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La rotta calabrese dell’inferno nazifascista

«Quando è Hănukkāh, la festa delle Luci, accendiamo il grande candelabro e le Luci risplendono libere nel campo. Adesso è una sensazione di felicità che ci accompagna ma Ferramonti fu un campo di reclusione e di applicazione delle leggi razziste: si veniva reclusi per la sola colpa di essere nati ebrei».

di Maria Pia Tucci

I cartelli che indicano luoghi di interesse storico e culturale sono di colore marrone; sulla A2 del Mediterraneo uscita Tarsia (CS), uno di quei cartelli segnala: Museo della memoria di Ferramonti di Tarsia.

Ad un chilometro, svoltando a destra e poi a sinistra, ci si trova in un lungo viale, intitolato a Riccardo Pacifici, Rabbino italiano vittima della Shoah ad Auschwitz, che nel ‘42 e nel’43 venne per assistere spiritualmente e moralmente i profughi internati a Ferramonti.

Non c’è più il filo spinato a delimitare l’ ingresso del più grande campo d’ internamento fascista italiano e non ci sono più le 92 misere camerate, abbattute dall’ incuria e dall’ ignoranza della stratificazione, che negli anni della Seconda Guerra Mondiale qui hanno visto internate e private della libertà, in nome delle leggi razziali, quattromila persone di varia nazionalità, di cui duemila settecento in modo permanente.

Il campo rimase attivo anche dopo la Liberazione dell’ 8 settembre del 1943; gli storici dicono che fu sgomberato definitivamente il 5 dicembre del 1945.

Resistono al tempo, testimoni di quella pagina indegna della storia, sei edifici, che furono il Comando del campo voluto dal Duce e aperto nel giugno del 1940: 160mila metri quadrati bonificati e destinati all’ internamento di ebrei italiani, antifascisti italiani e stranieri (dal 1941), gruppi di cinesi e profughi politici.

I cinque edifici all’ interno e uno all’ esterno, leggibile ancora nella sua struttura originaria: tetto in tegole di terracotta e mura di grigio cemento, sono oggi il luogo del Museo Internazionale della Memoria di Ferramonti di Tarsia e il Parco letterario Ernst Bernhard

Inaugurato nel 2004 con l’intento di conservare concretamente l’identità e la memoria, preservare e diffondere il patrimonio storico del campo di internamento che doveva servire da passaggio verso Auschwitz.

Maria Lavorato, una delle volontarie del Parco e del Museo, ci accompagna tra le mura di quegli edifici disposti a elle; ieri uffici del direttore, del Commissario, spaccio alimentare, oggi sale espositive che ricostruiscono la geografia umana di uomini, donne e bambini rinchiusi qui «Ai quali era stato riservato un trattamento più umano che altrove – mi dice Mariuccia, che mi chiede di chiamarla così come fanno gli amici – grazie alla presenza del Maresciallo Gaetano Marrari che preservò dalla morte gli internati».

Persone deportate, rese apolidi e rinchiuse. A loro il regime fascista aveva riservato una copia malriuscita della vita.

Il plastico, custodito nella prima sala, da cui parte il viaggio-guida, disegna il perimetro originario del campo di Ferramonti il cui limite era segnato dal fiume Crati, quello del tesoro di Alarico, che bagna Cosenza, la città capoluogo più a nord delle Calabrie, e dalle foto d’ archivio esposte alle pareti è possibile leggere gli acquitrini paludosi dove erano state impiantate le camerate.

«Qui nessuno ha indossato i pigiami a righe, – dice Mariuccia – le famiglie non sono state smembrate ma potevano vivere insieme, quelle che ci arrivavano –ndr– , qui era permesso studiare e hanno convissuto etnie, uomini e donne di cultura religiosa diversa: ebrei, ortodossi, cristiani cattolici».

Tra i cimeli esposti anche una lettera di donazione di un armonium proveniente dalla città del Vaticano che aveva inviato a Ferramonti un suo Nunzio Apostolico, e ancora testimonianze di celebrazioni concesse nei vari riti religiosi.

E mi viene in mente Salvatore Quasimodo « E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, tra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio…»

La ricostruzione delle camerate con i letti precari, le lettere, la biblioteca, le foto di chi abitò quelle baracche e dei tanti bambini, oggi adulti o figli di chi è stato a Ferramonti raccontano quella memoria di cui ogni 27 gennaio si celebra la giornata che serve per non dimenticare i crimini e gli orrori di cui l’ uomo è capace.

Raggiungo telefonicamente Roque Pugliese, referente Regionale per la Comunità Ebraica di Napoli, che vive e lavora in Calabria. Mi risponde mentre fa un doppio turno in ospedale, «perché molti colleghi sono contagiati dal Covid-19». Lui è medico elicotterista.

Parliamo di quel campo, da molti definito anomalo, ma «Il campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, fu aperto dal regime fascista per rinchiudervi ebrei, apolidi, cittadini slavi, antifascisti – mi dice- . Per noi rappresenta un luogo di memoria da tutelare con decreti speciali».

«Ferramonti è oggi una cattedra di dialogo e cultura per le nuove generazioni. Chi vi lavora e porta avanti il ricordo di uno dei campi di internamento fascista sono dei volontari».

E mi racconta: «Quando è Hănukkāh, la festa delle Luci, accendiamo il grande candelabro e le Luci risplendono libere nel campo. Adesso è una sensazione di felicità che ci accompagna ma Ferramonti fu un campo di reclusione e di applicazione delle leggi razziste: si veniva reclusi per la sola colpa di essere nati ebrei».

Mi saluta dicendo: «Aver sconfitto il male lascia comunque ferite generazionali devastanti: nessun uomo può sottomettere con la forza o ideologicamente un altro uomo su pratiche contro la vita».

Ferramonti, il lager, la speranza, la salvezza, la dimensione Europea del campo di Ferramonti è l’ evento in streaming che si potrà seguire sul canale you tube del Museo a partire dalle 10.30 del 27 gennaio, che vedrà accanto alla partecipazione delle Istituzioni la testimonianza diretta di chi a Ferramonti ci è nato o ci è stato internato.

Una tappa a Sud dell’ Italia che celebra la Giornata della Memoria, in Calabria, tra quei 160mila metri quadrati voluti dal Duce di cui poco si parla e che pochi conoscono.

Ma la memoria che è fatta di luoghi, passa anche da qui, da quel campo sopra il quale oggi le corsie trafficate dell’ Autostrada del Mediterraneo pare, a volte, facciano più rumore della storia dolente.

Ringrazio il Sindaco di Tarsia: Roberto Ameruso; la direttrice del museo: Professoressa Teresina Ciliberti; la guida: Maria Lavorato

Info: www.campodiferramonti.it