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L’ipocrisia delle politiche migratorie di Biden

Mai negli ultimi due decenni una amministrazione Usa aveva totalizzato quasi 1,7 milioni di arresti sul confine con il Messico in un solo anno fiscale. E dietro questi numeri c'è una prassi che su tanti punti nei fatti sta tradendo le promesse elettorali di pochi mesi fa

di Paolo Manzo

L'amministrazione Biden si sta avvicinando a un record storico nell'anno fiscale che si concluderà il prossimo 30 settembre nella cattura di migranti al confine tra Stati Uniti e Messico. Si tratta di quasi 1,7 milioni di arresti. Mai successo prima da 21 anni a questa parte. Il problema di base è la discrasia tra le promesse fatte in campagna elettorale dal presidente Joe Biden e la realtà che, nei suoi primi otto mesi alla Casa Bianca, si sono trovati di fronte i migranti provenienti da ogni parte del mondo con in mente il “sogno americano”. Certo, rispetto al passato è cambiato il contesto in un mondo sempre più globalizzato e, così, oggi a volere entrare negli Stati Uniti non sono più i messicani (anzi il bilancio netto migratorio tra gli Usa ed il suo vicino del Sud è in pari) bensì un’ondata di centro-americani, caraibici e sudamericani, oltre che ad un numero crescente anche se residuale di africani e asiatici. Guatemala, El Salvador ed Honduras sono le tre nazioni che, da sole, costituiscono circa al 50% del flusso migratorio illegale totale mentre il resto proviene da Haiti, Cuba, Venezuela e Nicaragua – quattro nazioni alle prese con crisi socio-economiche drammatiche – oltre che da altri paesi del Sudamerica come ad esempio il Brasile, dove la crisi del Covid-19 ha colpito in modo duro soprattutto le fasce di popolazione più deboli.

Se questo è il contesto, cosa non funziona nella gestione Biden della migrazione? Innanzitutto le false aspettative createsi in campagna elettorale. Il presidente statunitense aveva promesso di eliminare il Migrant Protection Protocol con cui Trump in cambio di investimenti per 10 miliardi di dollari aveva ottenuto che il presidente del Messico, López Obrador, fermasse il flusso di migranti. In questi ultimi anni, così, il Messico aveva ospitato circa 80.000 richiedenti asilo negli USA – quasi tutti migranti da America Centrale, Cuba e Haiti, in campi profughi lungo il confine con gli Stati Uniti. Biden ha di fatto cancellato appena insediatosi il programma trumpiano “Rimani in Messico” ma non lo ha sostituito con nulla in grado di accelerare l’iter per ottenere l’asilo negli Usa. Risultato? Centri di prima accoglienza americani intasati che, sovente, di “prima accoglienza” hanno poco o nulla.

Basti pensare al caso dei 14mila immigrati, quasi tutti provenienti da Haiti, che vivono da settimane in una baraccopoli improvvisata sotto un ponte del Texas meridionale. Il buon senso porterebbe a dire che mai si sarebbe dovuti arrivare ad una situazione del genere anche perché, a causa del caldo torrido (38 gradi), dell’igiene precaria (tutti fanno i loro bisogni e si lavano nel fiume) e della fame, la tensione con la comunità di confine di Del Rio – 36mila anime che adesso hanno visto crescere in un mese di oltre un terzo la loro popolazione – è oggi alle stelle. Da Haiti, data la situazione, è normale che in molti vogliano andarsene, soprattutto da tre mesi a questa parte visto che prima l’omicidio del presidente Jovenel Moise, poi il terremoto e dulcis in fundo l’uragano Grace hanno aggiunto ulteriore incertezza, miseria e morte ad una situazione già prima al limite, con “la dittatura dei sequestri” (definizione della Conferenza episcopale haitiana) gestita dalle gang locali, la violenza endemica ed il maggior tasso di denutrizione al mondo. In tal senso è contraddittorio l’atteggiamento dell’amministrazione Biden che dopo avere detto, per bocca del capo del Dipartimento per la Sicurezza Interna, Alejandro Mayorkas, che “gli haitiani e i cubani via mare non entreranno negli Stati Uniti” (lo scorso 13 luglio), da domenica 19 settembre ha attivato un ponte aereo per “deportare ad Haiti” i 14mila disperati di Del Rio. Per rimpatriare a forza questi haitiani (così come migliaia di altri migranti entrati in modo illegale sul suolo americano) Biden si avvale da 8 mesi di una legge introdotta da Trump e nota come “Titolo 42”, volta a “salvaguardare la salute degli statunitensi durante la pandemia”. Una legge che chiude di fatto le frontiere fino a quando perdureranno i rischi legati alle varie varianti del Covid-19. Nei giorni scorsi un giudice locale ha tentato di bloccare per due settimane l’applicazione del “Titolo 42”, ma inutilmente. Non bastasse, il mese scorso, la Corte Suprema ha costretto lo stesso Biden a reintrodurre il “Migrant Protection Protocol”, come abbiamo dettagliato su Vita.it.

Biden aveva anche promesso di inviare nei suoi primi 100 giorni un disegno di legge al Congresso con un "percorso rapido verso la cittadinanza" per gli almeno 11 milioni di irregolari che vivono negli Stati Uniti, la maggior parte dei quali oriundi di Messico, America Centrale e Caraibi. Sinora, tuttavia, tutto tace su questo fronte. Destinati ad aumentare secondo le promesse elettorali erano i fondi che gli USA dovevano trasferire a Guatemala, Honduras ed El Salvador per eliminare le cause strutturali delle migrazioni, ovvero aumentare la sicurezza, la trasparenza, la qualità della vita e la produttività per aumentare l’occupazione. In tutto si trattava di 4 miliardi di dollari, molti di più di quelli distribuiti dallo stesso Biden durante l’amministrazione Obama quando era direttore della “Alliance for Prosperity”. Ma anche qui Biden, per ora, ha concesso solo briciole, così come nulla o quasi ha fatto per nuovi accordi con il Messico, paese decisivo se si vuole affrontare in modo serio il tema migratorio negli Stati Uniti. Dal punto di vista pratico, il vero problema per il milione e 700mila stranieri entrati in modo clandestino e fermati tra il 1 ottobre 2020 ed il 30 settembre di quest’anno è però la burocrazia intorno alle domande di asilo, che vengono evase con una “lentezza pachidermica” a detta degli analisti (strano a dirsi per un paese come gli Stati Uniti). A differenza delle espulsioni che invece volano, come nel caso, vergognoso, degli haitiani rispediti nel loro inferno. Alla faccia della solidarietà e delle parole della campagna elettorale.


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