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Covid-19, le donne in gravidanza non sono rispettate

«La pandemia ha messo in evidenza un po’ in tutto il mondo ed anche in Italia una realtà scomoda: il rispetto della fisiologia del parto è stato spesso eluso», dice la presidente di Ciao Lapo. In media da marzo a maggio CiaoLapo ha ricevuto il 40% di richieste di sostegno in più, rispetto agli stessi periodi degli anni passati, da coppie dimesse dopo una morte in utero, un aborto terapeutico o una morte prematura

di Sabina Pignataro

Reparti chiusi, coppie dirottate in altri punti nascita, madri costrette ad affrontare il travaglio e la degenza da sole, padri (o partner) allontanati, accesso alla terapie intensive neonatali fortemente limitato – o vietato – ai genitori. «La pandemia ha messo in evidenza un po’ in tutto il mondo ed anche nel nostro Paese una realtà scomoda», commenta Claudia Ravaldi, fondatrice e presidente dell’associazione CiaoLapo, la onlus che da 14 anni offre supporto alle famiglie in lutto. «Sia in presenza di parto fisiologico, sia in caso di aborto, morte in utero o morte postnatale, i servizi sanitari non sono pensati per garantire un’assistenza rispettosa alla donna. Nonostante gli sforzi di molte ricercatrici e operatrici sanitarie che lavorano per promuovere la salute perinatale, la donna e il suo bambino non sono ancora al centro della care».

Eluso il rispetto della fisiologia del parto
Dai primi giorni di marzo CiaoLapo ha attivato due progetti di ricerca, uno nazionale (Covid-assess) ed uno Internazionale (COCOON, attualmente in corso) per misurare l’impatto della pandemia sui servizi e sul benessere delle donne in gravidanza, dopo il parto e dei partner. Da quel che emerge, in molte strutture, «il rispetto della fisiologia del parto è stato spesso eluso», nonostante i numerosi studi su Covid-19, gravidanza e puerperio siano fin da subito risultati rassicuranti, come aveva spiegato in questa intervista Angela Giusti, ricercatrice dell’ISS.

Fretta. Tanta fretta
Racconta Ravaldi che «il fatto che il personale sanitario sia stato travolto dalla mancanza di un’organizzazione adeguata, sommato alla comprensibile preoccupazione per la contagiosità del virus (ricordiamo che tra le vittime ci sono stati numerosi medici, ostetriche e infermieri, spesso lasciati a gestire i pazienti a mani nude), ha fatto in modo che in molte aziende ospedaliere si sia generata una grande fretta: fretta di procedere al parto, fretta di dimettere la donna e il bambino». Secondo Ravaldi, «tutte le conoscenze acquisiste sull’importanza del parto rispettato e quelle sull’importanza dei famosi mille giorni di vita del neonato sono state messe in ombra, archiviate, ignorate e talvolta persino cancellate dalla pandemia».

Molto poche, invece, le aziende ospedaliere che si sono date da fare per tenere a mente che la salute non è solo assenza di malattia ma anche tutela e promozione del benessere psicologico e psicosociale. «Ad esempio – racconta Ravaldi – ci sono giunti numerosi plausi da parte delle donne che hanno partorito all’Ospedale Del Ponte di Varese, oppure che hanno avuto i bambini ricoverati in TIN all’Ospedale Infermi di Rimini».

In linea generale, però, «è mancato un coordinamento efficiente a livello nazionale che fosse in grado di garantire – seppur nel rispetto dell’autonomia regionale – l’applicazione omogenea di protocolli di tutela della donna in gravidanza e nel puerperio». E così in alcuni ospedali i padri avevano libero accesso al reparto, in altri potevano (e possono tutt’ora) entrare solo durante la fase di travaglio attivo ma non durante la degenza, in altri la loro presenza era del tutto inibita. In alcune strutture era consentito che le donne tenessero con sé il bambino (il rooming-in), in altre no. In alcuni era permesso lo skin to skin (tenere a contatto il bambino, pelle a pelle, dopo la nascita), in altri no, e così via. E questa eterogeneità permane anche oggi.

Genitori fuori dalla terapia intensiva
Le 1.500 testimonianze raccolte da CiaoLapo palesano come nella maggior parte delle strutture, per ridurre le occasioni di contagio da Covid-19, siano stati fortemente limitati tutti gli accessi ritenuti non necessari alle strutture. E sulla definizione di cioè che è o meno “necessario” c’è stato molto arbitrio. «A molte donne non sempre è stato permesso avere accanto una persona di fiducia per un sostegno fisico e/o emotivo, nemmeno in caso di aborto tardivo o morte subito dopo il parto». Racconta Ravaldi, poi, che «alcune madri e alcuni padri sono stati brutalmente lasciati fuori dalle terapie intensive neonatali, anche quando i loro figli stavano morendo, senza nessuna pietas, senza nessun rispetto e cura. Ad alcuni di loro è stato persino impedito di dare un saluto, una carezza, un commiato ai piccoli».

Le famiglie sole davanti al lutto
Sempre dalla ricerca emerge che anche l’elaborazione del lutto è stata lasciata spesso alla libera iniziativa dei singoli: in alcune strutture i genitori sono stati dimessi con un volantino in mano e poco altro, senza nessuna indicazione di tipo burocratico e amministrativo e senza nessuna indicazione di tipo psicologico. «Il dolore per la perdita prematura di un bambino è già un dolore generalmente negato, non riconosciuto, imbavagliato», commenta la dottoressa. «In tempo di pandemia, questo dolore è stato persino sminuito, ritenuto “poca cosa” rispetto a ciò che sta accadendo nel mondo».

Tutto ciò ha fatto sì che da marzo a maggio CiaoLapo abbia ricevuto il 40% di richieste di sostegno in più, rispetto agli stessi periodi degli anni passati, da parte di coppie dimesse dopo una morte in utero, un aborto terapeutico o una morte prematura. Alcune avevano bisogno di chiarimenti; altre di ricevere informazioni sull’autopsia o la sepoltura; altre ancora volevano capire come fare la registrazione all’anagrafe oppure ottenere il codice fiscale del bambino nato morto, necessario (anche) per fare domanda all’INPS e esercitare il diritto al congedo di maternità.

Il convegno
Il 15 ottobre, in occasione della Giornata internazionale della consapevolezza sul tema della morte in gravidanza o dopo la nascita, l'International Baby Loss Awareness Day, CiaoLapo svolgerà i suoi eventi interamente online. A partire dalle 17, in streaming sulla pagina facebook dell’associazione si svolgerà il convegno “Le parole madri e il lutto perinatale” aperto a operatori sanitari e famiglie su due importanti temi: luci ed ombre dell’assistenza durante la pandemia e la comunicazione salutogenica: «Faremo il punto sull’importanza delle parole e del linguaggio non verbale nell’assistenza alla coppia colpita da lutto perinatale», spiega Ravaldi. Una parte del convegno sarò dedicata all’elaborazione del lutto nei padri. «Diversamente dalle madri, che portano nel corpo i segni di una gravidanza interrotta, i padri sono ritenuti troppo spesso delle figure marginali, quasi accessorie, rispetto alla perdita perinatale. Eppure, la nostra esperienza, ci dice che così non è».


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