Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Solidarietà & Volontariato

Scuola, fine del tempo pieno?

Se non si trovassero spazi nuovi e se l’organico docenti e personale Ata non fosse implementato, ciascuna classe «sarà divisa in due gruppi» e dovremmo dire addio al tempo pieno. Lo ha scritto pochi giorni fa una preside di Milano alle famiglie della primaria. Il condizionale è d’obbligo, perché la ripresa della scuola è ancora piena di incognite, ma danno l’idea del possibile (catastrofico) scenario che potrebbe attenderci

di Sabina Pignataro

Che l’avvio delle lezioni si preannunci in salita è chiaro a tutti ormai, da tempo. Quello che sta emergendo in questi giorni, ed è questa la novità, è che se non si interverrà con un aumento di organico di docenti e di personale Ata che consenta la riduzione degli alunni per classe e lo spostamento in nuovi spazi (ancora da individuare), alcune scuole (e quindi alcune famiglie) potrebbero dover dire addio al tempo pieno.

Pochi giorni fa la dirigente di un istituto comprensivo di Milano, il “Cavalieri” ha inviato una circolare ai genitori ventilando la possibilità che, a settembre, i bambini che frequentano la primaria possano dover rinunciare al tempo pieno. «Se non fosse possibile reperire spazi esterni ai due plessi scolastici e se l’organico docenti ad oggi assegnato non fosse implementato», ciascuna classe «sarà divisa in due gruppi», ha spiegato. Gli alunni si ritroverebbero a fare lezione solo per 4 ore e venticinque minuti ogni giorno (per un totale di per 22 ore e mezza settimanali) con ingressi e uscite scaglionati in quattro turni dalle 8.00 alle 8.45 e dalle 12.25 alle 13.10. Niente pomeriggio, quindi. Inoltre, nel tentativo di reperire nuovi spazi per la didattica, verrebbero smantellati il refettorio, la biblioteca, la palestra, l'aula di musica e gli altri laboratori. P., la mamma di un bambino di 7 anni che frequenta l'istituto, è molto preoccupata. «C'è il rischio che tornando a settembre si cancelli la metà del tempo scuola. Non si può pensare che questo non abbia ricadute sull'apprendimento dei bambini o sulla dispersione e l'abbandono scolastico», dice. «I genitori devono sostenere la preside e i docenti, affinché promuovano una scuola aperta, in presenza, sicura e soprattutto di qualità. Dopo i mesi appena trascorsi, i bambini se lo meriterebbero».

Secondo i dati comunicati dal Ministero, il 45,8% delle famiglie che hanno iscritto per il prossimo anno scolastico i figli alla scuola primaria ha optato per il tempo pieno. Un dato in crescita rispetto al 44,4% di un anno fa. La regione con la più alta percentuale di scelta del tempo pieno è il Lazio (64,3%). Seguono Piemonte (62,3%), Toscana (60,3%) e Liguria (60,1%). La percentuale più bassa si registra in Molise (13,6%), Sicilia (15,6%), Puglia (21,1%), Campania (27,7%). Talvolta i numeri esigui di queste ultime regioni non sono dettati solo da una scelta libera o da questioni culturali, ma anche (forse soprattutto) dell’impossibilità di trovare scuole che propongano attività didattica anche al pomeriggio.

Alle medie: Dad e lezioni o al mattino o al pomeriggio
Tornando al caso citato sopra, la stessa preside, nella circolare inviata alle famiglie dei ragazzi che invece frequenteranno la scuola secondaria di primo grado, ipotizza un tempo scuola articolato su turni: uno al mattino e uno al pomeriggio, con uno o due rientri il sabato mattina, e la possibilità di svolgere ulteriori ore all’interno di musei e tramite didattica a distanza. Considerando «le tante incognite e le doverose cautele e precauzioni», l’unico elemento che è stato definito con certezza, per quanto riguarda questo istituto, è che il periodo compreso tra il 3 settembre e il 10 settembre sarà dedicato alle attività didattiche in presenza per il recupero e il consolidamento di abilità per alunni non italofoni, BES, DVA o che comunque non abbiano raggiunto la sufficienza in una o più discipline.

Il nuovo inizio, comunque, è «ancora pieno di incognite»
Chiaramente il condizionale è d’obbligo e queste appena descritte sono solo ipotesi perché, come la dirigente ha spiegato, il nuovo inizio è «ancora pieno di incognite», perché non si conoscono «ancora elementi di primaria importanza» per definire le condizioni reali della ripartenza. Ad esempio, non è chiaro quando potrà essere consultato quel ‘cruscotto informativo’ annunciato dal Ministero che dovrebbe evidenziare, segnalandoli “in rosso”, i casi in cui gli spazi delle aule non siano sufficienti ad accogliere tutti gli studenti iscritti. E non si conoscono neppure i tempi e le modalità di lavoro dei tavoli – nazionale, regionali, territoriali interistituzionali – finalizzate ad analizzare le criticità delle singole istituzioni scolastiche

Cosa prevede l’autonomia scolastica
In vista di settembre, nel frattempo, ogni scuola si sta organizzando da sé, per definire un complesso (e specifico) equilibrio che permetta di conciliare la necessità di contenere il rischio di contagio e il bisogno di garantire il benessere socio emotivo di studenti e lavoratori della scuola.
In un contesto così incerto e mutevole (e con l’incognita delle votazioni di settembre), i dirigenti possono solo fare leva sulle e forme di flessibilità derivanti dall’Autonomia scolastica (Regolamento n. 275/1999) che consente ad ogni scuola una particolare articolazione modulare di gruppi di alunni, una diversa modulazione settimanale del tempo scuola (su delibera degli Organi collegiali competenti); un diverso frazionamento del tempo di insegnamento; l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari e l’inserimento di attività educative o formative parallele o alternative alla didattica tradizionale.

Proprio in virtù di tale autonomia, a Busto Arsizio (VA), all’Istituto tecnico economico Tosi, (una secondaria di secondo grado questa volta) la nuova organizzazione prevedrebbe per le classi prime tre giorni di didattica in presenza (21 lezioni da 50 minuti) e due giorni a distanza (11 ore). Mentre, dalla seconda alla quinta, le ore a distanza diventerebbero 18 e diminuirebbero quelle in presenza (14). Per tutti, le ore di ginnastica si trasformerebbe in attività sportiva all'aperto, solo quando possibile.

Le reazioni
Benché diverse riflessioni siano in corso, gli istituti che hanno messo nero su bianco l’ipotesi di abolire il tempo pieno non sono ancora molti. Ma nel frattempo le reazioni di chi si dice allarmato non sono mancate.

«Non escludo – commenta Marco Rossi Doria, vicepresidente di Con i Bambini – che singole scuole, prese dalle difficoltà tecniche, possano immaginare di abolire il tempo pieno. Tuttavia devo evidenziare che ci sono forti e chiari segnali che invece spingono verso soluzioni opposte, che tutelino al massimo gli alunni e le famiglie, specie nei contesti di maggiore fragilità e povertà educativa, a partire di un rinnovato e rafforzato rapporto tra scuola, territorio e terzo settore». L’augurio, aggiunge, «è che sia questa seconda ipotesi a prevalere sopra le criticità che indubbiamente, al momento, ci sono».

«Come tutte le crisi, anche questa che stiamo vivendo ci pone di fronte a un bivio: giocare in ritirata o immaginare un modello di scuola nuova», commenta Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’Infanzia e l’Adolescenza di Save the Children Italia. «Se da questo bivio dovessimo uscire con una scuola senza tempo pieno (e senza mensa scolastica) sarebbe una sconfitta nella lotta alle disuguaglianze e alla povertà educativa». E infatti non stupisce che i territori dove c’è meno richiesta di tempo pieno siano quelli dove la povertà educativa fa registrare i tassi più alti, cos come la disoccupazione giovanile e femminile. «Oggi – prosegue – è necessario un forte investimento: il 15% delle risorse destinate alla ripartenza, come hanno chiesto al premier Conte e alle ministre Azzolina e Bonetti le reti per l’infanzia riunite sotto il nome di EducAzioni in un incontro avvenuto ieri». Per l’esperta di Save the Children, «la scuola deve ritornare ad essere uno strumento di mobilità sociale e di emancipazione dalla povertà economica ed educativa, proprio a partire dai territori più deprivati del Paese, per questo va sostenuta e rafforzata con tutti i mezzi, e non si può rischiare di depotenziarla ancora».

Ugualmente preoccupata, ma per motivi diversi, anche Chiara Ponzini, che coordina il Comitato Priorità alla scuola Milano: «I dirigenti avranno un ruolo decisivo nella riapertura di settembre e devono essere sostenuti, almeno dalle istituzioni locali, poiché in questa scelta governativa di autonomia “spinta” viene loro delegata in toto la capacità dare risposta a una situazione del tutto inedita». Il rischio, aggiunge, «è che vengano cancellate le vittorie storiche degli anni ‘70, quelle combattute dalle nostre madri, che lottarono per una scuola democratica e a tempo pieno, che completasse l’educazione con la difesa del lavoro femminile».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA