Politica & Istituzioni

Next Generation EU guardi all’economia sociale come modello economico stabile, innovativo e inclusivo

Come indicato nel testo consegnato a Conte, il Terzo settore è per sua natura un ambito produttivo finalizzato alla generazione di valore sociale in molti ambiti di interesse generale con la precipua caratteristica dell’assenza di scopo di lucro, dove la cura e la presa in carico si esplicano in attività di assistenza socio sanitaria, educazione e formazione, cultura, sport, ambiente e valorizzazione del territorio e dei beni comuni

di Maria Chiara Gadda

Il programma Next Generation EU è una sfida per il nostro Paese, e dalla qualità con la quale politica, istituzioni e parti sociali sapranno trovare sintesi rispetto all’utilizzo di quei 209 miliardi di euro capiremo se sarà stata una occasione persa, che peserà come un macigno sulle prossime generazioni che ci stanno prestando questo denaro (non dimentichiamolo), oppure occasione per un nuovo Rinascimento. Ad oggi, prima ancora di scendere nel dettaglio delle singole questioni, esistono due nodi politici da superare rispetto alla bozza di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e sulla verifica di maggioranza in corso.

Il primo, il testo proposto dal presidente Conte manca ancora di anima e di visione politica. Riciclare vecchi progetti significa non avere compreso i mutamenti intervenuti nella società e le interrelazioni tra ambiti di attività. Del resto l’economia circolare di cui spesso si parla, e che ancora non è realtà strutturale nel nostro Paese, trae la sua essenza dal combinato disposto di fattori di tipo economico, sociale e ambientale e da normative adeguate a questa necessità.

Il secondo aspetto, riguarda la capacità di attuazione del piano e le sue ricadute concrete nella società. In altri termini, bisogna intenderci se il principio costituzionale della sussidiarietà tra livelli istituzionali e parti sociali, è ancora attuale per il presidente del consiglio Conte, e per la maggioranza.

L’emergenza sanitaria in atto ha posto in evidenza alcune fragilità storiche che caratterizzano il nostro sistema socio economico, e allo stesso tempo ha evidenziato come l’intervento pubblico non sia bastevole nella risposta a bisogni crescenti ed articolati e nel processo di generazione del valore. In una ottica di co-progettazione e di co-gestione, dovrà essere l’intero sistema pubblico e privato a farsi carico della ripartenza.
Organizzazione del welfare e impostazione del mercato del lavoro, sono da sempre due facce della stessa medaglia indissolubilmente legate. Per questo motivo è necessario cogliere i mutamenti intervenuti nella società e nel contesto economico, declinando sviluppo e benessere con i nuovi bisogni e la richiesta di protezione sociale da parte dei cittadini.

Nell’ambito della cosiddetta verifica di maggioranza, la lettera di Matteo Renzi al presidente Conte contiene per la prima volta un punto fino ad oggi escluso dal dibattito politico, e che personalmente ritengo strategico. L’economia sociale intesa come modello economico stabile su cui innestare i pilastri della ripartenza nel solco della sostenibilità, della transizione ecologica e sostenibile, e dell’innovazione, e non più soltanto un settore cui destinare risorse in modo residuale e assistenzialistico. I decreti emergenziali e la legge di bilancio fino ad oggi non hanno dato grande prova di attenzione in questo senso, e penso che porre il tema non significhi fare giochini di palazzo bensì contribuire a fare insieme scelte giuste e di buonsenso. Parliamo infatti di una realtà consolidata nel nostro Paese, rappresentando oltre 360mila organizzazioni e il 5% del nostro prodotto interno lordo. Il cosiddetto non profit, con quasi sei milioni di volontari e un milione di occupati, rappresenta per la sua capillarità, flessibilità e pluralità di intervento il motore sul quale fare leva per attuare un sistema davvero resiliente. Per sua natura, come indicato nel testo consegnato a Conte, si tratta di un ambito produttivo finalizzato alla generazione di valore sociale in molti ambiti di interesse generale con la precipua caratteristica dell’assenza di scopo di lucro, dove la cura e la presa in carico si esplicano in attività di assistenza socio sanitaria, educazione e formazione, cultura, sport, ambiente e valorizzazione del territorio e dei beni comuni.

Per questo motivo il settore dell’economia sociale può essere volano di coesione e sviluppo, essendo caratterizzato da una elevata densità occupazionale e da competenze difficilmente sostituibili da processi di automazione spinta. L’integrazione con tecnologia e innovazione dovrà giocare, al contrario, un ruolo fondamentale nella risposta ai bisogni in un sistema di welfare di comunità, nella stabilità dei rapporti di lavoro e anche nella integrazione lavorativa dei soggetti a maggiore rischio di esclusione sociale. Gli enti, attraverso le diverse forme giuridiche che caratterizzano questo settore e l’equilibrio virtuoso tra volontariato e lavoro retribuito, hanno svolto un ruolo primario nella fase acuta dell’emergenza, nonostante condizioni di sistema che ne hanno profondamente limitato l’operatività sul fronte delle risorse umane e della liquidità. Nei prossimi mesi la crescente pressione sociale richiederà alle organizzazioni dell’economia sociale addirittura una maggiore capacità di risposta nella presa in carico delle fragilità e marginalità. Questo non significa che si debba pensare di limitare il non profit all’ambito del contrasto alla povertà e alla erogazione di servizi di tipo assistenziale, e in dipendenza esclusiva da contributi e sovvenzioni pubbliche, considerata per altro la preponderanza di entrate derivanti da corrispettivi e donazioni private rispetto al sostegno pubblico che già oggi caratterizzano il settore.
La pandemia ha infatti evidenziato la spinta produttiva degli enti nello svolgimento di numerose attività di interesse generale, che finora agli occhi della opinione pubblica erano rimaste relegate in una fase secondaria del modello economico.

D’altro canto, con il programma Next Generation EU le risorse disponibili dovranno essere impiegate in programmi e progetti puntuali destinati al rilancio del tessuto sociale ed economico. Innovazione, competitività e coesione. Giovani, e popolazione anziana. Formazione e avviamento al lavoro, rigenerazione urbana sostenibile e ricucitura delle aree interne e marginali del paese, sistema socio-sanitario e welfare di prossimità, economia circolare, turismo, cultura e attività ludico ricreative, sono tutti ambiti in cui il non profit è in grado di declinare le sue potenzialità.
L’Italia da questo punto di vista per altro dispone di un tessuto associativo tra i più articolati in Europa, e normative di sistema avanzate come la Riforma del Terzo Settore che ne hanno definito dignità giuridica e per la prima volta compatibilità con gli indirizzi comunitari in ambito fiscale.

È giunto quindi il tempo di considerare l’economia sociale come un capitolo di investimento, e non certo di spesa, anche attraverso una differente articolazione nelle istituzioni pubbliche e governative al fine di valorizzare appieno la capacità economica di produrre beni e servizi nell’ottica dell’interesse generale e la trasversalità degli ambiti di attuazione.

*deputata e componente segreteria nazionale Italia Viva


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