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Nidi e prima infanzia: per ripartire serve fare metissage

I servizi "di prima" non torneranno. La visione pedagogica deve imparare a dialogare con quella sanitaria e organizzativa, in una logica di contaminazione reciproca e non di esclusione. «Innovare d'altronde significa desiderare talmente tanto qualcosa di diverso dall'esistente, che alla fine una via insieme si trova», dice Dafne Guida, presidente di Stripes. Un esempio? L'educatore di condominio o di giardino. I bambini ne hanno bisogno: «già oggi registriamo tante regressioni, frutto della mancanza di spazi di autonomia»

di Sara De Carli

I servizi educativi per la prima infanzia stanno attraversando una grave crisi. C’è la dimensione economica della crisi, con i servizi chiusi dal primo giorno dell’emergenza e nessun cenno di riapertura in vista. E c’è la dimensione pedagogica, perché di fatto, tolti questi servizi, per i più piccoli non c’è stata alcuna continuità di lavoro educativo e pedagogico, essendo la “didattica a distanza” impensabile con loro, benché molti servizi abbiano messo in piedi con creatività modalità nuove di vicinanza con le famiglie e attraverso di esse con i bambini. I nidi a gestione convenzionata o privata, che costituiscono una fetta sostanziale del sistema di offerta in Italia, sono a forte rischio a causa dell’impossibilità di coprire i costi di gestione. Diverse Regioni stanno intervenendo per supportare il sistema e garantirne la sopravvivenza: diversamente, alla riapertura, molti bambini il loto servizio potrebbero non ritrovarlo. Regione Lombardia invece, come emerge dalla panoramica realizzata da Lombardia Sociale, al momento «non destina neanche un euro di risorse proprie al sostegno del sistema d’offerta dei nidi» (il Comune di Milano, con delibera del 8 maggio 2020, ha stanziato 2,5 milioni di euro a sostegno economico dei nidi privati del sistema d’offerta del Comune di Milano).

«Le famiglie sono lasciate solo a doversi inventare strategie di cura e di educazione a fronte di un sistema di offerta che si sta frantumando e al quale difficilmente potranno rivolgersi a settembre. Una assenza di investimenti e strategie programmatorie che si traducono in tre rischi importanti per i prossimi mesi: una riduzione drastica dei posti disponibili nel sistema dei servizi 0/3 in Lombardia; una riduzione drastica delle domande di iscrizione ai nidi, a fronte della consapevolezza diffusa tra le famiglie, della fatica dei servizi educativi, soprattutto privati, a garantire esclusivamente con risorse proprie, le condizioni di sicurezza e salute oggi necessarie; un balzo indietro di vent’anni dei nidi da servizi educativi a servizi di custodia sociale. Al nido arriveranno solo i bambini le cui famiglie si trovano in una condizione di estremo bisogno o necessità. Il nido tornerà a rispondere prevalentemente a un bisogno di custodia e di conciliazione e ne sarà attenuato in modo importante il valore educativo. Uno scenario davvero preoccupante», dice il report di LombardiaSociale.

Dafne Guida è presidente e direttore generale della Cooperativa Sociale Stripes, costituita nel 1989, che eroga servizi in ambito socio-educativo-pedagogico e assistenziale. Con lei proviamo a ragionare sul come ripartire.

Cosa ha significato questa lunga chiusura dei servizi per i più piccoli?
Mancanza di spazi educativi, aumento potenziale delle fragilità, genitori soli da troppo tempo. C’è stato uno sviluppo di pratiche e relazioni virtuali che sono andate bene per un pezzo di strada, ma a lungo andare questo può determinare un impoverimento nelle relazioni. Poi c’è il danno all’economia dei servizi e il danno al lavoro femminile, su due fronti: perché in assenza di servizi sono tipicamente le mamme a rinunciare al lavoro e perché le educatrici nei servizi per la prima infanzia sono in larghissima parte donne. Un cortocircuito. Oltre tutto c’è il tema della legalità, con un incentivo alle figure di accudimento in nero, spesso senza competenze educative. È una società che ha deciso di non investire nel futuro.

Nei servizi per la prima infanzia però è impossibile stare a distanza e non avere contatti. Anche nelle linee guida per l'estate l'assenza dello 0/3 è stata giustificata così…
La riapertura dei servizi educativi per la prima infanzia è un obiettivo primario per il benessere dei bambini ma dobbiamo immaginare servizi educativi che siano contaminati – e non uso il termine a caso – con le politiche sanitarie. Occorre fare con urgenza un lavoro di metissage, non possiamo pensare che la pedagogia sia un mondo a parte e che i servizi o li riapriamo solo seguendo i principi ispiratori della pedagogia o non li riapriamo. Il pensiero educativo e pedagogico deve incontrarsi con quello sanitario e con quello organizzativo. So che non è un approccio popolarissimo, ma dobbiamo riuscire a mettere insieme i punti di vista, fare un esercizio di mediazione pedagogico, così che il modello organizzativo risenta dell’idea pedagogica. Ovvio che dobbiamo stare attenti a non sanitarizzare il nido o il servizio per l’infanzia ma non possiamo nemmeno dire che l’aspetto sanitario non può coesistere con il nido o il servizio per l’infanzia perché tutto il lavoro pedagogico a quell’età si basa sulla relazione corporea.

La riapertura dei servizi educativi per la prima infanzia è un obiettivo primario per il benessere dei bambini ma dobbiamo immaginare servizi educativi che siano contaminati – e non uso il termine a caso – con le politiche sanitarie. Occorre fare con urgenza un lavoro di metissage, non possiamo pensare che la pedagogia sia un mondo a parte e che i servizi o li riapriamo solo seguendo i principi ispiratori della pedagogia o non li riapriamo. Il pensiero educativo e pedagogico deve incontrarsi con quello sanitario e con quello organizzativo. Il pericolo che invece vedo è dare definizioni tranchat e non cercare di far convivere questi aspetti.

Dafne Guida

Il pericolo che vedo invece è dare definizioni tranchat e non cercare di far convivere questi aspetti. Per esempio si può puntare con decisione sulla prevenzione, con i tamponi e con la tecnologia diagnostica ricorrente, si può fare molto nella stabilizzazione dei piccoli gruppi, sul fronte DPI si può ragionare con le università per approntare materiali diversi, per vedere se è possibile avere ausili più leggeri. La mascherina per bambini? Stessa cosa, proviamo a fare ingegnerizzazione, a pensare a materiali curati, con dei musetti di animali… Mi occupo di nidi da 30 anni, so quanto i bambini siano capaci di trasformare in gioco… L’altro aspetto è quello del rendere questi luoghi fisici sicuri dal punto di vista delle procedure di sanificazione, va fatto uno studio su materiali da usare perché alcuni presentano maggiori difficoltà a pulirli… occorre fare una riflessione pedagogica anche sui materiali.

E spiegare bene ai genitori che il rischio zero non esiste.
Prima facevamo un patto di corresponsabilità solo sul piano educativo, domani servirà anche su questo specifico aspetto.

Il nido rischia di diventare per pochi?
Rispetto ai prerequisiti sociali di accesso, ci dobbiamo chiedere chi può venire. Il rapporto di 1 educatore a 3 per i nidi e di 1 a 5 per la scuola dell’infanzia, significa praticamente raddoppiare il personale, con un aumento potenziale dei costi. Vale la pena investirci? Per me sì, perché gli effetti negativi della chiusura dei servizi sono durevoli e lo dico avendo seguito 27 asili nido chiusi, in questi mesi. Noi abbiamo fatto una pedagogia della distanza, abbiamo definito così la DAD, siamo stati vicini alle famiglie, con contatti telefonici quotidiani, video con contenuti ludici e pedagogici, feste di compleanno virtuali per i bimbi, sportello pedagogico online per genitori, open day virtuali per le prossime iscrizioni… ma i bambini hanno bisogno di vivere con i pari. Con questa attività abbiamo intercettato il fatto che la convivenza H24 ha significato farsi domande sulla capacità di essere genitori che stimolano l’autonomia: come fare se sei potenzialmente “chiamabile” ogni 2 minuti? I bambini non hanno spazio potenziale entro cui costruire l’autonomia e proprio questo è stato l’aspetto messo più a dura prova, tant’è che abbiamo registrato tante regressioni: bambini tornati nel lettone, che hanno disimparato a mangiare e sono tornati ad alimenti liquidi, bambini che al nido avevano acquisito il controllo sfinterico e lo hanno perso. Qualsiasi persona a contatto con bambini piccoli è in grado di vedere queste cose e il fatto che nessuno ci pensi è preoccupante.

I bambini, H24 a casa con i genitori, non hanno spazio potenziale entro cui costruire la propria autonomia e proprio questo è stato l’aspetto messo più a dura prova, tant’è che abbiamo registrato tante regressioni: bambini tornati nel lettone, che hanno disimparato a mangiare, che al nido avevano acquisito il controllo sfinterico e lo hanno perso. Qualsiasi persona a contatto con bambini piccoli è in grado di vedere queste cose e il fatto che nessuno ci pensi è preoccupante.

Che fare allora?
Si tratta di fare tavoli di lavoro prospettici con il virologo che siede insieme al pedagogista, all’educatore, allo psicologo, al genitore, a chi si occupa di politiche sanitarie e di medicina territoriale preventiva, perché è evidente che la medicina territoriale preventiva può e deve essere integrata con le politiche sociali del territorio. Dobbiamo riuscire a fare tavoli di lavoro in cui questi angoli visuali si contaminino, altrimenti continuiamo a contrapporli pensando che siano mondi che non si parlano e che non si possono parlare. Invece la pedagogia è dappertutto, anche nel modo in cui si trascurano i bambini. Il modo in cui gestisco le politiche sanitarie è già di per sé un modo di approcciarsi pedagogicamente alla società. Proprio su Vita ho letto una bella prospettiva, quella di ragionare nei termine dell’accomodamento ragionevole: dobbiamo mettere insieme il fatto che la visione sanitaria è importante e la scuola è importante. Se andiamo avanti così invece ho paura che cominceremo a chiederci se questi servizi sono mai stati utili.

Cosa intende?
Ci stiamo abituando a limitarci su tutto, a rinunciare per ragioni sanitarie. Ma rischiamo di perdiamo di vista la dimensione del desiderio, inteso ovviamente non come approccio consumistico, ma come dimensione della natura umana. Senza desiderare non si progredisce. Non si innova se non si desidera qualcosa di diverso, un modo diverso di fare le cose. L’innovazione dei servizi nasce dal fatto che desideriamo talmente tanto qualcosa di diverso dall’esistente, che alla fine troviamo insieme il modo. Ecco, dobbiamo metterci in logica proattiva, pensando modelli innovativi. Non possiamo fermarci al mito del come eravamo, perché al “come prima” non ci torniamo. Per ripartire dobbiamo metterci in una prospettiva riformista, non rivoluzionaria: un approccio riformista implica che le visioni vengano integrate, non che si debba scegliere fra – lo dico estremizzando – andare a scuola o morire. Occorre lavorare su trovare soluzioni ibride.

Non si innova se non si desidera qualcosa di diverso, un modo diverso di fare le cose. L’innovazione dei servizi nasce dal fatto che desideriamo talmente tanto qualcosa di diverso dall’esistente, che alla fine troviamo insieme il modo. Ecco, dobbiamo metterci in logica proattiva, pensando modelli innovativi. Non possiamo fermarci al mito del come eravamo, perché al “come prima” non ci torniamo. Per ripartire dobbiamo metterci in una prospettiva riformista, non rivoluzionaria: un approccio riformista implica che le visioni vengano integrate, non che si debba scegliere fra – lo dico estremizzando – andare a scuola o morire.

Cosa ha in mente?
In questo momento i tensori sono la domiciliarità e la comunità. Sul periodo intermedio occorrerà pensare a formule integrate, ragionando su un servizio di educativa domiciliare di prossimità: un educatore di condominio, di giardino, di prossimità, che svolge la sua funzione educativa – è un prodotto educativo, non un babysitting – non dentro la struttura. Noi abbiamo già esperienze di outdoor education, si può proseguire su quella linea, ricordando che fare outdoor education implica avere un progetto educativo, non è stare all’aria aperta. Non solo natura ma anche i musei… Il pensiero pedagogico anziché chiudersi nel servizio deve uscire dall’aula e andare in giro costruendo mondi possibili e percorsi di pratica.

Foto Unsplash


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