Media, Arte, Cultura

Il marchio del fanatismo sulla violenza del nostro tempo

Secondo Adrien Candiard, islamologo domenicano al Cairo, «la religione senza Dio dei fanatici si batte con la radicalità». Pubblichiamo un estratto di "Fanatismo!", il suo ultimo libro apparso da poco per i tipi della EMI, l'Editrice Missionaria Italiana

di Adrien Candiard

«Buona Pasqua ai miei amati concittadini cristiani!». Il messaggio, pubblicato sul suo profilo Facebook da un bottegaio pachistano di quarant’anni residente a Glasgow, pochi giorni prima della Pasqua del 2016, potrebbe apparire innocuo e anzi piuttosto cordiale: senza affatto rinnegare la propria fede, il suo autore, musulmano della comunità fortemente minoritaria dell’Ahmadiyya, esprime simpatia per i cristiani del suo paese di adozione, la Scozia. Eppure, secondo l’inchiesta della polizia è proprio questo post di auguri che gli varrà di essere pugnalato per strada poche ore più tardi da un musulmano come lui, che aveva visto in quell’insopportabile «Buona Pasqua» una provocazione meritevole di morte.

L’omicidio di un negoziante amichevole e tollerante non è solo un atto barbaro, è anche un gesto totalmente incomprensibile. Se al limite possiamo capire, certo senza approvarla, la logica perversa che guida la mano omicida di chi crede di vendicare il suo Dio che ritiene essere stato offeso, si fatica a vedere quale abominevole crimine possa nascondersi sotto auguri come questi, condivisi su un social network. (…) Una simile posizione, che si colloca totalmente al di fuori del campo del razionale, non reca il marchio stesso del fanatismo?

Quando scoprii questo tragico fatto di cronaca nera, (…) mi preparavo a partire per Beirut, dove sarei intervenuto a un convegno sulla violenza religiosa (…). Invitato a motivo dei miei lavori sull’islam medievale, avevo deciso di presentare il breve testo di (…) Ibn Taymiyya. Teologo musulmano del XIV secolo, egli è conosciuto soprattutto come figura di riferimento dei movimenti salafiti e jihadisti, che non cessano di citarlo (…). I suoi testi sono naturalmente letti in spregio a ogni minima considerazione del differente contesto storico. È vero che si tratta di un autore rigorista e volentieri polemico, nemico accanito dei filosofi e dei razionalisti, sostenitore di un islam battagliero ai tempi delle invasioni mongole che allora scuotevano il Vicino Oriente. Ma Ibn Taymiyya è anche una mente sottile, un pensatore coerente e preciso, che non può essere ridotto alle letture spesso caricaturali che ne fanno oggi i suoi epigoni.

(…) Ibn Taymiyya viene interrogato sul seguente punto: che cosa dobbiamo pensare dei musulmani che assieme ai cristiani partecipano all’allegria del giorno di Pasqua? (…) La risposta di Ibn Taymiyya al quesito è senza appello: i musulmani che agiscono in tal fatta devono essere richiamati all’ordine e, se persistono o sono recidivi, meritano la morte. Emettere una simile sentenza non è semplicemente dar prova di intransigenza o di rigorismo. Mi ero interessato a questo testo appunto perché mi sembrava volesse spiegare e giustificare un’opinione di per sé totalmente ingiustificabile. Ammazzare uno perché ha fatto uno scambio di uova di Pasqua mi pareva davvero insensato. Insensato quanto pugnalare un uomo che ha augurato buona Pasqua agli amici dalla sua pagina Facebook.

L’eco che quella fatwa, a secoli di distanza, aveva appena avuto nella cronaca mi lasciava interdetto. Verosimilmente, l’assassino di Glasgow non conosceva il parere giuridico di un teologo del XIV secolo; ma la similarità di opinioni, a dispetto della differenza di contesto, colpisce. Quale ragionamento comune aveva potuto portare uno studioso medievale e un tassista che vive in Gran Bretagna alla stessa conclusione assassina? Lo scopo del mio studio non è solamente arrivare alla comprensione di un esempio archeologico di fanatismo medievale, ma la ricerca di una spiegazione del male che non cessa di minacciare le nostre società attuali. Il mio lavoro di analisi di un vecchio testo dimenticato assume d’un tratto una nuova gravità, un carattere di responsabilità. Perché ho forse tra le mani una chiave per uscire dallo smarrimento. Comprendere quel vecchio testo polveroso, scritto da un autore discutibile ma incontestabilmente intelligente, un autore che mi è familiare, il quale può giustificare un gesto che io non posso capire, significa forse cominciare a cogliere qualcosa del fanatismo religioso.

Fanatismo!, da cui sono tratte queste righe, è disponibile all’interno del sito web di EMI Editrice Missionaria Italiana


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA