Cooperazione & Relazioni internazionali

Card. Zuppi: «Non torniamo quelli di prima dell’emergenza»

L'arcivescovo di Bologna ha dialogato in un evento online con il presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, sulle conseguenze sociali dell'emergenza sanitaria. «Essere cristiani è alzare lo sguardo, dare il meglio, mettersi al servizio degli altri, in difesa del prossimo, del più debole, il cristiano vive nella crisi e la crisi rivela chi è davvero cristiano», ha sottolineato il porporato

di Lorenzo Maria Alvaro

“Le conseguenze sociali del Covid-19”, è questo il titolo dell'incontro online promosso dalla Acli provinciale di Bologna live su Facebook che ha visto confrontarsi il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, e Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli.

Ad aprire il dibattito è stato proprio il porporato. «È un momento particolarmente difficile che ha sgretolato l’idea che avevamo di cavarcela con poco e la tentazione di non trarre lezioni e vere conseguenze da questa pandemia, di sprecare un’occasione, come ci dice il Papa. Insomma c’è stata la tentazione di chiudere la parentesi e rimettersi in moto. Certo che dobbiamo chiudere la parentesi ma tutto questo è qualcosa che ci richiede una comprensione più profonda. Altrimenti non capiremo come possa essere questo un segno dei tempi. È un momento estremamente difficile, ma io dico: ma perché, chi ci credevamo di essere? La crisi è la dimensione della storia, è la dimensione creativa degli uomini e infatti quando non capiamo la crisi è ci rifugiamo nei conflitti. Anche i cristiani e la Chiesa ci sono dentro, perché mica viviamo fuori dal mondo, e questo ce lo ha detto Papa Francesco in un bel discorso alla Curia: non dobbiamo esaurirci nei conflitti, girarci attorno, perdere tempo perché se giriamo così a vuoto è il segno che abbiamo dimenticato la dimensione della storia. Chi vive la crisi non ha tempo da perdere, di giocare, di fare il capo, e noi oggi abbiamo il dovere di provare a entrare nella profondità della storia. Lì ci dobbiamo essere e anche le ACLI che, non dimentichiamolo, hanno quella “C” nel loro nome: essere cristiani è alzare lo sguardo, dare il meglio, mettersi al servizio degli altri, in difesa del prossimo, del più debole, il cristiano vive nella crisi e la crisi rivela chi è davvero cristiano».

Non c'è Pasqua senza croce

«Il Vangelo ce lo dice molto chiaramente: non c’è Pasqua senza croce. Ed è vero. La pandemia rivela le fragilità, ce le fa vedere, le mette a nudo ed è una grande opportunità per capire, per non far finta, per non cercare soluzioni ingannevoli, da cerotto, ma avendo una prospettiva per questo Paese come fu per la Ricostruzione», sottolinea Zuppi ricordando il Dopoguerra, «»Io sono figlio di quella generazione che strinse la cinghia per permettere il futuro a qualcuno altro. Lo dobbiamo fare anche noi e per far questo dobbiamo uscire dal soggettivismo e dalla cronaca. Poi vorrei sottolineare il discorso sugli anziani: siamo un paese di anziani e lo saremo sempre di più, certo c’è il discorso di denatalità ma senza stabilità tutto è difficile, soprattutto è difficile pensare al futuro, a mettere su famiglia. Il tema degli anziani è centrale e rivela come pensiamo di affrontare un tema decisivo, da mettere in testa alla lista di cose da fare».

La risposta del presidente delle Acli Emiliano Manfredonia è partita dalle difficoltà incontrate dall'associazione e dall'impegno profuso durante l'emergenza. «Durante la pandemia le Acli hanno faticato a stare sul territorio. La pandemia ha colpito tutti sul piano sanitario, sul piano del lavoro, sul piano educativo ma anche sul piano delle relazioni. E le Acli, che sono un'associazione che si basa sulla relazione, che si basa sull’incontro, all’inizio si sono trovate spiazzate. Poi abbiamo imparato a usare i social e a riorganizzarci, ritessere qualche rete, a mettere in piedi incontri digitali, anche se tutto questo non è e non deve essere sostitutivo della normalità».

Rimettere al centro il lavoro

«Noi non siamo un’associazione di protezione civile, ci sono già la Caritas e altre associazioni», ha chiarito il presidente per sottolineare l'impegno enorme profuso dalle Acli, «Nonostante questo i nostri circoli partecipano a tante attività di solidarietà, collaborano in tante azioni, durante il lockdown abbiamo portato pacchi alimentari, medicine, ma dobbiamo essere complementari e portare avanti la nostra azione sociale, dobbiamo avere il coraggio di rimettere al centro le nostre comunità. Abbiamo avuto un Congresso che si è protratto per un anno, un Congresso che ci ha permesso di rimettere al centro il tema del lavoro, lavoro come riscatto, lavoro come opportunità di crescere e di mettere in piedi la famiglia ed è questo il faro su cui ci dobbiamo muovere. Questo cammino che inizia nel buio dovrà finire nella luce, parafrasando il Sommo Poeta di cui oggi ricordiamo i 700 anni dalla morte. E dobbiamo ora uscirne tutti insieme. C’è un problema di sanità pubblica, ed è inutile negarlo, la pandemia ha reso ancora più evidente quanto sia inefficiente un sistema sanitario diverso per 20 regioni, e lo dobbiamo dire con chiarezza: qui, o il vaccino è libero e disponibile per tutti, oppure quello che stiamo facendo è inutile, non è solo solidarietà ma è buon senso: come facciamo se ci vacciniamo tutti in Italia, in Europa ma poi magari i paesi africani non sono coperti e il virus lì continua e magari muta? Questo virus si combatte essendo “Fratelli tutti” come ci dice Papa Francesco, ed è un monito anche per noi aclisti: quando vedo qualcuno in difficoltà io passo e sono indifferente oppure mi fermo e cerco di dare una mano?».

Rispondere alla fragilità

Il cardinale ha ripreso la parola per sottolineare come «la precarietà va combattuta, perché è sempre frutto di qualcosa. L’enciclica “Fratelli tutti” ci aiuta, era stata scritta prima della pandemia, più su una scia di dialogo tra credenti ma poi è stata ampliata, senza perdere quella centralità che è stata data al dialogo e all’intercomunione tra tutti gli esseri umani, anche se questa poteva sembrare una banalità: quello che abbiamo vissuto nell’ultimo anno invece ci ha dimostrato il contrario. Perché subiamo la precarietà? Diciamo prima di tutto “niente retorica”, non perdiamo tempo, andiamo all’essenziale, dobbiamo cercare quello che conta davvero, quel singolare e quel plurale che avete usato io lo condivido, perché sono valide tutte e due le accezioni: la pandemia e le pandemie. Questa è una guerra mondiale a pezzi come dice Papa Francesco. Se sappiamo essere noi migliori, aiuteremo anche i ragazzi ad esserlo, se invece diventa motivo per girare intorno a sé, allora è il peggior regalo che possiamo dare ai nostri figli. Se anche i giovani vedono un cambiamento, un colpo d’ala, una perseveranza, una responsabilità, un vero modo con cui rispondere a questa fragilità, io penso che anche loro potranno fare la loro parte».

Il presidente Manfredonia ha raccontato come «i nostri sportelli di Patronato e Caf, i nostri volontari, sono la ricchezza, le nostre antenne, che ci aiutano a capire la nervatura, il tessuto della società. Devo dire che incontriamo tantissimo nervosismo rispetto allo scorso anno, nei nostri sportelli entrano milioni di persone, io dico sempre che noi facciamo democrazia, con la “D” minuscola: mentre si fanno annunci roboanti tipo che la povertà è stata abolita o che i ristori Covid copriranno tutti, poi il cittadino va davanti al nostro operatore a chiedere il sostegno, che sia Reddito di cittadinanza o Rem, ed è il nostro operatore che ha la responsabilità, che deve dirgli un si o un no e che deve capire se ci sono altre soluzioni. Questa rabbia sociale probabilmente aumenterà e i nostri uffici la stanno in qualche modo assorbendo. Poi sta anche a noi denunciare nelle istituzioni certe mancanze, ma noi sentiamo questa grande difficoltà che non deve essere repressa, ma deve essere spiegata. Questa “C” che abbiamo nella sigla io la trasformerei in “I”, la “I” di inquietudine i cristiani vivono sempre l’inquietudine, vivono i cristiani anche il silenzio del calvario e della croce ma hai tante strade dove poter lavorare. Sugli anziani: è vero, gli anziani stanno un pagando prezzo altissimo di tutto, anche di sacrificio visto che molti sono nonni e tengono i figli in questi giorni in cui le scuole sono chiuse. E poi un prezzo altissimo lo stanno pagando i nostri giovani, anche per me vale quello che diceva il Cardinale prima, basta con bonus e cerotti, i giovani di oggi hanno carenza di futuro, era già difficile prima quando emigravano oppure si assisteva al grande suicidio di massa dei NEET. Oggi, a queste problematiche, ci aggiungiamo le carenze di tipo relazionale e affettive e allora non stupiamoci quando vediamo queste risse collettive apparentemente senza senso».

Periferie e marginalità

In conclusione il card. Zuppi ricorda il tema delle marginalità. «Andare verso le periferie si è rivelata la giusta via, nella consapevolezza di quanto sia indispensabile non lasciar dietro nessuno, noi cristiano dobbiamo guarire e curare un mondo malato. Questa rabbia sociale ha una storia più antica, la pandemia l’ha solo accentuata perché questo rancore è come un lutto non elaborato, e qui dicono ”dov’è il benessere che tutti mi hanno promesso?”. È il momento di trovare soluzioni più durature, per i cristiani la risposta è sempre essere uomini di speranza, quell’impegno nel mondo che i cristiani sono tenuti ad avere in un rapporto tra l’altro e il noi che dobbiamo ricostruire. Credo che per una realtà come quella delle Acli, che mette assieme tanti settori, c’è tanto da fare. C’è la rabbia ma per poterla superare bisogna dare tanta passione, e far sentire di essere uomini di speranza, non dell’ottimismo perché non andrà tutto bene così com’è, sappiamo che dobbiamo esserlo con un rigore che sia all’altezza di questi tempi».

«Non pensiamo di sconfiggere la pandemia solo col sapere scientifico, tutto questo ci deve mettere la responsabilità di trovare le soluzioni adatte», conclude Manfredonia: «Le Acli sono nate nel ‘44 , sotto i bombardamenti, ma nessuno guardava indietro, c’era poco da voltarsi indietro e invece si guardava avanti con passione. Noi diciamo sempre “si fanno le Acli”, non “si va alle Acli” proprio perché vogliamo farle, insieme, ma dobbiamo cambiare qualche paradigma, con la speranza di essere davvero cristiani».


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