Famiglia & Minori

Ripartiamo dai bambini: non servono toppe, ma un vestito nuovo

Per Alessandro Rosina, uno dei portavoce dell’Alleanza per l’Infanzia, le due priorità a cui dare subito risposta sono i servizi per l’infanzia (la fascia 0/3 non è coinvolta nemmeno nei centri estivi) e il contrasto alla dispersione scolastica per gli adolescenti. «Le soluzioni contingenti e frammentate sono come le toppe che si mettono ad un vestito sgualcito, che nel complesso risulta sempre fuori misura. Abbiamo invece bisogno del disegno di un vestito nuovo»

di Sara De Carli

Bambini e ragazzi finora sono stati invisibili, con una pressoché totale rimozione della dimensione educativa della crisi. Ma adesso, che fare? Come cambiare le cose? Da più parti si dice che devono essere al centro per la ripartenza, si moltiplicano gli appelli e i manifesti, le agende e le proposte. Alessandro Rosina è uno dei portavoce dell’Alleanza per l’Infanzia: a lui chiediamo di indicarci due priorità.

Professore, quali sono le due cose a cui puntare per far sì che “ripartiamo dai bambini” sia una proposta concreta e credibile?

Questa situazione è davvero sconfortante. Nei periodi normali c’era l’alibi della “coperta troppo” stretta, che non consentiva di mettere in campo politiche a favore delle nuove generazioni. Siamo così diventati un paese con bassa natalità, alta povertà infantile (sia materiale che educativa), elevata dispersione scolastica, record di NEET. Ora sulle nuove generazioni vengono riversate le conseguenze indirette di come è stata gestita l’emergenza sanitaria, con il rischio di pagare un costo insostenibile come combinazione di alto debito pubblico e alta vulnerabilità sociale. Le due priorità sulle quali è necessario trovare subito soluzioni sono, a mio avviso, i servizi per l’infanzia (la fascia non coinvolta nei centri estivi) e il contrasto alla dispersione scolastica per gli adolescenti (aumentata con la chiusura delle scuole e la didattica a distanza). Le carenze sul primo punto hanno ricadute sullo sviluppo socio-educativo dei bambini, ma anche sulla natalità e sull’occupazione femminile. Quelle sul secondo punto vanno ad alimentare il disagio sociale dei giovani e a indebolire fortemente il loro percorso scuola-lavoro. Sono punti sollevati con molta forza anche dal Comunicato dell’Alleanza per l’infanzia a commento delle misure incluse nel decreto Rilancio.

Sono saltati tutti i dispositivi educativi che conoscevamo, anche quelli che parevano intoccabili: questa è anche una grande occasione di innovazione. Una strada da imboccare con decisione, per una nuova stagione educativa, qual è?

Penso che l’opportunità stia proprio nella sfida data dall’emergenza sanitaria a ripensare non solo gli strumenti, ma anche i contenuti e lo stile educativo verso le nuove generazioni. Le possibilità offerte dall’innovazione tecnologica e dal digitale vanno utilizzate, ma vanno anche poste in relazione continua con l’evoluzione dei bisogni educativi (con attenzione alle diseguaglianze), da un lato, e i mutamenti delle modalità di apprendimento, dall’altro. Protocolli epidemiologici da seguire e strumenti tecnologici da adottare funzionano solo in combinazione positiva con i tratti antropologici delle nuove generazioni. La strada per una nuova stagione educativa parte da qui. Ma se lo Stato risponde con scarsa attenzione e scarse risorse e la scuola risponde in difesa cercando di conservare l’esistente, da tale stagione rischiamo di raccogliere solo frutti amari nei prossimi anni.

Il gruppo CRC evidenzia come «non sarà possibile superare questa crisi con risposte a valenza individuale, che di fatto aumentano le disuguaglianze»: da dove ripartire allora?

Servono risposte di sistema che mettano al centro il benessere di bambini e ragazzi. Le soluzioni contingenti e frammentate sono come le toppe che si mettono ad un vestito sgualcito, che lascia coperte in modo disomogeneo le varie parti del corpo ma che risulta nel complesso anche sempre più fuori misura. Abbiamo invece bisogno del disegno di un vestito nuovo che consenta agli interventi di ricucitura di produrre alla fine un abito coerente e che bene si attaglia ad un nuovo modello sociale da costruire, più equo ed efficiente.

Dobbiamo allora partire dal disegno di tale modello, che deve avere alla base il riconoscimento delle nuove generazioni come bene comune su cui investire collettivamente e con tutte le risorse che il paese può mobilitare (pubbliche, private, della cooperazione sociale e dell’associazionismo). Se c’è un insegnamento che la pandemia ci ha dato è che la salute degli altri è anche la nostra salute, che salute ed economia sono legate, che ciò che colpisce gli anziani ha ricadute anche sui giovani. Dovremmo quindi anche capire che formazione e benessere delle nuove generazioni mettono basi più solide alla crescita economica del paese e rendono più sostenibile l’invecchiamento della popolazione.

Un piano per l’educazione di qualità, a partire dall’infanzia e rivolta a tutti, è allora l’impegno principale che dovremmo darci per diventare un paese migliore. Se non arricchiamo di formazione, socialità e cultura le nuove generazioni, l’eredità prevalente sarà quella del debito pubblico in un paese sempre più squilibrato e diseguale.


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