautore ligure; ateo, anarchico, arrabbiato con Dio a cui in questa canzone rimprovera la latitanza dai quartieri più miserabili. Quartieri di Genova dove Fabrizio, giovanissimo, andava a cercare valori alternativi al perbenismo borghese della sua famiglia benestante e politicamente corretta.

La canzone, uscita nel 1965, rubava il titolo a una poesia di Umberto Saba ambientata nei vicoli della zona portuale di Trieste. Le assonanze sono tante: «Qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega […] sono tutte creature della vita e del dolore», dice Saba che aggiunge: «s'agita in esse, come in me, il Signore». De André invece punta il dito contro il Padreterno: «Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldare gente d'altri paraggi».

Un incipit che trae ispirazione da una canzone del poeta francese Jacques Prevert, anche lui di famiglia borghese, come Fabrizio diventato anarchico e fieramente ateo: «Il sole del buon Dio non brilla dalle nostre parti, ha già troppo da fare nei quartieri dei ricchi» (Embrasse moi, 1946). Era il rifiuto, provocatorio, dissacrante, di un cattolicesimo di facciata che questi giovani ribelli identificavano a torto o a ragione con la morale borghese delle classi agiate. Lontano quindi dai dolori e dalle miserie delle persone ai margini della società. C’era forse molta posa, da intellettuale scapigliato e ‘maledetto’, in questo rivendicare un ateismo che oggi è diventato un fenomeno di massa e non scandalizza più nessuno. Ma c’era anche, in De André, una nostalgia profonda di cristianesimo, un fascino mai negato per la figura di Cristo (“il più grande rivoluzionario della storia”).

Pochi lo sanno ma negli anni Sessanta la Radio vaticana trasmise tre canzoni “religiose” di Fabrizio che erano state censurate dalla Rai. Lo raccontò lui stesso, in un’intervista a Bolero apparsa nel mitico maggio 1968, mentre a Parigi s’incendiava la ricolta studentesca. «È una storia» racconta De André «che sembra quasi inverosimile. Un giorno mi venne recapitata una lettera della Pro Civitate Christiana. Quando la lessi, quasi non credevo ai miei occhi. Paolo Scappucci, infatti, mi avvertiva che aveva avuto modo di ascoltare alcuni miei dischi e che gli erano piaciuti, tanto che li avrebbe messi in onda in una trasmissione domenicale della Radio Vaticana. Più tardi ricevetti un’altra lettera nella quale mi specificava quali canzoni erano state trasmesse e come erano state presentate. Le canzoni in questione erano: Si chiamava Gesù, Preghiera in gennaio e Spiritual. Tutti pezzi regolarmente censurati dalla radio-televisione. Non puoi immaginare quanto mi fece piacere”.

Non so come e quanto Francesco abbia avuto modo di conoscere i versi di André. Ma nella prefazione a Quarantena, prova a entrare in dialogo con lui. Non sembra sconvolto dall’accusa mossa a Dio. D’altra parte, non è solo la presenza e la testimonianza dei cristiani che possono rendere visibile “il buon Dio” nelle tante ‘città vecchie’ del pianeta? Il Diario di Alver Metalli racconta di una presenza, in un quartiere dove, prima dell’arrivo di padre Pepe, poteva sembrare davvero che il calore di Dio non scaldasse quelle vite dimenticate. Francesco può quindi affermare con certezza tranquilla, senza ricorrere ad argomenti teologici ma sulla base di un onesto resoconto di realtà, che il sole del buon Dio dà i suoi raggi oggi a “La Carcova” e in quei luoghi più bui dell’umanità dove “grazie al dono della testimonianza” Cristo torna a vivere.


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