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Education & Scuola

Scuola, il coraggio di dire: “Basta correre!”

La scuola e gli insegnanti devono per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi? Alcune riflessioni introduttive tratte da La pedagogia della lumaca, celebre libro di Gianfranco Zavalloni pubblicato dall’Editrice Missionaria Italiana.

di Gianfranco Zavalloni

È il tempo di dire: «Basta correre!». La nostra scuola, riflettendo le tendenze di buona parte della società umana, è centrata sul mito della velocità, del «fare presto», dell’accelerazione. Ho preso coscienza di quest’amara realtà in due occasioni. La prima è stata quando la mia compagna Stefania mi regalò il libro di Christoph Baker, Ozio, lentezza e nostalgia. Decalogo mediterraneo per una vita più conviviale (Emi, 2006).

Trovai in terza pagina una dedica scritta da lei: «Ozia insieme a me… e scoprirai un mondo nuovo, fatto di piccole ma intense emozioni». Il libro di Baker mi ha letteralmente fulminato. È un vero e proprio manuale di pedagogia con spunti didattici, per chiunque voglia avventurarsi nell’affascinante mondo della scuola, fatta d’idee e teorie (la pedagogia) e di pratica quotidiana (la didattica). La seconda occasione me l’ha offerta poco tempo dopo la madre di una ragazzina che venne a trovarmi in presidenza.

Parlando dell’esperienza scolastica che stava vivendo la figlia, da pochi mesi in prima media, disse: «Sa, preside, l’altro giorno mia figlia mi ha detto: “Mamma, gli insegnanti ci dicono sempre che dobbiamo sbrigarci, che non possiamo perdere tempo perché dobbiamo andare avanti. Ma mamma, dove dobbiamo andare? Ma avanti dove?”».

Da quel preciso istante ho iniziato a pormi delle domande. Mi sono chiesto: «Dobbiamo davvero correre a scuola? Siamo sicuri che questa sia la strategia migliore? Dobbiamo per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi?».

Ho ripensato alla mia esperienza, alle mie origini. Io sono nato, cresciuto e vissuto sempre in una famiglia contadina. La vita di campagna è legata alla natura, a un tempo ciclico, fatto di semine, attese e raccolti. Un tempo scandito dalle quattro stagioni. Ho riflettuto ripensando alle mie letture giovanili (don Milani, Carlo Doglio, Ivan Illich, Erich Fromm, Marcello Bernardi, Ernst Friedrich Schumacher, Giannozzo Pucci, Giuseppe Lanza del Vasto, Massimo Fini) e leggendo testi dedicati interamente al rapporto che l’uomo ha con il tempo. Mi hanno aiutato in questa riflessione Jeremy Rifkin e il suo Le guerre del tempo (Bompiani, 1989) in cui si parla del cambiamento dell’idea di tempo nel corso della storia, e David Le Breton con Il mondo a piedi. Elogio della marcia (Feltrinelli, 2001), una riflessione sull’importanza del camminare. E naturalmente il già citato Christoph Baker, che analizza la società occidentale e la definisce: «Un sistema basato sul profitto e sul consumo […] che finiscono per essere gli unici scopi della vita degli uomini».

Lentezza e ozio

La letteratura sul tema della lentezza e del decelerare si sta notevolmente ampliando in questi anni. Fra le riflessioni più interessanti cito quelle di Tom Hodgkinson (www.idler.co.uk) di cui desidero ricordare due saggi: L’ozio come stile di vita e La libertà come stile di vita; sono due veri capolavori a supporto della «filosofia della lentezza». La tesi di fondo di Tom Hodgkinson è che in una società basata sul fare, sull’efficientismo, sul mercato globale e sulla velocità, la maniera per essere veri rivoluzionari è oziare e rallentare, far da sé e produrre localmente, perder tempo. Perdere tempo è un vero peccato capitale in un sistema sociale incentrato sul profitto ad ogni costo, è legato invece a una società basata sui ritmi ciclici, a uno stile unito alla natura, al lavoro che l’uomo svolge per produrre il suo sostentamento. L’idea del «perdere tempo», dell’attendere pazientemente che un ciclo si compia, è caratteristica del lavoro contadino, della terra e della campagna.

A ben pensare, nel lavoro dei campi non esistono pause che non siano feconde: il tempo perso in realtà è un tempo biologicamente necessario, che si riempie spesso di attività di preparazione a eventi ciclici come sono i raccolti o le semine. Mentre la velocità è legata a tempi lineari, a una produzione industriale centrata sull’usa e getta, a un modello di società che consuma e che non si preoccupa di far rientrare entro cicli naturali beni, energie, materie prime e persone. È un «tempo-freccia», privo d’attese.

Tutto questo incide indelebilmente sull’educazione, sulla formazione delle persone e sull’organizzazione della scuola. Un approfondimento significativo su questo tema è stato presentato nel 2002 dal Gruppo Educhiamoci alla Pace (Gep) di Bari, durante un corso di formazione residenziale sul tema «In compagnia di ozio, lentezza e poesia». Nel volantino di presentazione, alla voce «cosa faremo» si leggeva: «Disegneremo, scriveremo con l’inchiostro e il pennino poesie, frasi, riflessioni. Cercheremo di “poetare” in lingua locale. Porteremo in tasca un coltellino per costruirci fischietti, per fare piccoli giochi. E poi cammineremo… ci divertiremo e… ci riposeremo». Per alcuni giorni abbiamo lavorato, abbiamo riflettuto e ci siamo confrontati sul bisogno e sulla necessità didattica di «rallentare» e di «fare scuola più lentamente». Così abbiamo rilevato la necessità di proporre, in questi tempi, un nuovo modello pedagogico che in maniera metaforica abbiamo chiamato la pedagogia della lumaca. Questo modello pedagogico o, ancor meglio, questi suggerimenti di carattere educativo, nascono da una riflessione su come viviamo il tempo scolastico in relazione ai ritmi della società.

«È qualcosa di molto simile – come mi ha suggerito Edoardo Martinelli (www.barbiana.it) nel suo libro Don Lorenzo Milani. Dal motivo occasionale al motivo profondo (Sef, 2007) – alla scholé di Platone nel Timeo: scholé è il tempo che trascorre senza assillo, non soggetto alle angosce della necessità, porta in sé l’idea dell’indugio, dell’ozio, della lentezza. La parola è sinonimo di applicazione, studio e, quindi, di scuola, anche se il termine scholastikós aveva in greco un’accezione negativa, come a indicare chi perde tempo».

La pedagogia della lumaca, da cui sono tratte queste righe, è disponibile nel sito web di EMI Editrice Missionaria Italiana.


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