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Gli anziani non anziani, una soggettività di cui abbiamo bisogno

Gli over 65 sono anziani? Una parte di loro non sono nemmeno in pensione secondo la soglia della riforma Fornero. Una nozione generica come quella di anziani o di over 65 non copre l’estrema differenziazione che va da adulti maturi, ma ancora idonei alle attività dei decenni precedenti (fatta salva l’estrema variabilità dei destini individuali), e altri impegnati nei primati di longevità. Dobbiamo provare a guardare a questa fascia di over 65 in modo nuovo

di Vincenzo Mannino

Una delle poche cose che in Italia crescono è la presenza degli anziani, o presunti tali, nella nostra società. Tradizionalmente si parla di over 65. Gli over 65 oggi sono oltre il 23% della popolazione italiana, cioè quasi un quarto. Diventeranno i due terzi nel 2050.

Non si tratta di tirare a indovinare. L’anno di picco del Baby Boom è stato il 1964. La più numerosa classe dI Boomers, oggi 56enni, varcherà la soglia dei 65 nel 2029 e arriverà agli 86 nel 2050. Le aspettative di vita nel frattempo potrebbero aumentare.

Dunque la straordinaria onda di piena degli over 65 è un fenomeno imponente, ma temporaneo. Anno dopo anno arriveranno a maturazione classi progressivamente meno numerose. I nati del 2020 sono stati 404.000, cioè cerca il 60% in meno dei nati nel 1964 (1.035.000). A metà degli anni Settanta, del XXI secolo, i 56enni saranno meno della metà di quelli che abbiamo tra noi. Ma cerchiamo il profilo politico di quello che sta accadendo ora.

Gli over 65 sono anziani? Una parte di loro non sono nemmeno in pensione secondo la soglia della riforma Fornero, a parte quelle categorie, non di massa, che hanno il pensionamento a 70 anni (magistrati, professori universitari…), e a parte imprenditori, professionisti, che autoregolano i loro tempi.

Il Rapporto ISTAT 2020 ha introdotto una modalità non meramente anagrafica per determinare quando si diventa anziani. Gli uomini diventano anziani a 73 anni, le donne a 76. Questa soglia potrebbe essere innalzata nei prossimi anni. A suo tempo gli anziani diverranno vecchi in senso proprio, e andando avanti insorgeranno patologie, solitudini, riduzioni di autosufficienze. Tuttavia ci sono in Italia alcune migliaia di centenari e diverse decine, qualche centinaio talora, di persone che hanno raggiunto i 110. Non stupirà nessuno il fatto che i centenari (e i supercentenari) siano donne in grandissima maggioranza.

Una nozione generica come quella di anziani o di over 65 non copre l’estrema differenziazione che va da adulti maturi, ma ancora idonei alle attività dei decenni precedenti (fatta salva l’estrema variabilità dei destini individuali), e altri impegnati nei primati di longevità.

Per queste persone, che – ripeto – sono quasi un quarto di noi italiani e avviati a divenire un terzo, non serve una politica sola, ma molte politiche differenti. Ci vogliono politiche per la non autosufficienza, investimenti di ricerca sulle malattie più diffuse, la vera concretizzazione di una medicina del territorio, (che non è un’esigenza scoperta da poco, ma che potrebbe trovare una spinta finalmente decisiva in alcune infelici esperienze di COVID 19) e nuove dimensioni dell’abitare (di housing, oggi), che comportano una trasformazione di schemi abitativi, che in fondo oggi sono ancora quelli degli anni Sessanta del secolo scorso.

Ma va richiamata l’attenzione sugli over 65 non anziani.

Questo mondo, se preso come indifferenziato, viene di volta in volta guardato come un problema e una fonte di costi crescenti (la previdenza, la sanità…), o come un mercato, quando si guarda a specifici stili di consumo; o come una risorsa quando ci si occupa di quella parte, che può sostenere in qualche misura figli e nipoti, o alimentare un largo turismo (questa è in parte una leggenda, che copre la diffusa realtà dei vecchi poveri).

Ci sono numerose organizzazioni, associazioni, entità dal volontariato al commerciale, che si insediano in questo campo di crescente estensione. Talora sono iniziative di anziani per gli anziani. Talora di professionisti.

Nessuno sembra guardare a queste persone come soggetti di vita attiva, di opinione e di militanza politica, di iniziative di sussidiarietà, di creatività e iniziativa che non si sono spente.

È vero che in Parlamento c’erano nella scorsa legislatura, e almeno una anche nella legislatura attuale, proposte di legge per l’invecchiamento attivo ( giace al Senato una presentata da Edo Patriarca: misure per favorire l’invecchiamento attivo della popolazione attraverso l’impiego delle persone anziane in attività di utilità sociale e le iniziative di formazione permanente). Ma questi approcci (lodevoli nelle intenzioni e nelle norme programmatiche proposte) partono dalla assunzione degli anziani come soggetti. Aprono anche alla sussidiarietà, ma poi ripiegano in un paternalismo municipale. Ci si imbatte in un capovolgimento della sussidiarietà.

Spero di non essere irrispettoso, ma folle di nonni vigili (eventualmente gratificati dal Comune con un buono pasto, a volte utile), che provvedono alla sicurezza di nipoti che non hanno, non è la prospettiva che risolve.

In una sapiente relazione di Giuseppe De Rita (primo Congresso Internazionale di pastorale degli anziani del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, 29-31 gennaio 2020) la longevità viene caratterizzata per la solitudine, per la mancanza di fini, per il rapporto con la creaturalita’.

Qui prendo a spunto la seconda condizione, molto evidente in coloro che con la pensione o con il venir meno di elementi familiari perdono quanto li aveva motivati finora.

Certo, di questa mancanza soffrono meno quelli che continuano a svolgere l’attività precedente, quelli che hanno compiti familiari rilevanti, quelli che riconvertono le proprie energie nel volontariato. Se ci si affaccia a un corso per aspiranti volontari della Caritas, si scopre questo volto dei neopensionati: un diffuso profondo giacimento di energie alla ricerca di nuovi investimenti delle energie personali.

Prendo in prestito alcune parole da un contesto ben diverso. In un Motu proprio del 18 gennaio 2018, rivolgendosi, aspetto rilevante, a over 75, papa Francesco indica questa strada: imparare a congedarsi (è anche il titolo della lettera apostolica), elaborare un nuovo progetto di vita, essere disponibili a servizi più semplici. Congedarsi, per chi debba o voglia farlo, apre lo spazio di libertà che non nega un tempo creativo.

Chiusa, o meglio sospesa questa digressione, che chi fosse interessato può proseguire con gli indizi forniti, torniamo ai nostri milioni di neolongevi, accantonati fuori campo, come se non avessero, o come se il nostro paese non avesse bisogno, di energie civili, sociali e affettive, innanzitutto della generosa capacità di vivere la speranza in capo agli altri.

Dunque le persone che compongono questa grande parte della società non devono essere solo oggetti e destinatari di misure e di politiche, ma vanno invitati a una rilanciata soggettività, che può darci molto di cui abbiamo bisogno. Alcuni elementi utili si trovano nel Libro verde sull’invecchiamento demografico della Commissione UE.

Una forza politica nuova e moderna, capace di futuro, non dovrebbe ripiegarsi su un giovanilismo di maniera (senza neanche tentare di parlarci, con i giovani, come alcuni fanno) ma dovrebbe anche dare voce, ed essere voce, di questi innumerevoli concittadini spesso silenti.

Se gli over 65 sono soggetti, con più tempo libero, meno condizionati da convenzioni professionali, desiderosi di vita, partners di un progetto evolutivo, allora anche le politiche specifiche, che ovviamente occorrono, possono essere più costruttive e dinamiche. Non possiamo permetterci che porzioni grandi della società italiana non partecipino con tutto il loro potenziale alla vita comune.

Il punto è questo: come possiamo assecondare, anzi promuovere, il ruolo attivo di una parte così grande della popolazione? Invitarli a un ruolo di proscenio, civile e sociale innanzitutto, è necessario.

Nei prossimi tre decenni la politica dovrà saper essere interlocutore di questa realtà.


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