Cooperazione & Relazioni internazionali

Milano-Gulu: pazienti Covid cogestiti a 5mila km

L’esperienza dell'ospedale Sacco di Milano viene condivisa con i medici e gli operatori del Lacor Hospital di Gulu, unico ospedale del Nord Uganda a poter distribuire l’ossigeno al letto del paziente. Il desiderio è di condividere buone pratiche che possano salvare la vita al maggior numero di pazienti possibile.

di Redazione

Tutti contro lo stesso virus, nel Nord e Sud del Mondo. L’ospedale Luigi Sacco di Milano e il Lacor Hospital di Gulu in Uganda, uno di più grandi ospedali dell’Africa orientale, da un paio di mesi “condividono” la gestione del paziente Covid. Una scelta che in più di un caso può fare la differenza. Giuliano Rizzardini, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Beatrice Borghi, anestesista e rianimatrice del Sacco, ogni due settimane si collegano gli operatori sanitari del Lacor per condividere dubbi e pratiche sulla gestione della pandemia. Il desiderio è di condividere buone pratiche che possano salvare la vita al maggior numero di pazienti possibile. Insieme a loro ci sono Dominique Atim Corti, figlia dei fondatori dell’ospedale ugandese e presidente della Fondazione che da 25 anni sostiene il Lacor Hospital e Andrea Coppadoro, anestesista e rianimatore del San Gerardo di Monza, volontario della Fondazione Corti. A 5mila km di distanza così si discute di farmaci da usare: quando cominciare a dare eparina o cortisone? E con quali dosi? Fino a quando avvalersi del solo ossigeno e con quali pressioni e flussi? Quando, invece, intubare? Quanti pazienti possono essere gestiti con l’impianto del Lacor? Anche i farmaci vanno adattati alla situazione: la vitamina C, ad esempio, non così rilevante in Occidente, è preziosa in un Paese in cui la popolazione è spesso immunodepressa.

«All’inizio c’è voluto un po’ per capire le differenze tra Italia e Uganda», confida Janet Adong, laureata in scienze infermieristiche, una delle prime operatrici a rendersi disponibile per lavorare nel reparto Covid del Lacor. Protocolli, risorse, competenze, farmaci e personale a disposizione: è tutto abissalmente diverso. Basti pensare che in Africa ci sono 0,2 medici ogni 100mila persone contro i 400 dell’Italia e un posto letto di terapia intensiva ogni milione di abitanti contro gli 80 disponibili nel nostro Paese.

«Poter riunire intorno a un tavolo virtuale specialisti italiani e ugandesi, perché questi ultimi possano arricchirsi dell’esperienza capitalizzata in Italia in questi mesi di pandemia, è un contributo di valore inestimabile per il Lacor e per i suoi pazienti», sottolinea Dominique Atim Corti.

Fondato 60 anni fa dal pediatra italiano Piero Corti e dalla chirurga canadese Lucille Teasdale, oggi il Lacor Hospital, con i suoi 250mila pazienti accolti ogni anno, è riferimento sanitario per oltre 700 mila abitanti dei distretti vicini. In Nord Uganda, il Lacor è l’unico presidio ospedaliero ad avere un impianto di produzione e distribuzione dell’ossigeno al letto del paziente, realizzato un paio d’anni fa dal Dipartimento tecnico del Lacor.

Il dottor Erick Odwar, responsabile del Dipartimento di Anestesia e Cure Intensive del Lacor Hospital, descrive così il reparto che dirige: «Il nostro lavoro ti porta ogni giorno a toccare con mano la fragilità umana. La speranza di sopravvivere, per questi pazienti così malati, è nelle tue mani e questo ti spinge a fare di tutto per assicurarti che abbiano un'altra possibilità. Ci vuole dedizione e impegno. Prima dell'arrivo del COVID-19, avevamo una terapia intensiva con 8 posti letto che serviva l'intera regione settentrionale ugandese con uno specialista in anestesia e rianimazione, tre tecnici anestesisti e nove infermieri che si prendevano cura dei pazienti critici in ventilazione meccanica. Sono pazienti che hanno bisogno di assistenza per ogni attività quotidiana: dall'alimentazione all’igiene. Umiltà, empatia e dedizione sono la chiave». In media, prima del Covid, al Lacor Hospital erano ammessi 3-5 pazienti in ventilazione assistita ogni settimana, perlopiù casi di sepsi, ostruzioni delle vie aeree dovute a un corpo estraneo, morsi di serpente e complicazioni della gravidanza o del parto. La maggior parte dei pazienti ha bisogno di trasfusioni di sangue e, nel caso in cui non sia disponibile nella banca del sangue, il personale stesso lo dona per salvare i pazienti. Durante la pandemia, sono state mantenute sia le operazioni elettive che quelle di emergenze, anche se in numero ridotto: nelle sei sale operatorie del Lacor, si effettuano circa 25-30 operazioni al giorno.

A causa della pandemia, la direzione dell'ospedale ha deciso di aprire una terapia intensiva Covid-19 con personale dedicato. «Le sfide? Il personale ridotto, dispositivi di protezione inadeguati e pochi strumenti di erogazione dell'ossigeno come punte nasali, maschere facciali e CPAP; difficile assistere efficacemente i pazienti e rianimarli», dice il dottor Odwar.

Non è la prima volta che l’ospedale Sacco ed il Lacor Hospital collaborano. Nel 2016, il focus era l’Ebola: in collaborazione con il laboratorio di Microbiologia clinica del Sacco, diretto da Maria Rita Gismondo, gli operatori locali sono stati istruiti su come individuare casi sospetti, utilizzare i dispositivi di protezione individuale e gestire i campioni biologici potenzialmente infetti. Nel Duemila il Lacor è stato ancora teatro di un'epidemia di Ebola, che ha visto la morte di 13 operatori sanitari tra cui il dottor Matthew Lukwiya, pilastro dell'ospedale. «Da allora il controllo delle infezioni è stato rafforzato», afferma Emmanuel Ochola, epidemiologo e responsabile del Dipartimento HIV del Lacor Hospital. «Possiamo contare su un piano per affrontare l’emergenza: sappiamo individuare i casi sospetti, dove portare il paziente, chi avvisare, quali risorse usare. Siamo in grado di assicurarci forniture di dispositivi protettivi e siamo in costante contatto con agenzie come l'OMS. Abbiamo operatori sanitari, pronti ad agire, grazie a corsi di aggiornamento e simulazione svolti negli anni». Competenze che si rivelano molto utili anche nella gestione dell’attuale pandemia.


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