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Anziani non autosufficienti: la riforma futura ce la giochiamo adesso

La riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti è prevista dal PNRR tra il 2023 e il 2024. Adesso, però, si sta definendo l’utilizzo degli investimenti straordinari sulla domiciliarità per il periodo 2022-2026: le scelte che verranno fatte condizioneranno profondamente la successiva riforma. Per impiegare questi investimenti al meglio, il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza propone un Piano Nazionale di Domiciliarità Integrata.

di Sara De Carli

Dopo tanto parlare di domiciliarità, qualche timore la Nota di aggiornamento al DEF appena presentata la dà: non c’è traccia di nuovi fondi da mettere in Legge di Bilancio per il servizio di assistenza domiciliare socio-assistenziale erogato dai Comuni, un pezzo di domiciliarità per gli anziani non autosufficienti che ha assoluto bisogno di essere implementato e che non ha linee di finanziamento nel PNRR. È un elemento di preoccupazione perché una parte importante della tanto attesa riforma dell’assistenza agli anziani autosufficienti, inserita nel PNRR grazie alla richiesta e alla pressione delle numerose organizzazioni sociali oggi raccolte nel “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” si gioca in questi mesi e proprio a partire dal disegno di una nuova domiciliarità. Il Patto – composto attualmente 43 organizzazioni e coordinato dal professor Cristiano Gori – ha elaborato e proposto un “Piano Nazionale di Domiciliarità Integrata” per gli anziani non autosufficienti, da avviare nel 2022. «La nostra proposta non inventa niente. Sintetizza una visione ampiamente condivisa fra gli addetti ai lavori», sottolinea il professor Gori. «L’osservazione migliore che è stata fatta al nostro Piano è che non è originale. Questa ampia condivisione è un punto di forza. Le cose da fare si sanno, il punto è persuadere i decisori a metterle in pratica. Questo è il motivo all’origine della proposta del Piano Nazionale di Domiciliarità Integrata e della spinta delle tante realtà presenti nel Patto per la sua introduzione».

Professor Gori, perché partite proprio dalla domiciliarità?
Il Patto ritiene necessario rafforzare l’intera filiera dei servizi per gli anziani non autosufficienti: quelli domiciliari, semi-residenziali e residenziali. Questi servizi, infatti, sono tra loro complementari. Sarà pure necessario intervenire sulla regolazione dell’attività delle badanti, così come su altri temi. Semplicemente, gli investimenti del PNRR concentrano i nuovi stanziamenti per la non autosufficienza sugli interventi a domicilio e il loro utilizzo è in via di definizione. Adesso è, quindi, il momento di presentare una proposta per la domiciliarità.

Qual è la posta in gioco?
Se l’intervento sulla domiciliarità sarà coerente con la successiva riforma, rappresenterà l’inizio di un percorso di miglioramento di tali interventi. Al contrario, se la domiciliarità partirà prendendo una direzione diversa da quella della futura riforma, per esempio accontentandosi di replicare su scala maggiore le stesse risposte esistenti oggi, rappresenterà la premessa per il fallimento di quest’ultima. Sono le azioni, prima delle norme, a definire il cambiamento: con le scelte che si fanno adesso e che determineranno le azioni nei territori nel periodo di utilizzo dei fondi del PNRR (2022-2026), di fatto si disegnerà già il campo. In altre parole, con le scelte di questi mesi ci giochiamo una parte del futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti.

La domiciliarità è il “primo treno” che parte quanto a risorse messe già in campo e da utilizzare, ma allo stesso tempo immagino che sul tema ci sia anche una oggettiva urgenza di dare risposte agli anziani e alle loro famiglie.
Certamente, dobbiamo cominciare a fornire migliori risposte ad anziani e famiglie, non si può aspettare l’introduzione – tra il 2023 e il 2024 – della riforma complessiva dell’assistenza agli anziani non autosufficienti prevista dal PNRR. E, allo stesso tempo, dobbiamo sfruttare il periodo precedente alla riforma per iniziando a modificare gli interventi nella sua direzione. Il rischio da evitare, invece, è quello di una contraddizione tra le misure attivate adesso e gli scopi della successiva riforma.

Se la domiciliarità partirà prendendo una direzione diversa da quella della futura riforma, per esempio accontentandosi di replicare su scala maggiore le stesse risposte esistenti oggi, rappresenterà la premessa per il fallimento di quest’ultima. Sono le azioni, prima delle norme, a definire il cambiamento: con le scelte che si fanno adesso e che determineranno le azioni nei territori nel periodo di utilizzo dei fondi del PNRR (2022-2026), di fatto si disegnerà già il campo. In altre parole, con le scelte di questi mesi ci giochiamo una parte del futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti.

Cristiano Gori

Il Piano che proponete prevede tre azioni: cambiare il modello d’intervento dell’Adi (Assistenza domiciliare integrata, delle Asl), stanziare maggiori risorse per il Sad (Servizio di assistenza domiciliare, dei Comuni) e realizzare risposte integrate.
Queste azioni sono accomunate dalla visione di medio-lungo periodo a cui tendere, che è la stessa indicata dal PNRR per la riforma: seguire un approccio di care multidimensionale, cioè risposte progettate a partire da uno sguardo complessivo sulla condizione dell’anziano non autosufficiente, sui suoi molteplici fattori di fragilità, sul suo contesto di vita e le sue relazioni. La persona ha diritto ad avere il giusto mix delle diverse prestazioni che la sua situazione richiede, nell’ambito di un pacchetto unitario e integrato, con una frequenza adeguata e per il tempo necessario. Il Piano vuole avviare un percorso che avvicini progressivamente il sistema a questo approccio. Il Piano dovrebbe essere avviato nel 2022: poiché i suoi obiettivi sono gli stessi della riforma, una volta che questa verrà introdotta vi confluirà.

La definizione di assistenza agli anziani non autosufficienti della Commissione Europea esclude l’Adi prestazionale da questo settore del welfare. Noi proponiamo di ridisegnare l’Adi seguendo il modello del care multidimensionale, quindi prevedendo risposte più ampie, più articolate negli interventi, assicurando un sostegno più frequente per periodi più lunghi. In pratica, sull’Adi occorre fare una operazione mai fatta, quella di raccogliere e analizzare il reale bisogno assistenziale degli anziani non autosufficienti e partendo da lì, di conseguenza, disegnare pacchetti di risposte opportuni.

Cristiano Gori

Perché il modello d’intervento dell’Adi va cambianto?
In Italia, pur con importanti eccezioni locali, prevale un modello di Adi prestazionale: l’erogazione di singole prestazioni di natura medico-infermieristico-riabilitativa per far fronte a specifiche e circoscritte esigenze sanitarie, in assenza di una risposta che prenda in considerazione le molteplici dimensioni della vita legate alla non autosufficienza e la loro complessità. Tale modello si riflette in livelli d’intensità e durata molto bassi. Il valore medio di ore erogate annualmente per utente è pari a 18 e il periodo della presa in carico, perlopiù, non supera i 2-3 mesi (ad es. quelli successivi ad una dimissione ospedaliera). La realtà degli anziani però, richiede interventi più ampi e articolati, e quindi, un sostegno più frequente assicurato per periodi ben più lunghi. Non a caso, la definizione di assistenza agli anziani non autosufficienti della Commissione Europea esclude l’Adi prestazionale da questo settore del welfare. Noi proponiamo di ridisegnare l’Adi seguendo il modello del care multidimensionale, quindi prevedendo risposte più ampie, più articolate negli interventi, assicurando un sostegno più frequente per periodi più lunghi. In pratica, sull’Adi occorre fare una operazione mai fatta, quella di raccogliere e analizzare il reale bisogno assistenziale degli anziani non autosufficienti e partendo da lì, di conseguenza, disegnare pacchetti di risposte opportuni.

Perché per il Sad chiedete più risorse?
Oggi il Sad è del tutto marginale: copre solo l’1,3% degli anziani, con una spesa annuale che ammonta a 347 milioni di euro senza alcun incremento significativo previsto. Per contro l’Adi conta su 1,3 miliardi annui, che con il PNRR aumentano progressivamente fino a 2,9 miliardi nel 2026. Di fatto la prospettiva è quella di arrivare al 2026 con 360 milioni di euro l’anno per il Sad e 2,9 miliardi per l’Adi, che significa che ogni 100 euro spesi per l’Adi se ne spenderanno 12 per il Sad. Il divario di risorse sarà tale che la prospettiva di dare risposte integrate diventerà del tutto irrealistica. Per questo il Piano prevede nella Legge di Bilancio 2022 un finanziamento dedicato al Sad: +302 milioni di euro nel 2022, +373 nel 2023 e +468 nel 2024. Il prossimo anno l’utenza raddoppierebbe rispetto a oggi, per arrivare a coprire il 3,3% degli anziani nel 2024. Il finanziamento sarebbe legato al riconoscimento del Sad come livello essenziale delle prestazioni, in modo da strutturarne la presenza nei territori in modo stabile. Si assicurerebbe così uno standard percentuale minimo di anziani raggiunti in tutto il Paese e si garantirebbero alle Regioni che già lo rispettano risorse per incrementare ulteriormente l’offerta. Il Piano prevede anche di ripensare il modello d’intervento del Sad. Oggi prevale la focalizzazione sugli anziani disagiati: la sola non autosufficienza generalmente non basta per poter ricevere questo servizio, che viene utilizzato per rispondere a situazioni la cui complessità dipende anche da reti familiari particolarmente carenti e/o da ridotte disponibilità economiche dell’anziano. La prospettiva, invece, è di aprire progressivamente il Sad agli anziani non autosufficienti in quanto tali e alle loro esigenze.

Di fatto la prospettiva è quella di arrivare al 2026 con 360 milioni di euro l’anno per il Sad e 2,9 miliardi per l’Adi, che significa che ogni 100 euro spesi per l’Adi se ne spenderanno 12 per il Sad. Il divario di risorse sarà tale che la prospettiva di dare risposte integrate diventerà del tutto irrealistica. Per questo il Piano prevede nella Legge di Bilancio 2022 un finanziamento dedicato al Sad:

Cristiano Gori

In che modo proponete di realizzare risposte integrate?
Nell’unico modo possibile: lavorando in parallelo a livello di Ministeri e a livello di territori. Non si può chiedere a Comuni e Asl di lavorare insieme se non sono i dicasteri competenti i primi a farlo. Si prevede, dunque, che i Ministeri responsabili della non autosufficienza (Welfare e Salute) costituiscano una Cabina di Regia nazionale unitaria, responsabile delle leve cruciali di governo del Piano Domiciliarità. Nei territori, il Piano Domiciliarità stabilisce che nel 2022 tutti gli Ambiti sociali (Comuni) e i Distretti sanitari (Asl) stipulino un accordo per realizzare insieme i requisiti organizzativi di base per un approccio integrato: l’unità di valutazione multidimensionale, il progetto personalizzato integrato, il responsabile del caso. Gli ulteriori passi necessari per costruire risposte integrate – ad esempio lo sviluppo dei punti unici di accesso – seguiranno negli anni successivi. L’unico modo per radicare il cambiamento, a nostro parere, è costruirlo gradualmente.

Che cosa accomuna i diversi passaggi proposti?
Sia nel Sad che nell’Adi s’intende compiere un’operazione simile: avviare un processo di superamento del modello d’intervento oggi prevalente (rispettivamente del disagio e prestazionale) per meglio focalizzare i servizi sulla reale situazione di anziani e famiglie, nella direzione dell’approccio del care multidimensionale. Tale percorso convergente crea le condizioni per realizzare risposte integrate.

Foto di Anna Shvets da Pexels


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