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Giudici minorili e assistenti sociali, la sfida delle sfumature

L'intervento tecnico-professionale in ambito minorile deve tener conto di quel preciso soggetto da tutelare, senza automatismi né formule astratte. Questa “terza dimensione" dell’adattamento al singolo caso, dà sfumature uniche all’intervento giudiziario e sociale. In un periodo di crisi e di emergenza sanitaria, parlare di “sfumature” è fuori luogo? Niente affatto, poiché «unire forma e sostanza segna la differenza tra promuovere diritti piuttosto che descriverli solamente»

di Giuseppe Spadaro* e Dario Vinci

Un intervento sociale a protezione di un minorenne esposto a grave pregiudizio è spesso conseguenza di un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria minorile. Le due attività, sociale e giudiziaria, trovano un elemento comune nel fatto che per promuovere appieno la tutela dell’infante o dell’adolescente interessato devono superare la logica adempimentale. Ovviamente a tale principio non si sottrae la politica, che anzi più di altri ha il difficile compito, anche in questa materia, di trovare risposte complesse a questioni complesse, nel delicato sforzo di non accontentarsi di soluzioni semplici o peggio ancora di eccessive semplificazioni.

Si pensi al caso dei minorenni stranieri non accompagnati, dove è fondamentale che dalla previsione del testo di legge si passi a provvedimenti volti a perseguire una effettiva tutela a mezzo degli Enti locali che dovranno intendere il mandato ricevuto con il medesimo spirito di promuovere concretamente i diritti dei beneficiari. Non basta prevedere per tali minorenni mere accoglienze, per il solo fatto che risultano inespellibili, ma occorre stimolare il welfare locale perché possa loro garantire, nello spirito di quanto previsto dal legislatore del 2017, le tutele riservate a tutti i minorenni, in primis i diritti cosiddetti “chiave”, ovvero necessari per accedere ad altri diritti (iscrizione sanitaria, iscrizione anagrafica, accesso a percorsi scolastici e di formazione professionale, alfabetizzazione). O ancora, il promuovimento della cittadinanza attiva, a mezzo dei tutori volontari.

In questo senso, tanto il ruolo del Giudice quanto quello del Servizio Sociale vengono spesso percepiti e a volte ridotti, in particolare nell’opinione pubblica, il primo come mera applicazione di norme di legge, più o meno sanzionatorie di condotte genitoriali o rette da logiche paternaliste, il secondo quale esecutore acritico e letterale dell’ordine ricevuto dal giudice oppure come responsabile di arbitrarie interpretazioni per tutelare chissà quali interessi.

Nella realtà delle cose, lo sforzo di tutti è quello di tutelare il minorenne, spesso vittima di gravi pregiudizi, attraverso una lettura sistematica delle norme e delle Convenzioni internazionali e il conseguente intervento socio-sanitario.

Il ruolo del Giudice e quello del Servizio Sociale vengono spesso ridotti, in particolare nell’opinione pubblica, il primo a mera applicazione di norme di legge, il secondo quale esecutore acritico e letterale dell’ordine ricevuto. Nella realtà delle cose, lo sforzo di tutti è quello di tutelare il minorenne, spesso vittima di gravi pregiudizi

Da un lato pertanto è compito della magistratura applicare il costrutto normativo, che ha come fondamento il codice civile del 1942, con le più recenti riforme in materia di diritto minorile; mentre ai Servizi Sociali spetterà di costruire progettualità che possano promuovere appieno la tutela del minorenne interessato.

Ad entrambi viene richiesto di rendere il loro intervento tecnico-professionale tenendo conto di quel preciso soggetto da tutelare, senza automatismi né formule astratte. Dare profondità a tali azioni – in una “terza dimensione” che è quella dell’adattamento al singolo caso – consente di attribuire profondità e sfumature uniche all’intervento giudiziario e sociale.

In un periodo di crisi diffusa e di emergenza sanitaria, parlare di “sfumature” sembra quasi fuori luogo, se consideriamo la mole di lavoro del settore minorile e la sofferenza degli uffici chiamati a provvedervi, spesso con organici insufficienti. A ciò si aggiunga il fatto che rispetto ai beneficiari, un qualunque sostegno potrebbe comunque alleviare la loro condizione di disagio. Ancora una volta prendiamo ad esempio i minorenni stranieri non accompagnati: anche la risposta più minimalista supererebbe di gran lunga l’aspettativa di quegli stessi ragazzi che chiedono un qualsiasi sostegno per sopravvivere.

Ma per chi lavora coi minorenni, da qualsiasi latitudine vengano, il tema della qualità dell’intervento sociale disposto e poi messo in atto assume un rilievo fondamentale. Unire insomma forma e sostanza segna la differenza tra promuovere diritti piuttosto che descriverli solamente. Ecco pertanto che gli interventi sociali, giustamente attenzionati dall’opinione pubblica e vagliati anche contabilmente, dovrebbero essere oggetto di ulteriori analisi, meno legate all’adempimento tout court e più all’effettiva capacità di promuovere i diritti dei beneficiari. Se in pratica l’attività tecnico-professionale sottesa ad un provvedimento giudiziario da eseguire senza ritardi, debba considerarsi un costo oppure un investimento.

Volendola vedere pertanto dal punto di vista contabile, parametro di cui deve tenere conto una Pubblica Amministrazione, si tratterà di elevare azioni che all’apparenza sembrerebbero voci di spesa/costi (in termini di risorse, di personale, organizzative, progettuali) ad investimenti. Azioni che rafforzano il senso di sicurezza diffusa quali nuove forme di prevenzione, di coesione sociale, di partecipazione pubblica, del rafforzamento del tessuto connettivo cittadino e metropolitano attraverso un’integrazione partecipata. Un welfare di comunità che sempre più può definirsi partecipativo e più recentemente inteso all’interno del paradigma generativo.

Sono letture, queste, che dovrebbero orientare i tecnici e l’intera collettività per meglio comprendere le azioni e le attività volte a sostenere, proteggere e tutelare gli infanti e gli adolescenti in difficoltà, tra cui i minorenni stranieri non accompagnati, fuori dai cliché ormai anacronistici dell’assistenzialismo, ritenendoli invece quali interventi (più o meno strutturati ed organici) rivolti a creare coesione sociale e a rigenerare le risorse già disponibili, sostenendo i soggetti più esposti a precarietà assistenziali e/o a situazioni di pregiudizio.

In definitiva investire sulla tutela dei minori, irrobustire il sistema dei servizi sociali e dell’intera giustizia minorile, dotarlo di maggiori risorse e mezzi, elevare il livello di professionalità di tutti i protagonisti del mondo minorile: solo così si potrà garantire una effettiva tutela dei diritti delle persone minori d’età e salvaguardare i loro progetti di vita!

Solo così aumenteremo la legittimazione delle istituzioni tutte preposte alla tutela dei minorenni e la indispensabile fiducia dell’utenza nei confronti dell’intero sistema minato da recenti vicende di natura penalistiche che hanno visto coinvolti operatori minorili.

*Giuseppe Spadaro, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna

**Dario Vinci, Avvocato, responsabile dell’Ufficio Tutele Metropolitano del Comune di Bologna

Photo by Francesca Saraco on Unsplash


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