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Quanti ragazzi devono morire prima che si inizi a parlare seriamente di educazione?

Nella notte del 4 ottobre a Napoli è morto Luigi Caiafa, 17 anni. Sarebbe stato ucciso da agenti della polizia mentre tentava di rapinare, insieme ad un complice, una macchina con a bordo 3 passeggeri. «I ragazzi come Luigi non possono diventare “noti” solo a tragedia avvenuta», dice don Gennaro Pagano, cappellano dell'Istituto minorile di Nisida. «Non possiamo non registrare che Napoli è una città in cui i ragazzi muoiono con troppa facilità. Qui il grande tema educativo non è mai stato affrontato. Spesso i media parlano di questi adolescenti come “predestinati”. Ma predestinati da chi? E quando questi ragazzi vengono da famiglie difficili, di un quartiere difficile, di una città difficile, la società cosiddetta civile perché non li supporta?»

di Anna Spena

Nella notte del 4 ottobre a Napoli è morto un altro ragazzo. Luigi Caiafa, 17 anni. Sarebbe stato ucciso da un agente della polizia mentre tentava di rapinare, insieme ad un complice, Ciro De Tommaso (figlio di un ex capo ultras del Napoli oggi in carcere), una mercedes con a bordo tre passeggeri. La pistola usata dai ragazzi era finta. Le dinamiche dei fatti non sono chiare. Una sola certezza. A Napoli è morto un altro adolescente. «Come cittadini e come essere umani dobbiamo essere addolorati per questa ennesima tragedia», dice don Gennaro Pagano, cappellano dell'Istituto minorile di Nisida, direttore della Fondazione CED "Regina Pacis", ente ecclesiale che si occupa di educazione e inclusione sociale; psicologo e psicoterapeuta, autore insieme a Fausta Sabatano, del libro Libertà marginali. La sfida educativa tra devianza, delinquenza e sistema camorristico. «Non possiamo sentenziare sulle variabili, non siamo i giudici di nessuno. Ma non possiamo neanche non registrare che Napoli è una città in cui i ragazzi muoiono: per scontri con le forze dell’ordine, per scontri tra di loro, per altri motivi spesso banali. Muoiono con una facilità troppo grande».

Perché un ragazzo di 17 anni muoia così, raggiunto da un colpo di pistola alla gola, è difficile da capire, accettare. «Come società», continua don Gennaro Pagano, «non riusciamo ad andare oltre l’aspetto emotivo. Questi ragazzi non possono diventare “noti” solo a tragedia avvenuta. Ci serve un piano per l’educazione. Il grande tema educativo non è mai stato affrontato. A Napoli non si parla di educazione, e anche chi lavora nel settore lo fa in modo frammentario, ognuno cerca di “sistemare il suo pezzo”, e non ci si sente partecipi di una realtà complessa che può funzionare solo insieme. Non è possibile che i preti lavorino per conto loro, e poi lo stesso facciano i servizi sociali, il comune, la scuola, il terzo settore. Bisogna creare un tavolo di lavoro comune. solo un'azione combinata sarà davvero efficace».

Il problema educativo a Napoli si è trasfromato in emergenza. «Spesso i media parlano di questi giovani adolescenti come “bambini predestinati”. Ma predestinati da chi? E quando questi ragazzi vengono da famiglie difficili, di un quartiere difficile, di una città difficile, la società cosiddetta civile, le istituzioni dove stanno? Il resto della città dov’è? Don Milani lo diceva “non bisogna fare parti uguali tra diseguali”. Luigi ha avuto le stesse opportunità degli altri bambini? Non credo, quindi aveva bisogno di più cure. Più attenzione. Anche lui, come molti altri, era già entrato nel circuito penale, ha partecipato a progetti con associazioni e fatto messe alla prova. Ma intervenire sugli adolescenti è già troppo tardi. Dobbiamo essere messi nelle condizioni di intervenire subito, già dalla primissima infanzia. La verità è che questo non avviene perché il mondo del sociale è vissuto male da “coloro che hanno in mano la borsa”. E interventi di questo tipo sono costosi. E quei pochi fondi che abbiamo sono gestiti male. Basti pensare alle realtà educative territoriali che potrebbero diventare dei luoghi di grande prevenzione, invece aprono e chiudono nel giro di uno, due anni».


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