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La genetica predice i risultati della riabilitazione

Perché persone con le stesse caratteristiche fisiche, colpite dalla medesima patologia, sottoposte a trattamenti identici, rispondono in maniera così diversa ai progetti riabilitativi? Uno studio mostra il ruolo della genetica. Una scoperta da non prendere come "determinismo" ma come leva per personalizzare il programma riabilitativo

di Redazione

Perché persone con le stesse caratteristiche fisiche, colpite dalla medesima patologia, sottoposte a trattamenti identici, rispondono in maniera così diversa ai progetti riabilitativi? Perché un paziente reagisce bene e recupera, mentre un altro lo fa con più fatica e un altro non recupera per niente?

«Negli ultimi anni molti studi si sono concentrati sul fatto che la risposta variabile ai trattamenti riabilitativi derivi da una componente genetica o epigenetica. Nel caso della componente genetica, i polimorfismi di alcuni geni, soprattutto quelli coinvolti nella plasticità corticale o nel riparo neuronale, possono influenzare la riabilitazione post-stroke. Accanto a questi, esiste la componente epigenetica, vale a dire modificazioni transitorie del DNA che possono “accendere” o “spegnere” un gene a seconda di alcuni fattori interni (patologie) o esterni all’organismo (ambiente, esercizio fisico, alimentazione…)», spiega Massimo Santoro, biologo molecolare responsabile del laboratorio biologia molecolare di Roma della Fondazione Don Gnocchi.

I ricercatori dell'IRCCS Fondazione Don Gnocchi hannp condotto uno studio approfondito su 49 pazienti con esiti di ictus sottoposti nelle strutture romane della Fondazione al protocollo riabilitativo standard previsto in questi casi, pubblicato sulla rivista International Journal of Molecular Sciences. Il punto di partenza è stato lo studio di un gene che potrebbe avere un ruolo importante nel recupero post ictus. I risultati della ricerca confermano che la riabilitazione del futuro sarà “riabilomica”, cioè prevederà l’integrazione della riabilitazione con la genetica, l’epigenetica e la biochimica. Proprio la genetica permette di rispondere alle domande iniziali, come se alcuni biomarcatori potessero anticipare se un paziente potrà ottenere risultati dai trattamenti riabilitativi, oppure no.
«Questo non significa – continua Santoro – che ci sono pazienti che non recupereranno solo perché hanno un genotipo più “sfortunato” di altri; significa semmai che quel protocollo standard per loro non sarà efficace e quindi andrà studiato un trattamento personalizzato e un percorso riabilitativo su misura». Questo consentirà inoltre di risparmiare tempo ed energie, con un banale prelievo di sangue e un’indagine epigenetica che può essere svolta in sole 24 ore. Il passo successivo – mai la ricerca in riabilitazione si era spinta così in avanti – sarà quello di ampliare il campione dei pazienti studiati: «Abbiamo ora in programma – conclude Irene Aprile, coordinatrice e responsabile clinico dello studio – uno studio multicentrico con l’obiettivo di analizzare nel laboratorio di biologia molecolare di Roma il DNA estratto dai campioni biologici di almeno 100-150 pazienti post-ictus e incrociarli con i risultati clinici raggiunti a seguito di percorso riabilitativo mediante trattamento convenzionale e trattamento robotico, per consolidare i risultati registrati fino ad ora».