Welfare & Lavoro

C’è ancora chi si stupisce per la coda a Pane Quotidiano?

Un video girato in viale Toscana mostra la folla dei poveri che attendono un pasto. La cruda normalità che vive ogni giorno chi si occupa di povertà. Per andare oltre la viralità del video occorre mettere in campo una nuova agenda, la cui priorità sia il futuro. Perché senza una visione radicale e profonda di cambiamento non riusciremo a rispondere alla domanda di diritti

di Federico Mento

Negli ultimi giorni, un video girato a Milano, presso la sede di Pane Quotidiano in Viale Toscana è stato ricondiviso migliaia di volte, sino a diventare virale. Una lunga fila di persone attende di poter ottenere un pasto caldo.
Molti, sorpresi dalle immagini, si sono affrettati a commentare la dolorosa sequenza come se ci trovassimo di fronte a qualcosa di inedito. Eppure, per coloro che si occupano di povertà, ciò che è stato condiviso in poche ore sui social network rappresenta la crudezza della normalità. Negli ultimi anni, il costante deperimento dell’economia del Paese ha determinano, una crescita esponenziale delle povertà. Ragioni di natura strutturale si intrecciano con la debolezza delle politiche, la ricerca frenetica del colpo ad effetto per strappare qualche istante di visibilità e non lascia alcuno scampo all’analisi e alla programmazione.

Eppure, ci troviamo a Milano, la città dell’innovazione, il grande sprawl urbano interconnesso ai flussi globali, una città che sembra essersi progressivamente dissaldata dal contesto nazionale, posizionandosi accanto ai grandi nodi urbani, hub produttivi del capitalismo cognitivo e creativo. Non ci sono territori che si salvano da soli, parafrasando Papa Francesco, piuttosto viviamo immersi nelle stridenti contraddizioni delle nuove disuguaglianze. Centro e periferia perdono di fisicità, i territori, quasi fossero tessere musive, creano vorticose e fluide enclave fisiche e sociali di opulenza e marginalità. Un numero crescente di persone viene espulsa dal perimetro della cittadinanza, non si tratta solo della dimensione materiale, della soddisfazione dei bisogni primari, siamo dinnanzi ad una frattura profonda, che determinerà nei prossimi anni un diseguale accesso all’educazione, alla salute, al lavoro, alla cultura, al benessere, all’autonomia.

Possiamo limitarci ad agire sulla leva dei trasferimenti monetari per riequilibrare le disparità tra coloro che hanno avuto accesso alle opportunità della società contemporanea e gli esclusi? Non intendo disconoscere l’importanza dei trasferimenti, ma al di là di lievi fluttuazioni statistiche sul numero di persone fuori o dentro la soglia delle povertà, senza una visione radicale e profonda di cambiamento non riusciremo a rispondere alla domanda di diritti.

Le nuove disuguaglianze necessitano di strumenti più sofisticati, olistici, con una presa in carico che in luogo di proporre il piano personalizzato, abbia come finalità un patto per il futuro. Dalla lettura delle indiscrezioni sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, come ricordavano Mario Calderini e Paolo Venturi, trasuda il lessico stantio che spesso abbiamo ascoltato nelle conferenze stampa: titoli ben confezionati, accompagnati da cifre a molti zeri, titoli che parlano senza rispondere.

Se davvero siamo rimasti colpiti dalle immagini di Pane Quotidiano, prima che il bombardamento digitale al quale siamo costantemente sottoposti ci faccia dimenticare quei volti, dobbiamo mettere in campo una nuova agenda, la cui priorità sia il futuro.


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