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I patti educativi di comunità? Non siano una comunità educante monca

Nelle bozze del Piano scuola per la ripartenza debuttano i patti educativi di comunità. A che servono? A trovare spazi fuori dalla scuola e volontari per la sorveglianza. Un po' poco rispetto alle potenzialità e alla capacità di impatto che le comunità educanti invece hanno dimostrato di avere. Un appello a correggere il tiro

di Sara De Carli

«Mai come ora “serve tutto il villaggio” per accompagnare ogni bambino/a e ragazzo/a nella crescita e la creazione di comunità educanti territoriali, tra scuola e fuori, diviene una prospettiva promettente, ben oltre l’emergenza. Le scuole sono dentro le città; nulla di quel che riguardi la scuola, i suoi spazi, i suoi orari e i suoi ritmi e per andare e venire a/da scuola può essere letto a prescindere dal fatto che tutta la città ne è coinvolta. La relazione tra scuola, comune e soggetti del privato sociale o civismo attivo è la chiave di volta non solo per la partecipazione al processo di ripartenza ma perché possa funzionare». Così diceva nei giorni scorsi Marco Rossi-Doria, esperto di scuola inclusiva e neo vicepresidente di Con i Bambini, la più grande esperienza in atto per il contrasto delle povertà educativa minorile. Parole da mandare a memoria nei prossimi due mesi, in cui si deciderà – volenti o nolenti – la scuola del futuro.

Oggi si parla molto di alleanze territoriali, ma in ottica strumentale, perché la scuola non ce la fa da sola: la prospettiva di educazione diffusa però significa che tutti collaborano con pari dignità. A livello di attori, ma anche di decisori

Pasquale Calemme, direttore della Scuola del Fare

Quello delle alleanze territoriali da rafforzare, della scuola fuori dalla scuola, della scuola aperta, della scuola sconfinata, della comunità educante (tanti sono i nomi, non del tutto sinonimi ma ognuno con la sua specificità) è stato il vero minimo comune denominatore dei documenti di proposta che si sono susseguiti nei mesi passati. Ora nella bozza di Piano Scuola per settembre fanno la loro comparsa i “Patti educativi di comunità” che Patrizio Bianchi aveva indicato come “perno” della nuova scuola: «Il modello l'ho imparato a Mirandola, nel Modenese, durante l’esperienza del terremoto 2012, quando venivano giù i muri della scuola ma abbiamo fatto scuola lo stesso. Come? Invocando la partecipazione di tutti, istituzioni, mondo del volontariato e del Terzo settore, comunità». Peccato che nelle “linee guida” – come ha scritto oggi Chiara Saraceno, una delle portavoci dell'Alleanza per l’Infanzia – «si interpreta l’idea di “patto educativo di comunità” come possibilità sia di usare spazi messi a disposizione dalla comunità locale sia di utilizzare chi già faceva attività integrative nelle scuole in “attività di sorveglianza e vigilanza degli alunni”». Molto poco rispetto a quello che tutti noi ci immaginavamo, guardando al capitale ingente di esperienze avanzate che il nostro Paese ha già prodotto. Il fil rouge che si rintraccia, purtroppo, somiglia forse più a quello del garzone o del cerotto. Sul numero di Vita in distribuzione, Pasquale Calemme, direttore della Scuola del Fare lo diceva benissimo: «Dove la rete territoriale c’era, nessuno è rimasto indietro. Ma questo ha significato farsi continuamente domande, per immaginare nuove modalità di aggancio emotivo anche dove non c’era più la presenza. Oggi si parla molto di alleanze territoriali, ma in ottica strumentale, perché la scuola non ce la fa da sola: la prospettiva di educazione diffusa però significa che tutti collaborano con pari dignità. A livello di attori, ma anche di decisori».

Seppur in progress, la nostra esperienza dimostra quanto il Terzo settore sia formidabile nel promuovere la cultura dell’educazione e senza queste la scuola non avrebbe gli stessi risultati. Per questo sia nella rimodulazione dei progetti per effetto del Covid19 sia nei nuovi bandi, a cominciare da quello sullo 06 che uscirà a luglio, prenderemo molto in considerazione il futuro della scuola

Simona Rotondi, responsabile per le attività istituzionali dell’impresa sociale Con i Bambini

Le esperienze non mancano. Basta guardare il blog Percorsi con i Bambini, che racconta i 356 progetti in corso per il contrasto alla povertà educativa finanziati dall’apposito e innovativo fondo frutto di un’intesa fra fondazioni bancarie, governo e terzo settore: gli interventi coinvolgono quasi mezzo milione di bambini e ragazzi, insieme alle loro famiglie e circa 6.600 organizzazioni tra realtà del Terzo settore, scuole, enti pubblici e privati. Un osservatorio di tutto rilievo. «La nostra esperienza ci dice una organizzazione complessiva della didattica che si apra alla comunità locale, a competenze e attività esterne organizzate in modo non estemporaneo arricchisce l’offerta educativa. Tutti i progetti prevedono una valutazione d’impatto e tutti ci restituiscono l’evidenza che quando un territorio investe sulla comunità educante, i progetti hanno una marcia in più», dice Simona Rotondi, responsabile per le attività istituzionali dell’impresa sociale Con i Bambini. «Seppur in progress, la nostra esperienza dimostra quanto il Terzo settore sia formidabile nel promuovere la cultura dell’educazione e senza queste la scuola non avrebbe gli stessi risultati. Per questo sia nella rimodulazione dei progetti per effetto del Covid19 sia nei nuovi bandi, a cominciare da quello sullo 06 che uscirà a luglio, prenderemo molto in considerazione il futuro della scuola, l’outdoor education e una reale collaborazione con le associazioni. Anche in questi mesi abbiamo rivisto molti progetti con il Terzo settore che ha fatto formazione per gli insegnanti sulle competenze digitali». Ecco allora la sorpresa nel leggere di "patti educativi di comunità" esemplificati da quei due soli ambiti, gli spazi da dare e i volontari per la sorveglianza: «Sarebbe un grande passo indietro rispetto al lavoro fatto in questi anni, una comunità educante monca. La comunità educante invece è uno degli strumenti che più di tutti sta dimostrando di avere impatto e che dovrebbe essere lo strumento di eccellenza per la scuola post Covid».

Ad aprile Franco Taverna, segretario generale di Fondazione Exodus, si era fatto promotore di un appello sottoscritto da diverse realtà del Terzo settore, per chiedere alla ministra Azzolina una alleanza organica tra istruzione e educazione, tra funzione didattica e relazione educativa, in particolare nella scuola del primo ciclo, che si traducesse nella presenza nelle scuole di educatori. «Il testo sancisce una novità anche, l’idea che la scuola sia aperta al territorio e con i patti educativi di comunità interagisca con esso. Si riconosce che ad essere formativo non è solo quello che sta solo nelle mura della scuola. Questo è da sottolineare positivamente», dice oggi Taverna. «L’appello nostro però era a rendere strutturale l’attenzione alla dimensione educativa, che deve fare parte del percorso scolastico: la novità deve andare in quelle direzione, non di mero supporto e custodia dei ragazzi, quello sarebbe uno svilimento della funzione del terzo settore. Voglio mantenere l’apertura ad una lettura positiva e in ogni caso ci sono alcune ore per aggiustare la rotta».

Con i patti educativi di comunità intendiamo qualcosa di più, la condivisione di un percorso educativo che poi prevede un tempo del fare scuola e un tempo del fare educazione, ma che devono rientrare in un unico percorso. Durante la pandemia moltissime alleanze territoriali sono state strette, molte barriere sono cadute e molte relazioni sono state riallacciate: bisogna farle fruttare

Raffaela Milano, Direttore programmi Italia-Europa di Save the Children Italia

Save the Children e Fondazione Agnelli hanno lanciato oggi “Arcipelago educativo”, un progetto pilota innovativo che vuole favorire il recupero delle competenze di base e trasversali (oltre che la relazione tra pari) per 500 bambini e ragazzi. Raffaela Milano, Direttore programmi Italia-Europa di Save the Children Italia, ha lanciato più volte l’allarme per il learning loss che conseguirà da questi quattro mesi di scuole chiuse: ecco quindi il tentativo di dare risposte concrete a bisogni urgenti in questa estate segnata ancora dall’emergenza Covid-19, partendo dalle alleanze già esistenti, con l’ambizione di definire una proposta formativa, soluzioni organizzative, buone pratiche e un modello di respiro nazionale che potranno conservare significato per tutta la scuola e restare anche in futuro, quando l’emergenza sarà alle nostre spalle. «Occorre potenziare l’offerta educativa della scuola e dell’extra scuola, soprattutto nei territori particolarmente svantaggiati. Le disuguaglianze educative rischiano di esplodere e sono un tema prioritario da combattere, ci auguriamo che le Linee Guida non parlino solo delle condizioni di sicurezza ma anche di questo e di come raggiungere i tanti ragazzi che dopo il blackout educativo rischiano di interrompere il loro percorso scolastico. Alcuni aspetti che affrontati in maniera tangenziale, penso alle mense, sono in realtà cruciali: le mense dovrebbero esser garantite in tutte le scuole dei contesti più poveri ed essere gratuite, così come i libri di testo e il materiale scolastico. Serve creare le condizioni stabili per un intervento attivo della scuola e della comunità educante per raggiungere tutti. Con i patti educativi di comunità intendiamo qualcosa di più, la condivisione di un percorso educativo che poi prevede un tempo del fare scuola e un tempo del fare educazione, ma che devono rientrare in un unico percorso. Durante la pandemia moltissime alleanze territoriali sono state strette, molte barriere sono cadute e molte relazioni sono state riallacciate: bisogna farle fruttare».

Photo by Austin Pacheco on Unsplash


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