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Fundrasing culturale, Italia fanalino di coda

Nonostante l'Italia possieda il patriomonio culturale più consistente al mondo è il Paese in cui le organizzaizoni culturali sfruttano meno la raccolta fondi all'estero come finanziamento. Tra i motivi la mancanza di know how specifico. Per questo Scuola di Fundraising di Roma insieme a King Baudouin Foundation USA organizzano un webinar dedicato

di Massimo Coen Cagli

Nonostante l’Italia possieda un patrimonio culturale materiale e immateriale tra i più grandi del pianeta e questo indubbiamente rappresenti un’attrattiva per tutto il mondo, le organizzazioni culturali italiane fanno poco o nulla per raccogliere fondi all’estero.

Le istituzioni che hanno campagne di raccolta fondi all’estero o che si sono dotate di associazioni “amici di…” in Usa o altri paesi sono infatti qualche decina. Eppure ogni anno registriamo circa 430 milioni di presenze e 128 milioni di arrivi di turisti di altri paesi con una tendenza costante alla crescita negli anni (dati ISTAT sul “Movimento turistico in Italia”).

Altri paesi con patrimoni importanti ma meno rilevanti di quello italiano, fanno molto di più. Privarsi dell’opportunità di avere sostenitori in tutto il mondo in un contesto di grave crisi del settore culturale appare quanto meno ingenuo.

Lo stesso discorso vale per le tante altre eccellenze italiane in campo sociale. Ricordiamoci che cooperative sociali e imprese sociali sono “tipicità italiane”, e che la nostra capacità di creare forme e servizi di welfare di comunità ci è invidiata da molti paesi (d’altro canto forme mutualistiche e di investimento sociale sullo sviluppo di una comunità nel nostro Paese nascono già all’epoca dei comuni). Inoltre abbiamo una lunga storia di aiuto umanitario e cooperazione nei paesi in via di sviluppo, come evoluzione dell’esperienza missionaria. In altre parole, l’Italia rappresenta, per gran parte del mondo, un “vertice” della civiltà occidentale e il paese del “ben-essere”. Non è un caso, credo, che l’italiano sia tra le cinque lingue più studiate al mondo, in alcuni paesi, più del francese, del tedesco o del cinese.

Tuttavia, i numeri ci dicono che non siamo propensi a promuovere queste “eccellenze” nel resto del mondo.

Secondo una ricerca del 2015 commissionata dalla FIDAM (Federazione Italiana delle Associazioni Amici dei Musei), le istituzioni culturali museali italiane che hanno una membership internazionale sono veramente poche. Facendo una ricerca su Internet, le uniche istituzioni italiane che si trovano nelle prime 50 pagine di risultati sono Uffizi, Capodimonte – che è la più attiva, solida e presente sulla comunicazione – , Friends of Florence, MAXXI, Cimitero monumentale di Stigliano (GE) e Friends of Venice (oltre al Vaticano).

Sulla piattaforma della King Baudouin foundation USA (che permette ad organizzazioni non statunitensi di raccogliere donazioni in USA, garantendo i vantaggi fiscali previsti da questo paese), sono presenti 32 progetti/organizzazioni Italiane di cui solo 11 inerenti il settore arte e cultura (Brera, Pompei, Santa Cecilia, Accademia Arrigoni, Opera di Santa Croce, FAI, Biennale di Venezia, Museo Archeologico di Firenze, Museo Egizio di Torino, Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci). Le organizzazioni francesi sono 85 (27 su cultura), le olandesi 51 (27 sulla cultura).

Si servono del Transnational Giving Europe (sistema per donazioni transnazionali in Europa) 28 organizzazioni italiane, di cui solo cinque di arte e cultura (Conservatorio di Ferrara, FAI, MAXXI, Duomo di Milano, WeAreHereVenice). Quelle francesi sono più di 200, di cui 39 di arte e cultura.

In sostanza, il paese che possiede la maggior parte del patrimonio artistico-culturale in Europa è uno degli ultimi a guardare al mercato internazionale del fundraising.

Qualche anno fa mi è capitato di dover fare una ricognizione sulle fondazioni statunitensi che hanno finanziato progetti sociali o culturali in Italia tra il 2006 e il 2016 e ho scoperto che sono state più di 150. Un numero rilevante di queste, già nel nome, mostra un forte legame con l’Italia (o per origine del “fondatore” o perché legata ad un territorio italiano) oppure ha nella governance un’alta presenza di membri italo-americani. Tutte le volte che fornisco quest’informazione nei corsi, i partecipanti sono increduli pensando che al massimo una decina di loro (e solo le più famose) siano intervenute in Italia. Invece, molte di queste Fondazioni sono per lo più sconosciute a noi e magari sono localizzate anche in centri minori rispetto alle capitali degli Stati Uniti come ad esempio l’Harry J. Lloyd Charitable Trust, di Overland Park (Kansas) che ha sostenuto quattro progetti italiani per oltre 400 mila dollari o la Charles Stewart Mott Foundation di Flint (Michigan) che ha sostenuto progetti in Italia per più di 1,5 milioni di dollari.

Le nostre organizzazioni, infine, hanno poca consapevolezza di quanti italiani o oriundi italiani ci siano nel mondo e che, per evidenti ragioni, in un’ottica di fundraising internazionale, non possono che essere un target privilegiato. Ebbene: sono cinque milioni gli italiani presenti all’estero, 30 milioni negli ultimi 150 anni il che ha generato tra i 60 e gli 80 milioni di oriundi. In Usa sono stati censiti 15 milioni di italiani e sono presenti più di 700 organizzazioni di italo americani (dati: indagine Migrantes). Uno dei principali bisogni dei nostri connazionali all’estero è quello di mantenere un forte legame con il proprio Paese e, al contempo, di rappresentare ai paesi che li ospitano l’importanza dell’Italia, della sua cultura e del suo “ben-essere”.

Come mai non guardiamo al panorama internazionale del fundraising? Tra le tante ragioni due sono le principali:

  1. la scarsa conoscenza dei mercati internazionali del fundraising (con particolare riferimento a quello nord-americano) e dei relativi strumenti per accedervi efficacemente;
  2. la mancanza di strutture e personale competente dedicato al fundraising, la cui presenza, invece, è ormai ritenuta uno standard di qualità delle istituzioni culturali in molti altri paesi (sono veramente pochissime le istituzioni culturali che hanno un ufficio dedicato al fundraising).

Su questa “arretratezza” tipicamente italiana incidono anche molti altri fattori, tra cui: la scarsa conoscenza delle lingue straniere, l’idea che si debba dipendere solo dai finanziamenti pubblici (soprattutto per molte istituzioni culturali pubbliche), la convinzione che non sia possibile prendere soldi dall’estero, la mancanza di comunicazione verso gli stranieri che vengono per turismo, studio, lavoro o semplicemente per piacere, nel nostro Paese.

Siamo sicuri di permetterci questo lusso?


Scuola di Fundraising di Roma insieme a King Baudouin Foundation USA organizzano un webinar dal titolo: "Oltre i confini. Un fundraising più efficace in Italia e all'estero".

Intervengono:
Ellena E. Fotinatos – Deputy Director at the King Baudouin Foundation United States
Karen Brooks Hopkins – Presidente emerita della Brooklyn Academy of Music, esperta in fundraising
*Massimo Coen Cagli – senior fundraiser e direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma
Massimo Osanna – Direttore Generale Musei del Mibact

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