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Torniamo alle cartoline e abbandoniamo la vetrinizzazione rapace dei post

«Molto spesso si è intossicato il racconto del viaggio, perché deve sottostare alla grammatica di uno storytelling costruito a tavolino che molto spesso sottende logiche iperconsumistiche che hanno portato all’overtourism» scrive sul numero di VITA di maggio, Paolo Iabichino, direttore creativo e fondatore dell’Osservatorio Civic Brands con Ipsos Italia, ragionando sulla parola “racconto”. È una dei sette interventi che trovate sulle “parole per trovare la strada giusta”

di Paolo Iabichino

Basta pensare a come sono cambiati i documenti narrativi del viaggio per capire la trasformazione che è avvenuta nel racconto legato al turismo. Una volta c’erano le cartoline, che avevano un valore testimoniale. Oggi ci sono i social media con i post, che hanno invece un valore narcisistico. Quindi due strumenti che fanno lavori completamente diversi dal punto di vista narrativo: la cartolina serviva per dire dove si era stati per comunicare a qualcuno un affetto.

Il post vetrinizza l’esperienza, con tutti gli eccessi che ne derivano, perché non si limita a dire dove è stato il viaggiatore, ma ostenta un’esperienza turistica inficiando inevitabilmente tutta la costruzione narrativa. La deriva di questo mutamento è ricaduto sulle destinazioni e sugli addetti ai lavori. Perché entrambi oggi sembrano preferire le dinamiche dei like a quelle, più compiute, di narrazioni valoriali. Purtroppo, in questo modo, molto spesso si è intossicato il racconto del viaggio, perché deve sottostare alla grammatica di uno storytelling costruito a tavolino che molto spesso sottende logiche iperconsumistiche che hanno portato all’overtourism.

Se è vero che il social media torna a mettere al centro l’esperienza, rispetto alle vecchie cartoline o foto, ma in nome e per conto dell’esperienza bisogna ricordare che si sono consumati dei veri drammi nel mondo del turismo. È stata una delle prime industrie infatti a fare propria, in tempi non sospetti, la logica dell’experience marketing, per cui l’idea che al prodotto doveva necessariamente essere cucita intorno una qualche esperienza. Un’esigenza che nasce per significare dei punti di differenza narrativa che alla fine hanno creato solo delle grandi melasse esperienziali, con in realtà cluster di esperienza che si muovono tranquillamente e in maniera indistinta dalle Langhe a Lampedusa. Ci sono i cluster enogastronomici, quelli dei camminamenti, quelli del bike tourism, e così via…

Quello che alla fine si perde realmente è l’identità dei luoghi che sempre più spesso è confezionata per essere consumata e non viene narrata per essere ascoltata, conosciuta ed esperita con consapevolezza. La responsabilità principale è attribuibile a tutti coloro che si sono affacciati con noncuranza concentrandosi solo su un etichettatura del “prodotto”, per renderlo accessibile attraverso cataloghi di vendita digitale e keyword dei motori di ricerca. Abbiamo così perso la connessione più sincera con i local e quindi con esperienze indigene che portano con sé una vocazione identitaria. Ci rimane solo l’istanza consumistica, vorace, che ha come unico obiettivo il racconto dell’esperienza senza conoscenza. Se, per assurdo, oggi togliessimo ai turisti lo smartphone toglieremmo loro il vero scopo del viaggio.

In questo contesto si è innestata la variabile impazzita del Covid. L’emergenza ci ha insegnato una grande lezione, la cui testimonianza arriva anche da altre industrie: finalmente anche il mondo del turismo si vedrà costretto a ricodificare le proprie logiche di mercato, rinunciando alle iperboli eccessive che hanno dimostrato il vero proprio limite. In tutte le industrie infatti si sta registrando una certa diffidenza nei confronti delle dinamiche iperconsumistiche. Credo che l’overtourism possa registrare una battuta d’arresto, esattamente come accade altrove per l’over-consumption. Qualcosa di cui il turismo potrà solo beneficiare. Che alcune destinazioni possano essere ridimensionate dal punto di vista del racconto per provare a proteggerle e abbassare i toni della voracità privilegiando un tono maggiormente selettivo che introduca una nuova poetica del viaggio non ostentativa ma culturale, conoscitiva e di incontro, è un dato importante.

C’è un tema di sostenibilità dei luoghi. Le località che incontrano le fortune di un turismo esasperato ne escono stravolte. Basti pensare a Venezia o alle Cinque Terre. Il turismo stravolge i luoghi. Fino ad oggi si è privilegiata questa rapacità turistica. Il racconto ha una grande responsabilità in questo senso…


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*Paolo Iabichino, direttore creativo e fondatore dell’Osservatorio Civic Brands, con Ipsos Italia

Nella foto di cover la visita con il caschetto, alla Basilica di Santa Maria delle Vigne di Genova, è tra una delle attività proposte da “Kalatà!”


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