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La Rsa del futuro? Una centrale operativa di prossimità

Questo il tema del secondo webinar di Missione Salute, il ciclo di laboratori e confronti di Legacoopsociali sulla filiera dei servizi di cura alla persona. «La risposta ai bisogni non può essere determinata da un ristretto catalogo di offerte decisa da altri. Deve includere una pluralità di fattori e prendere avvio da un progetto personalizzato», ha sottolineato la presidente nazionale Legacoopsociali Eleonora Vanni

di Redazione

Anziani, non è solo non autosufficienza e non è solo domicilio versus Rsa. Da questo punto è iniziato il secondo webinar di Missione Salute, il ciclo di laboratori e confronti di Legacoopsociali sulla filiera dei servizi di cura alla persona. Il focus riguarda le strutture residenziali per anziani.

Il dibattito moderato dal coordinatore nazionale Legacoopsociali Diego Dutto ha visto gli interventi della presidente nazionale Legacoopsociali Eleonora Vanni, del presidente dell’associazione italiana di psicogeriatria Marco Trabucchi, la presidente della coop sociale Cadiai Franca Guglielmetti, del responsabile area sanitaria della coop sociale Frassati Angelo Scano, del Presidente di Qualità e Benessere Massimo Giordano e della responsabile scientifica del progetto Visiting DTC Amelia Frasca.

«Perché affrontiamo il tema dei servizi di cura agli anziani partendo primariamente dal concetto di salute e dalla filiera integrata dei servizi di cura alla persona?», domanda la presidente Vanni, «Perché partiamo dal presupposto che la risposta ai bisogni non possa essere determinata da un ristretto catalogo di offerta decisa da altri, ma debba includere una pluralità di fattori e prendere avvio dal progetto personalizzato. Per noi mettere al centro la persona vuol dire promuovere e rispettare il diritto all’autodeterminazione e operare attraverso un sistema di progettazione integrata a livello di sistema».

«Oggi», prosegue Vanni, «a seguito degli esiti della pandemia e forse anche sulle ricadute che questa ha sulle emozioni di tutti noi, corriamo il rischio di essere ostaggio di valutazioni e proposte esito di pregiudizi o non conoscenza e di esternazioni emotive, queste ultime comprensibili, ma che ancora una volta, guardano a singoli aspetti del problema. Allora non si tratta di criminalizzare indistintamente le strutture residenziali per anziani, ma di costruire un sistema integrato di assistenza e protezione degli anziani nelle differenti fasi di bisogno».

Per Trabucchi «le Rsa si sono mostrate luoghi primari di cura e gli operatori hanno dato grande testimonianza di generosità e coraggio oltreché di professionalità. Nella bufera generale le Rsa hanno continuato a lavorare e questi sono i gestori della ripresa della normalità dove occorre ricostruire fiducia e nuova progettualità. L’adeguatezza delle cure si basa primariamente sul lavoro integrato di team multiprofessionali e la filiera integrata a livello territoriale aiuterebbe la qualità del lavoro anche in questi servizi. Occorre essere radicali nella formazione del personale. Le Rsa sono luoghi concreti di assistenza e cura dove si opera per lenire le sofferenze».

Il confronto è proseguito con le prassi delle cooperative sociali. «Le famiglie», spiega Guglielmetti, «arrivano alla Rsa quando sono provate e a casa non ce la fanno più. Con la telemedicina non si curano anziani gravemente non autosufficienti che hanno bisogno di cure sanitarie continuative e specialistiche che in Rsa garantiamo con lavoratori professionalizzati, coperti da regolare contratto di lavoro. Noi facciamo assistenza domiciliare con 180 operatrici che vanno nelle case e mi raccontano di situazioni allarmanti: solitudine, abitazioni non adeguate, difficoltà ad affrontare bisogni specifici di cura. Occorre lavorare per ampliare i servizi intermedi e semmai specializzare la componente sanitaria e psicologica delle Rsa».

«E se le Rsa fossero delle centrali operative di prossimità?», domanda Scano, «Ci sono 7mila strutture per anziani in Italia, diffuse sul territorio. Aperte 24 ore potrebbero essere luoghi di monitoraggio da remoto della persona nel proprio domicilio attivando tempestivamente interventi mirati e mantenendo anche una prossimità territoriale e relazionale. Come sarebbe possibile fare questo oggi? La tecnologia ci viene in aiuto, la teleassistenza ha dei limiti: l’anziano deve poter premere il pulsante e poi la centrale operativa è distante. Fra domiciliarità e residenzialità c’è una fascia intermedia di fragilità che si può colmare con l’introduzione di tecnologie a basso impatto e mettendo a sistema i servizi esistenti».


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