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Nella disparità di genere la violenza affonda le sue radici

Pubblicato il documento della task force di Donne per un nuovo Rinascimento, ma il testo non convince: «Il documento si articola intorno a un unico modello di donna, la madre di famiglia, disconoscendo la diversità e la libertà di scelta che dovrebbe stare alla base della vita di tutte le donne», dice Antonella Veltri, presidente di Di.Re - donne in rete contro la violenza. «E nulla si dice delle donne di origine straniera, migranti stabili, ma anche richiedenti asilo e rifugiate, che a tutti gli effetti sono donne che vivono in questo paese»

di Anna Spena

L’emergenza Coronavirus ci ha messo davanti tutte le falle di un sistema che non funziona, quello italiano è un welfare fragile. In questi mesi a tornare al centro del dibattito pubblico è stata anche la totale assenza di politiche di genere adeguate e la terribile malattia di cui soffre questo Paese: la violenza sulle donne. L’invito lanciato negli scorsi mesi #iorestoacasa infatti non ha tenuto conto che l’isolamento in casa è il “sogno” dell’uomo violento. Ne abbiamo parlato in questo articolo. E in Italia l’80% della violenza sulle donne si consuma proprio tra le mura domestiche. Lo scorso aprile ha preso il via la task force “Donne per un nuovo Rinascimento”, voluta dal ministro per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, per elaborare idee e proposte per il rilancio sociale, culturale ed economico dell'Italia dopo l'emergenza Covid19. Il 25 maggioè stato pubblicato il primo documento di analisi e di proposta prodotto dal gruppo di lavoro “Donne per un nuovo Rinascimento”, ma questa prima analisi non convince. «Il GREVIO, il Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa», dice Antonella Veltri, presidente di donne in rete contro la violenza, «nel suo Rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia, ha segnalato esplicitamente come in Italia si stia riaffermando prepotentemente una visione iper-tradizionale delle donne come mogli e madri, alle quali al massimo devono essere proposte misure per conciliare lavoro di cura e occupazione fuori casa. Questa immagine di donna si legge purtroppo anche in controluce nel documento delle Donne per un nuovo Rinascimento. Non aver tenuto conto delle donne in tutta la loro diversità. Nulla si dice delle donne di origine straniera, migranti stabili, ma anche richiedenti asilo e rifugiate, che a tutti gli effetti sono donne che vivono in questo Paese. E Non nominare la violenza in un documento del genere, in una fase storica in cui c’è un così forte desiderio di cambiamento, significa non riconoscerne la natura strutturale nel contesto sociale e culturale patriarcale in cui viviamo».

Qual è lo stato dell’arte rispetto al fondo di 30 milioni – risorse ordinarie già destinate nel 2019 al Piano nazionale antiviolenza e quindi non misure straordinarie come l’emergenza coronavirus avrebbe richiesto- sbloccati dal governo per contrastare l’emergenza della violenza sulle donne? (Ne abbiamo parlato in questo articolo)
Al momento nessuno dei centri antiviolenza della rete D.i.Re ha ricevuto questi fondi, anche se una parte delle Regioni ha attivato le procedure, che non sono le stesse per tutti i territori, cosa di cui avevamo allertato la Ministra chiedendole, eccezionalmente, un trasferimento diretto dallo Stato ai Centri antiviolenza. Alcune regioni hanno convocato i Tavoli interistituzionali per avviare le modalità di assegnazione dei fondi, altre hanno attivato il trasferimento dei fondi ai Comuni, altre ancora non hanno mosso passi. Ogni territorio ha un suo governo che inevitabilmente e purtroppo vive di passaggi che rallentano l’arrivo delle risorse ai Centri. Si tratta di risorse ordinarie riservate al funzionamento di centri antiviolenza e case rifugio di cui una parte, secondo quanto stabilito dalla Ministra per le Pari opportunità il 2 aprile, andava usata “prioritariamente” per l’emergenza Covid. Uno “sblocco” di fondi, così presentato all’epoca, di cui ancora i centri non hanno goduto gli effetti. D.i.Re sta monitorando da vicino la situazione, per assicurare che i centri ricevano effettivamente tali risorse con iniziative su misura dei fabbisogni dei centri antiviolenza a livello territoriale.

Di per sé una task force “Donne per un nuovo Rinascimento” è un'iniziativa valida?
È dai tempi della Conferenza mondiale sulle donne di Pechino, di cui ricorre quest’anno il 25° anniversario, che il movimento delle donne chiede a gran voce quello che si chiama gender mainstreaming, ovvero l’inserimento di un punto di vista di genere in tutte le politiche. Questo si ottiene anche inserendo le donne – in parità con gli uomini – in tutte le compagini istituzionali e avendo cura che tali donne siano portatrici di una analisi di genere applicata al loro campo di interesse, sia esso il lavoro, la salute, la scuola. Questo non è avvenuto per l’emergenza Covid e la creazione di questa task force separata dal resto degli esperti – poi diventanti anche esperte, ma solo dopo le proteste delle donne – è stata senz’altro una iniziativa che andava a colmare un vuoto, ma il cui risultato al momento resta, appunto, separato – e anche poco visibile. E questo è un danno per tutte le donne.

Una task force solo composta da sole donne invece di appianare la questione di genere non la alimenta?
Se fossimo in una società equilibrata, in cui donne e uomini collaborano alla pari e definiscono insieme le politiche, si potrebbe fare questa obiezione. Ma viviamo in una società che continua a proporre un ordine delle cose definito su misura degli uomini come l’ordine sociale a cui tutti, comprese le donne, devono adeguarsi. Uno sguardo separato, eccentrico, eppure da sempre rivolto a tutti/e, alla società nel suo complesso, può essere davvero innovativo e portare un contributo che va al di là del riequilibro delle disparità di potere e della decostruzione degli stereotipi di genere che ancora ci condizionano. Va fatto un passo in più per affermare tutte e tutti, donne e uomini, un punto di vista che superi lo squilibrio di potere in atto e che attesti realmente un riequilibrio di genere e non lasci intendere come “pari opportunità” una neutra e inosservata presenza femminile nell’ennesima task force.

La Rete di Di.Re in una comunicazione pubblica ha chiaramente dichiarato: “Continua la mancanza di una trasversale e indispensabile visione di genere in una politica che avrebbe dovuto segnare un punto di svolta, un cambiamento radicale e che invece ripropone stereotipi e luoghi comuni. Altro che Rinascimento”. Quali sono gli stereotipi ricorrenti?
Il GREVIO, il Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa, nel suo Rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia, ha segnalato esplicitamente come in Italia si stia riaffermando prepotentemente una visione iper-tradizionale delle donne come mogli e madri, alle quali al massimo devono essere proposte misure per conciliare lavoro di cura e occupazione fuori casa. Questa immagine di donna si legge purtroppo anche in controluce nel documento delle Donne per un nuovo Rinascimento. Disconoscendo la libertà di scelta delle donne, che potrebbero desiderare altro, proiettarsi in altri ruoli. E se questa è la visione dominante, non stupisce che le ricercatrici che hanno isolato il Covid19 in Italia fossero tutte ancora precarie, oppure che la quota di lavoro domestico che le donne svolgono continua a essere il triplo di quella svolta dagli uomini.

Quali sono le falle di questa prima analisi?
Una sta appunto nel non aver tenuto conto delle donne in tutta la loro diversità. Nulla si dice delle donne di origine straniera, migranti stabili, ma anche richiedenti asilo e rifugiate, che a tutti gli effetti sono donne che vivono in questo paese. Poi aver tenuto fuori dall’analisi la violenza di genere finisce per farla sembrare ancora una volta una cosa “diversa” dagli altri problemi di disparità e discriminazione sessista delle donne che il documento vuole affrontare. Non nominare la violenza in un documento del genere, in una fase storica in cui c’è un così forte desiderio di cambiamento, significa non riconoscerne la natura strutturale nel contesto sociale e culturale patriarcale in cui viviamo. Invece è proprio questo che permette di affrontare le cause che stanno alla sua radice, cosa che D.i.Re chiede da oltre trenta anni, e dunque costruire un vero cambiamento.

Chi resta fuori dall’analisi?
Tutte le donne che non sono mogli e madri, che non devono conciliare lavoro di cura e lavoro fuori casa, tutte le donne e le ragazze che vorrebbero studiare quello che interessa loro, non necessariamente le materie STEM, e trovare un mercato del lavoro che le accolga, tutte quelle che non vogliono essere imprenditrici ma desiderano tempo per sé per l’attivismo sociale, la creazione, l’arte, tutte le donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate. Tutte le donne che hanno subito e subiscono violenza.

Quali sono invece i temi seri che andrebbero affrontati sia per contrastare la violenza sulle donne, che nella maggior parte dei casi avviene tra le mura domestiche, e sia per cancellare le differenze di trattamento e opportunità tra donne e uomini. Da quali azioni concrete bisogna ripartire
Si potrebbe partire dall’analisi della violenza contro le donne come fenomeno strutturale e guardare a ritroso alle sue cause, per lavorare proprio su quelle. Ci troveremmo tutto. E tornare a definire politiche ispirate dalle parole chiave del Programma d’azione di Pechino. Il gender mainstreaming, per esempio, è anche la valutazione ex ante ed ex post delle leggi e politiche, una iniziativa chiesta dalle femministe da decenni e proposta nel documento delle Donne per un nuovo Rinascimento. Ma può funzionare solo se incardinata con autorevolezza nei processi legislativi e dotata di risorse consistenti e competenze di livello. E poi l’empowerment delle donne, che può comprendere anche alcune delle misure proposte dal documento. Ma significa innanzitutto mettere le donne in condizione di agire nella società secondo il proprio desiderio, in libertà, con il riconoscimento pieno dei loro talenti, delle loro competenze, della loro esperienza. Il soffitto di cristallo non va solo scalfito, va rimosso.


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