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Qui il gelato è buono per davvero

Il circuito di ex ragazzi fuori famiglia e migranti che gestisce tre gelaterie davvero uniche. Siamo entrati nel loro esercizio di Verona e conosciuto il resposnabile del punto vendita Benyamin e la gelataia Karima

di Diletta Grella

Karima ha un sorriso dolce e due profondi occhi scuri, che raccontano una lunga storia. E quando porge un cono gelato ai suoi clienti, capisci che questo per lei non è un lavoro. È qualcosa di più. «Per me fare i gelati ha significato la possibilità di riprendere in mano la mia vita. Vuol dire autonomia, vuol dire futuro» racconta. Karima lavora per “È buono”, una cooperativa nata nel 2016 dalla collaborazione tra l’Associazione Consulta Diocesana di Genova e Agevolando, la prima associazione in Italia promossa da giovani che hanno vissuto parte della loro vita in affido o in comunità.

«Sentivamo l’esigenza di dare a questi ragazzi un’opportunità lavorativa, di insegnare loro un mestiere e abbiamo pensato che il gelato potesse essere un’ottima opportunità», racconta Federico Zullo, direttore di “È buono”. «Abbiamo coinvolto Carpigiani Gelato University, la prima scuola di gelateria al mondo, e un maestro gelataio esperto, che ha formato i primi ragazzi. Dal 2016 a oggi abbiamo aperto tre gelaterie, una a Genova, una a Bologna e una a Verona. Oggi collaborano con noi 15 ragazzi, di cui 9 assunti a tempo indeterminato. In questi quattro anni, abbiamo formato più di cento persone e abbiamo dato lavoro a 30 di loro».

Orgoglio da gelatiera
«Sono arrivata in Italia dal Marocco quando avevo 9 anni» interviene Karima, che ha 25 anni e che lavora nel punto vendita di Verona, che nei mesi invernali oltre al gelato vende anche torte e altri dolci.

«Ho vissuto con mio padre e sua moglie, ma non andavamo molto d’accordo. È iniziato un periodo difficile per me e sono andata a vivere in comunità per sei anni. Cinque anni fa, è nata la mia bambina, Sofia. Nel 2018 ho incontrato Federico, che mi ha parlato di “È buono”. La prima volta che ho conosciuto i ragazzi che lavoravano in gelateria, mi sono un po’ spaventata. Erano bravissimi e sapevano fare un po’ di tutto: dalla preparazione del gelato, alla gestione del punto vendita, al rapporto con i clienti. Mi sembrava impossibile che un giorno sarei riuscita a fare tutto come loro. E invece, eccomi qui! Per me è una gioia alzarmi al mattino per venire a lavorare. Sono orgogliosa del nostro gelato, perché è un prodotto di altissima qualità. E poi è buonissimo. Vedere i nostri clienti che escono dal negozio con un sorriso, è una soddisfazione”. In effetti il gelato di “È buono” non è un gelato qualunque.

«Abbiamo studiato tantissimo» continua Zullo «e abbia mo deciso di evitare prodotti industriali e semilavorati puntando su materie prime naturali. Cerchiamo di sviluppare un circolo virtuoso con il nostro gelato, collaborando con imprese sociali che stimiamo molto. Acquistiamo per esempio alcuni ingredienti come pistacchio, mandorla e nocciola, da cooperative che lavorano su terreni confiscati alla mafia. Stiamo attenti anche al rispetto dell’ambiente: molti dei nostri ingredienti sono biologici, e stiamo lavorando perché lo siano tutti. È chiaro quindi che il nostro gelato è tre volte buono: è buono perché offriamo opportunità di lavoro a ragazzi con un passato difficile, è buono perché le nostre materie prime sono eccellenti, è buono perché collaboriamo con privati e fondazioni). Se si fossero ripetute le prestazioni del 2019, il progetto nel 2020 avrebbe raggiunto la sostenibilità, ma il Covid-19 ha purtroppo ridotto del 50% le entrate. L’obiettivo è quello di ripartire decisi nel 2021, dopo una breve pausa invernale.


Un libro e una storia
Benyamin, 33 anni, è il responsabile del negozio di Verona, dove lavora da tre anni.

«Sono cresciuto nel Kurdistan iraniano, al confine con la Turchia» racconta. «Mio padre era un pastore, io lavoravo come fornaio. Una mattina, di buon’ora, sono dovuto fuggire, senza poter abbracciare i miei familiari. In quel momento la mia vita si è azzerata. Ho iniziato un viaggio terribile in balia di criminali, attraverso la Turchia e la Grecia. Poi, su un barcone alla volta dell’Italia. Quella traversata in mare, con i corpi schiacciati l’uno contro l’altro, nel gelo della notte, con le onde alte che battevano contro di noi, non lo posso dimenticare. Pensavo che non sarei sopravvissuto. Invece ho raggiunto la Puglia, poi Milano, la Francia, la Germania e la Danimarca. Volevo fermarmi lì, ma in Puglia mi avevano preso le impronte digitali e quindi, per il regolamento di Dublino, sono dovuto tornare in Italia. Tramite un amico sono arrivato a “È buono”. Ora sono autonomo, una casa, ho imparato un mestiere e lo insegno a tanti ragazzi. E tengo corsi an che a turisti stranieri che sono curiosi di sapere come si fa il gelato».



Benyamin ha raccontato la sua storia in un libro, “Il vento ha scritto la mia storia” (ed. La Meridiana). «Ho lasciato il mio Paese nel 2010 e non sono più tornato. Il mio più grande desiderio», conclude il gelatiere originario del Kurdistan «è quello di riabbracciare mia mamma, che non ho più rivisto. Perché mi piace questo lavoro? Vi racconto una storia. Qualche tempo fa, è venuto a lavorare con me un ragazzo. Aveva sete di imparare. Quando gli ho chiesto qual era il suo obiettivo, mi ha spiegato che lui e la sorella erano cresciuti in comunità. Lui, che nel frattempo era diventato maggiorenne, ormai viveva da solo. Voleva diventare bravo e rendersi autonomo, perché così avrebbe potuto dimostrare di potersi far carico della sorella. Finalmente avrebbero potuto vivere insieme. Questa è una delle tante storie dei ragazzi che lavorano con me. Avete capito ora perché il nostro gelato è davvero buono?».


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