Economia & Impresa sociale 

ZeroPerCento, il food market etico che forma le persone con disabilità intellettiva

Un’impresa al femminile nata da un’idea della fondatrice Teresa Scorza e di Paola Maisto della cooperativa sociale Namastè: il primo passo è stata una bottega nel quartiere di Niguarda, a Milano. Un piccolo spazio di 40 metri quadri nato per dare un lavoro a persone con disabilità intellettiva da tempo disoccupate. Poi il modello virtuoso ha funzionato e alla fine di novembre, in pieno lockdown, è arrivato il secondo punto vendita

di Silvia Criara

La prima bottega è stata quella nel quartiere di Niguarda, a Milano. Un piccolo spazio di 40 metri quadri nato per dare un lavoro a persone con disabilità intellettiva da tempo disoccupate. Poi il modello virtuoso ha funzionato e alla fine di novembre, in pieno lockdown, è arrivato il secondo punto vendita, in via Signorelli, nel quartiere cinese, un grande open space in cui i semi fecondi del progetto pilota stanno dando frutti prima impensabili.

Tra i banchi ci sono frutta e verdura, granaglie, ma anche un reparto dedicato alla cosmesi naturale, e agli accessori per la casa selezionati tra piccole aziende agricole e cooperative sociali, ma anche un grande assortimento di prodotti sfusi provenienti da una filiera certificata, rispettosa dell’ambiente e del lavoro dell’uomo. ZeroPerCento è un’impresa al femminile nata da un’idea della fondatrice Teresa Scorza e di Paola Maisto della cooperativa sociale Namastè, la prima una laurea in economia e anni di coordinamento di progetti sociali alle spalle, la seconda educatrice. La loro sfida: dare un primo lavoro a chi aveva più difficoltà a trovarlo, ma anche offrire un percorso di formazione strutturato che portasse i giovani a nuovo impiego a tempo indeterminato. “Di disabilità e inserimento lavorativo non si parla ancora abbastanza, spesso è un compito delegato alle cooperative e al terzo settore, ma in realtà sarebbe una responsabilità della collettività, non solo delle aziende con più di quindici dipendenti, che sono obbligate per legge. È un argomento che ancora spaventa molto”.

Costruire la fiducia.
Avere un’opportunità, iniziare a lavorare con l’obiettivo di trovare un impiego fisso, fa aumentare l’autostima e fa sentire parte di un gruppo. “Nelle nostre botteghe si impara a vendere, ma anche a capire il prodotto, a spiegarlo al cliente, a tenere tutto a norma. Insegniamo anche a gestire le relazioni, come ci si rapporta con il titolare del negozio, con i colleghi, con i clienti”, racconta Scorza, “vogliamo aiutare i nostri beneficiari a ritrovare la fiducia, molti di loro hanno avuto insegnanti di sostegno e sono state spesso etichettate come diversi. A volte anche le persone che sembrerebbero più complicate da reinserire, a cui pensi che non riuscirai a trovare una collocazione, nel lungo periodo fanno progressi sorprendenti. C’era un signore di cinquant’anni che aveva perso il lavoro da molti anni ed era andato in depressione, dopo nove mesi da noi è riuscito a ricollocarsi nella GDO. Ma non è dovuto a noi, ma a qualcuno che gli ha dato fiducia quando nessuno per l’età, la disabilità e il fatto che fosse fermo da un po’ gli dava un’opportunità. Avere una possibilità l’ha fatto rinascere”.

Fare comunità.
Come spesso succede, quando le cose sono pensate a vantaggio di tutti, l’energia pervade gli spazi, avvicina le persone, ma anche i quartieri e le comunità che stanno tutto intorno. Dai buoni progetti nascono buone pratiche. “La cosa bella del nostro progetto è che, da cliente del negozio, sei obbligato a rapportarti con una persona che ha i suoi tempi e i suoi ritmi, magari lavora qui da poco tempo, insomma, devi stare un po’ al gioco. Ho notato che la prima reazione di chi entra è lo stupore” racconta Scorza, “poi, piano piano, le persone capiscono il valore che c’è dietro, il fatto che con un semplice acquisto si possa realmente fare la differenza”. Così, nelle due botteghe, succede spesso che i clienti si leghino ai dipendenti e poi quando trovano lavoro, capita che li seguano e li vadano a trovare. “Così si crea un legame di comunità, c’è la consapevolezza di fare parte di qualcosa di più significativo, oltre all’acquisto in sé”.


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