Famiglia & Minori

Servizi ai minori: in gioco c’è la coesione sociale

L’estate rappresenterà il primo importante banco di prova per il Terzo settore e l’impresa sociale: nei prossimi mesi infatti il tipo di risposta che daremo ai bambini sarà cruciale nel ridefinire il perimetro di esercizio effettivo dei loro diritti e la comunità che gli consegneremo

di Francesca Gennai* e Flaviano Zandonai

Il re è nudo, o quasi. La violenza con cui il Covid 19 si è imposto nella nostra vita rischia di compromettere le faticose conquiste dei servizi all’infanzia. Affrancatisi solo troppo di recente dall’essere meri luoghi di conciliazione per conquistare lo status di spazi educativi e di socializzazione, si ritrovano oggi quasi all’anno zero e a dover riaffermare il loro valore per i bambini in primis.

Leggendo a ritroso la Fase 1 la cronaca ci restituisce un’idea di bambino invisibile agli occhi degli adulti: soggetto passivo di politiche attive per genitori – lavoratori (dai voucher baby – sitter al congedo parentale esteso…) o studente promosso nell’uso della didattica on – line se già in età “scolarizzabile”. Nessun atto che ha fatto riferimento ai loro diritti, a quella nota convenzione Onu dei diritti dell’Infanzia di cui lo scorso anno in molti ne avevamo festeggiato il trentesimo anniversario.

Adesso siamo nella Fase 2 e come decideremo di affrontarla sarà determinante per ri-definire la nostra comunità se è vera la lezione di Michel Foucault secondo la quale il modo in cui viene affrontata una pandemia non solo rivela la gerarchia dei valori e delle credenze politiche e culturali più profonde e radicate, ma contribuisce a creare infrastruttura della nuova società. E l’estate ormai prossima rappresenterà il primo importante banco di prova in tal senso, in particolare per il Terzo settore e l’impresa sociale: nei prossimi mesi infatti il tipo di risposta che daremo ai bambini (bambini-bambini, bambini/figli, bambini/scolari,..) e il modo in cui decideremo di costruirla sarà cruciale nel ridefinire il perimento di esercizio effettivo dei loro diritti e la comunità che gli consegneremo.

Sono molti i documenti che riportano l’attenzione sui bambini. Alcuni si fanno carico di esigenze vecchie e nuove di bilanciamento: da una parte tra diritto alla socialità e all’educazione con garanzia della sicurezza sanitaria per bambini, famiglie e per chi lavora nei servizi di welfare; dall’altra le più classiche (e irrisolte) esigenze di conciliazione, considerando in particolare la minore possibilità per le famiglie di affidarsi al welfare dei nonni, cioè della fascia più esposta all’epidemia. Altri documenti evidenziano invece la necessità di rafforzare nei bambini e ragazzi nuove competenze interpersonali (digitali e spaziali) e sensibilizzarli rispetto all’importanza della prevenzione preparandoli così anche ad un rientro a scuola in sicurezza e ad una nuova possibilità di didattica. E c’è inoltre chi pone l’accento della necessità di dover raggiungere una platea quanto più ampia di bambini e ragazzi per monitorare su vasta scala il loro benessere psico-fisico e intervenire anche con proposte educative in grado di contrastare l’ampliamento della forbice della disuguaglianza. Non siamo tutti uguali difronte alla pandemia e questo oramai è un dato di fatto. Sugli orientamenti di principio c’è una convergenza corale e le linee guida del dipartimento della famiglia dello scorso 15 maggio per la gestione in sicurezza di attività organizzate di socialità e gioco per bambini ed adolescenti forniscono i paletti organizzativi delle iniziative estive, ma demandano a chi dovrà metterle a terra gli esercizi di sostenibilità che però non sono da improvvisare.

Si capirà adesso se si è adeguatamente investito negli anni scorsi per far convergere diversi modelli di welfare (e relative risorse). Da almeno una decina di anni, infatti, il Terzo settore e l’impresa sociale hanno avuto la possibilità di sperimentare, seppure a macchia di leopardo, più leve di sostegno per rispondere ai bisogni di una comunità. Ora che la necessità lo impone c’è l’occasione di farlo in maniera più consistente operando a scavalco di più modelli di protezione sociale: welfare aziendale, generativo, pubblico e familiare per rispondere con progetti che sappiano farsi carico della complessità delle sfide in atto. Per tutto questo serve però un punto di atterraggio, anzi di un annidamento come ricorda Franca Maino con un’immagine forse più consona con la natura delle attività proposte. Di solito a questa sfida si risponde richiamando dimensioni di “territorio” e di “comunità” rispetto alle quali occorre però essere più puntuali nel saperle riconoscere ed abilitare.

Ecco quindi una possibile rassegna di punti di contatto per un nuovo welfare che passa da una politica sociale sperimentale a politica di coesione strutturale. In primo luogo i contesti outdoor di prossimità (parchi e altri luoghi aperti) nei quali operatori sociali professionali interagiscono in chiave educativa con micro comunità che sperimentano nuove forme di “normalità trasformativa”; in secondo luogo la ristrutturazione degli spazi educativi tradizionali (asili, scuole, ecc.) non solo per ottemperare alle norme ma per fare spazio ad altre iniziative in modo da allungare e arricchire il tempo dell’educazione; in terzo luogo occorre lavorare sull’intelligenza del denaro che viene distribuito per alimentare la domanda di servizi educativi facendo in modo che, oltre ad arrivare velocemente, alimenti modelli di consumo e di coproduzione consapevole, evitando lo sperpero in micro prestazioni che non creano sviluppo ma soprattutto precludono l’accesso a beni autenticamente relazionali.


*consigliere Cgm con delega all'Infanzia

**innovation manager di Cgm


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