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Prossimità e comunità per un vero “recovery”

Il nostro sistema di welfare è davvero universalistico? I diritti sociali sono davvero diritti sostanziali per tutti? «Prossimità e comunità sono il binomio utile che avrebbe fortemente rallentato l’ecatombe pandemico. Sono anche, però, il binomio imprescindibile di chi vuole un piano di recupero vero»

di Gianluca Budano

Un tempo straordinario non richiede effetti speciali. Come è stato dopo le grandi guerre e i grandi drammi della storia in genere, si ri-parte dalla passione per l’uomo. E l’uomo, o meglio la persona, vive il territorio (prossimità) e la comunità: ogni recupero (recovery) diverso rischia di non essere a sua misura.

La pandemia ha messo in evidenza le carenze del sistema sanitario pubblico, in particolare sul versante della prossimità delle cure. Anche territori definiti “eccellenze sanitarie” non hanno retto al carico ospedaliero, pagando la riorganizzazione sanitaria dell’ultimo ventennio che ha ospedalizzato le cure e burocratizzato la medicina generale di base, creando un vero e proprio imbuto ospedaliero o – peggio – situazioni di totale assenza della presa in carico (si veda il caso dei soggetti non autosufficienti soli o dei cittadini in condizioni di svantaggio geografico nell’accesso alle cure). Il tutto nel Paese che, tra i tanti ritardi sociali e assistenziali, è ancora lontanissimo dalla copertura totale del fabbisogno di assistenza domiciliare ai soggetti non autosufficienti, con differenze geografiche allarmanti che confermano il dramma per cui dal luogo in cui nasci discende la tua speranza di vita e il tuo livello di benessere in generale. Il nostro sistema di welfare e di salute si fonda su diritti costituzionalmente garantiti, universali nella forma: nella sostanza universali solo nella misura in cui tutto il bisogno trova una risposta.

Ma il nostro sistema di welfare è davvero universalistico?

La dotazione del recovery plan ammonta a 209 miliardi di euro che hanno la finalità principale di “recuperare” rispetto agli effetti negativi che la pandemia ha prodotto, per progettare e concretizzare la ripartenza, che non può prescindere dalla garanzia di soddisfazione dei bisogni vitali dei cittadini.

È insomma giunto il tempo della sostanziale universalità dei diritti “sociali”, riformando il nostro sistema di benessere e salute con la consapevolezza da un lato che non è un problema di sole risorse economiche, ma dall’altro con la certezza che la disponibilità di risorse economiche è condizione necessaria, se pur non sufficiente, perché tutto ciò avvenga.

Il recovery plan può essere insomma una straordinaria occasione per cambiare il paradigma di assistenza sanitaria nel nostro Paese sul versante della soddisfazione totale dei bisogni cogenti dei cittadini, in particolare i più fragili per fisiologiche ragioni anagrafiche, come bambini e anziani. Che ripartenza possiamo progettare se il Paese non garantisce il benessere di chi ci vive, a partire da chi sta male, da chi è solo o semplicemente da chi è “piccolo”, perché è un bambino e rappresenta il futuro, o perché le condizioni di senilità o di non autosufficienza lo hanno nuovamente reso tale? Non c’è ripartenza senza prossimità e senza comunità!

Prossimità delle cure, finanziando un grande piano di medicina e welfare territoriale, che riformi la medicina di base con l’obiettivo di riportare i medici nelle abitazioni dei cittadini (in particolare quelli cronici), introducendo anche a supporto infermieri di comunità a supporto della domiciliarizzazione della medicina preventiva per i soggetti fragili e non autosufficienti.

Prossimità del monitoraggio, con la diffusione della telemedicina e della teleassistenza in tutto il territorio nazionale, facendo dell’innovazione tecnologica un elemento di vicinanza e non di distanza dai cittadini, per far si che nessuno sia mai più solo e per evitare quelle numerose fattispecie di sanitarizzazione del sociale, fatte di ospedalizzazioni improprie e di prese in carico inadeguate.

Ospedali e ambulatori di comunità, che recuperino rispetto all’azzeramento di tanti nosocomi di territorio chiusi nell’ambito dei piani di riordino, senza compensare con strutture intermedie, di comunità appunto, che facciano sentire i cittadini “sicuri”, rispetto a una cura da ricevere o rispetto a un evento che può accadere, azzerando la vergognosa piaga della povertà sanitaria, specie quella minorile.

Senza voler parlare con l’atteggiamento di chi affronta i problemi con il senno di poi, non possiamo sottacere che prossimità e comunità sono il binomio utile che avrebbe fortemente rallentato l’ecatombe pandemico. Sono anche, però il binomio imprescindibile di chi vuole un piano di recupero vero (dalla traduzione letterale di recovery), fondato sulla coesione e sicurezza sociale, senza la quale non c’è economia e sviluppo che regga, come la drammatica stagione pandemica ci ha duramente rappresentato.

Photo by Caroline Hernandez on Unsplash


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