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Napoli, l’epidermide del mondo

La prima notte di coprifuoco a Napoli si è trasformata in una protesta di piazza. «La situazione è stata gestita malissimo dal punto di vista della comunicazione», spiega Alex Giordano, docente di innovazione sociale all’università Federico II di Napoli. «I cittadini si trovano in una situazione di disagio. Bisogna stare attenti perché il disagio vissuto “di pancia”, non sorretto da una visione politica, può essere facilmente coagulato da violenti e manipolatori. Bisogna inglobare la forza propulsiva e queste istanze in un dibattito democratico, e non far finta, invece, che queste istanze non esistano»

di Anna Spena

La prima notte di coprifuoco a Napoli si è trasformata in una protesta di piazza. Ma c’era da aspettarselo. Le reazioni rispetto alle misure di coprifuoco imposte dal governatore della regione Vincenzo De Luca entrate in vigore ieri 23 ottobre non si sono fatte attendere. Una manifestazione pacifica che poi si è trasformata in guerriglia urbana e nello scontro con le forze dell’ordine tra il quartiere di Santa Lucia e il lungomare. Ma De Luca si trovava a Salerno e il primo cittadino della città, Luigi de Magistris, commentava i fatti da uno studio televisivo.

«Tutta la situazione è stata gestita malissimo dal punto di vista della comunicazione sociale», spiega Alex Giordano, docente di innovazione sociale e trasformazione digitale all’Università di Napoli Federico Secondo, esperto di dinamiche sociali legate all’intelligenza collettiva e connettiva. «È inutile fare finta di niente. I cittadini si trovano in una situazione di disagio pesantissima. In Campania l’economia informale è un fenomeno sentitissimo, e i tanti che ne sono coinvolti non godono di nessun sussidio. E chi non vuole vedere queste sfumature, non è in grado di leggere la realtà».

Agire su un tessuto sociale, sensibile e per certi versi fragile come quello campano è sempre a rischio di reazioni deflagranti. «Non tenerne conto è pericoloso. Così come il pensiero che le rivolte debbano essere un “pranzo di gala” è molto riduttivo e poco concreto», spiega Giordano. «Il disagio esplode, non lo dobbiamo confondere con la rivoluzione, non è organizzato. Questi comportamenti non sono stigmatizzabili, perché ci restituiscono un dato del reale».

A manifestare in piazza c’era tanta gente. Ma «a Napoli esiste e come una microcriminalità organizzata. Cosa si credeva che avessero fatto questi qui in un momento di tensione ed esasperazione?». Si inseriscono, cavalcano l’onda. «Bisogna stare attenti», continua Giordano, «perché il disagio vissuto “di pancia”, non sorretto né da una visione politica né da una organizzazione di “rivoluzione” può essere facilmente coagulato e canalizzato da violenti e manipolatori».

Adesso impazza ovunque, anche tra gli stessi napoletani, il motto benpensante “dobbiamo sempre farci sempre riconoscere”. «Ma non è l’approccio corretto. Napoli è una grande metropoli schiacciata fra l’occidente, l’Europa e l’Africa. Da sempre è stata epidermide tra due mondi. Per questo motivo è una città dove i conflitti sono accesi, dove sono più visibili le conflittualità. Napoli adesso ci sta facendo vedere dove possiamo andare a finire. Ci sta indicando una via. Il segreto è canalizzare queste energie in un dibattito democratico prendendosi carico delle istanze della gente, e trovare soluzioni ai problemi reali, altrimenti ci saranno altri sbocchi e forme di canalizzazione pericolose. Napoli, al di là del bene e del male, ci sta indicando una via , vi ha fatto vedere cosa potrebbe succedere. Correte ai ripari , prima che sia troppo tardi».

Inglobare la forza propulsiva e queste istanze in un dibattito democratico, e non fare finta che queste istanze non esistano. E in questo contesto la comunicazione sociale è fondamentale: «Il coronavirus è un iperoggetto, una astrazione statistica per ora la maggiori parte delle persone non ha diretta esperienza di reale malattia grave. Per questo non aiuta la gestione autoritaria, ad esempio la parola coprifuoco andava evitata. La sfida ora è davvero quella di evitare le polarizzazioni e capire come portare questo dissenso dentro un dibattito democratico».


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