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L’ascesa delle “alleanze di scopo”

La pandemia ha accelerato e per certi versi prototipato nuove reti e coalizioni, dai tratti non consueti che lasciano intravedere una nuova genia di istituzioni che si coagulano intorno a sfide sociali ed economiche significative e trasformative, rilanciando nuove soggettualità fra diversi e nuove forme d’intermediazione che incorporano la conoscenza e la ibridano con l’advocacy

di Paolo Venturi

La riforma del Terzo settore annovera tra le tipologie particolari di enti del Terzo settore le reti associative. Una delle questioni sul tavolo a tal riguardo è di quali reti si stia parlando e che reti costruire in futuro e “per” il futuro.

In questo senso un grande aiuto, nonostante la drammaticità del momento, è arrivato dalla discontinuità prodotta dall’emergenza sanitaria. La pandemia ha accelerato e per certi versi prototipato nuove reti e coalizioni, dai tratti non consueti che lasciano intravedere una nuova genia di istituzioni: le alleanza di scopo.

A bene vedere negli ultimi anni ed in particolare nel periodo pandemico ne sono nate tantissime: Alleanza per lo sviluppo sostenibile, Alleanza contro la povertà, Forum Disuguaglianze Diversità, Rete per i beni comuni, Alleanza per l'infanzia, Social Impact Agenda, Lo stato dei luoghi, la Rete dei centri culturali, il Comitato del co-housing, ecc. e tante altre che ora dimentico ma non meno importanti.

Tutte queste realtà si coagulano intorno a sfide sociali ed economiche significative e trasformative, rilanciando nuove soggettualità fra diversi e nuove forme d’intermediazione che incorporano la conoscenza e la ibridano con l’advocacy. Nuovi intermediari che non mancano di farsi attori di proposte per la politica, pur non indossando gli abiti della rappresentanza.

L’emergenza sanitaria ha prototipato e accelerato aggregazioni di istituzioni che non disdegnano di dilatare il proprio ruolo e la propria influenza, sconfinando in reti eterogenee capaci di condividere missioni comuni. Le identità giuridiche e settoriali dentro queste nuove reti non evaporano ma in maniera contro-intuitiva si rafforzano, rompendo il “tokenismo” di molte dinamiche relazionali e aprendosi a interlocuzioni ambiziose con le istituzioni e la cittadinanza.

La consapevolezza sempre più profonda che le sfide del futuro siano di fatto “dilemmi cooperativi” alimenta intorno a nuove e problematiche sociali ed economiche nuove interdipendenze, nuove coalizioni (anche territoriali e di luogo) che in maniera intenzionale provocano (ossia invitano/chiamano a venir fuori, ad uscire allo scoperto) tanto la politica quanto le rappresentanze tradizionali. Un nuovo livello di intermediazione che non si vuole, giustamente, sostituire ai tradizionali intermediari ma che ambisce a potenziare le istanze dal basso e la loro radicalità.

La vaccinazione ci introduce in maniera credibile in una fase post Covid e possiamo cominciare a registrare come fra il “prima e il dopo” sia successo qualcosa, un processo generativo e per certi versi istituente. In questo senso o ci auto-convinciamo che quello che è successo è riducibile ad una reazione, una risposta all'emergenza, oppure dobbiamo prendere atto che invece che le innovazioni sociali emerse in questa fase, sono una caparra del mondo che verrà. Parlano già del “dopo”. Un domani popolato da reti che si nutrono della biodiversità. Guido Calogero a tal proposito diceva: “ ..la migliore delle democrazie nasce dalla moltitudine delle democrazie”. Una nuova ecologia di soggettualità che disegnano un diverso livello d’intermediazione, non più costruita sui interessi comuni, ma su sfide e missioni profondamente concrete e trasformative. I soggetti che partecipano a queste alleanze perseguono uno scopo comune nel solco di quella trasversalità che si era sempre cercata ma che non si era mai riusciti a raggiungere.

La crisi ha esasperato questo bisogno e lo ha trasformato in un movimento dal basso che interpreta in modi diversi l’affermazione di Papa Francesco: “…nessuno si salva da solo”. Per evitare la prospettiva perdente di considerare tutto quello che è successo un effetto collaterale della crisi e quindi vedere dispersa e disciolta tutta questa ricchezza in una prospettiva che coltiva il misoneismo, dobbiamo cominciare ad immaginare come accompagnare questi processi e renderli parte vitale di un ecosistema sempre più plurale e perciò ricco.

Le sfide economiche oggi sono sfide sociali. Le alleanze di scopo, nella loro intersettorialità e natura plurale rilanciano in molti casi, il superamento della dicotomia e separazione fra economico e sociale, dimostrandosi utili tanto al sociale per affermare diritti e condizioni, quanto all'economia per essere più inclusiva. Questo trend non è destinato a mutare, anzi il tema da qui in avanti sarà vedere chi fa sul serio, ossia assume un approccio realmente trasformativo e non strumentale o tattico.

La produzione, infatti, è un fatto sociale e mai come adesso le sfide della crescita si giocano realmente e non strumentalmente dentro un'arena plurale e dentro una coralità di attori. La socialità va perciò tradotta in “socievolezza” ossia capacità di alimentare nuove comunità e legami, nuove interdipendenze misurare dal grado di benessere condiviso e non dalla monetizzazione dei benefici di breve periodo.

L'innovazione sociale è un processo che si persegue nell'interdipendenza fra diversi, soprattutto nei momenti di crisi. Queste reti sono il segno di un nuovo spazio da allestire, un campo di sperimentazione per tutte le istituzioni, anche per quelle del terzo settore (già oggi protagoniste e promotrici in molte alleanze di scopo e patti territoriali) tradizionalmente impegnate a declinare il proprio agire in forma sistemica e attraverso partnership con soggetti diversi (come certifica la ricerca Le Reti del Terzo Settore a cura del Forum TS).

Praticare e partecipare ad alleanze di scopo è una grande palestra per disegnare nuove progettualità a prova di futuro. Penso ad esempio anche al tema del Recovery Fund, penso a tutte le intersezioni e collaborazioni possibili per ridisegnare nuove filiere della cura e della sostenibilità, dell'assistenza e dell'economia circolare. Progettualità sulle quali farà la differenza concepirsi come “settore a parte” oppure come “pilastro” (il terzo) capace di contaminare e trasformare il resto dell’economia e della società, attraverso nuove reti aperte ed inclusive. Due approcci diversi che generano e alimentano futuri diversi.


*Paolo Venturi, direttore di Aiccon


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