Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Famiglia & Minori

Se morire per denaro diventa la regola del gioco

Spopola anche tra i bambini della primaria Squid Games, vietato ai minori di 14 anni. E questo è già un tema. Dafne Guida, Stripes: «Quello del gioco e delle regole del gioco è il linguaggio più familiare per il bambino, è qualcosa che lo ingaggia, è una cosa bella. Sappiamo che si impara per emulazione, fino ai 11-12 anni l’apprendimento è concretezza, ripetizione… L’idea che le regole del gioco abbiano a che fare con un esito mortale è pericolosa»

di Sara De Carli

Dicono che sia il più grande successo di sempre di Netflix, con 111 milioni di account raggiunti. Dicono che la ricetta dei suoi biscotti stia spopolando. E che su TikTok sia pieno di video di ragazzini che replicano i suoi giochi: l’eliminazione da “Un, due, tre stella” con uno schiaffo o con colpo di pistola simulato. Dicono che sia il fenomeno del momento e di conseguenza anche io ho viste tre puntate ieri sera.

Squid Game è una serie coreana che ha debuttato su Netflix a metà settembre: segue 456 concorrenti disperati, pieni di debiti, che accettano di partecipare a un gioco in un luogo segreto. Gareggiano in un gigantesco uno contro tutti per vincere il montepremi di 45,6 miliardi di won (poco più di 33 milioni di euro). I giochi – ha rivendicato con orgoglio il regista – sono semplici giochi per bambini, appunto come “uno, due, tre stella”. Quello che i concorrenti all'inizio non sanno è che chi perde al gioco non solo esce dal gioco, ma viene ucciso. Eliminato in senso letterale. La serie è vietata ai minori 14 anni, docenti ed educatori raccontano che in realtà il “tutti ne parlano”, riguarda non solo i preadolescenti ma anche i bambini della scuola primaria. Qui sotto il confronto delle ricerche per “Squid Game” in Italia e nel mondo negli ultimi trenta giorni, con il maggior numero di ricerche effettuate nel mondo a Singapore, Filippine e Azerbaigian e in Italia in Campania, Calabria e Puglia.

«La mente dei bambini e dei preadolescenti non è in grado di metabolizzare i contenuti di una serie come “Squid game”», ha scritto oggi il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai, sottolineando la violenza esplicita della serie. «E noi adulti dovremmo smetterla di affermare a priori che è “vietato vietare”: “vietato ai minori di 14 anni” non è un messaggio che reprime la crescita ma che la protegge, la sostiene e la promuove».

Dafne Guida è la presidente di Stripes, una cooperativa sociale del nord milanese, molto attenta ai nuovi linguaggi e al digitale. Alcuni anni fa in una scuola media con cui lavoravano alcuni ragazzini si “sfidarono” al “gioco” di stare a bordo delle rotaie del treno, per attraversarle all’ultimo momento, con il treno di passaggio. «Il gioco mortale da cui ti salvi perché “sei figo” è una cosa che attira gli adolescenti. Ma unire intenzionalmente la parola gioco a questo elemento dell’esito mortale è un’operazione machiavellica. Quello del gioco e delle regole del gioco è il linguaggio più familiare per il bambino, è qualcosa che lo ingaggia, è una cosa bella. Sappiamo che si impara per emulazione, il periodo logico formale è 11-12 anni, fino a quel momento l’apprendimento è concretezza, ripetizione… L’idea che le regole del gioco – in particolare regole del gioco così semplici, come quelle dei giochi di cui si parla qui – abbiano a che fare con un esito mortale è un’idea pericolosa, perché il gioco mortale sta all’origine di alcuni atteggiamenti trasgressivi, come abbiamo già visto in passato. Non voglio fare la moralista, ma un minimo di controllo in più servirebbe da parte dei genitori. Secondo me non c’è consapevolezza, i genitori non l’hanno visto e non sanno cosa guardano i figli il pomeriggio, quando sono a casa da soli. Non è raro che la password di Netflix la sappiano i figli e non i genitori, la verità è questa. Quelli che hanno capito di cosa si parla lo stanno vietando, ma alcuni genitori ci hanno chiesto di parlarne insieme ai ragazzi preoccupati del fatto che stanno iniziando a schiaffeggiarsi tra loro: è stato messo a tema il fermare gli schiaffi, non la visione della serie», racconta.

All’ultima équipe di Stripes l’argomento Squid Game è arrivato prepotentemente sul tavolo della discussione: davvero lo stanno guardano anche bambini della scuola primaria, se lo raccontano fra loro, all’intervallo giocano a “Un, due, tre stella” e si eliminano con le dita a pistola. «Un altro aspetto che è emerso è l’apparente distacco del messaggio: questi uomini in tuta, tutti uguali, con la maschera sul viso, sembrano quasi non umani. Somigliano ai codici di un videogioco. I bambini non percepiscono che vengono uccise persone. Non emerge in maniera chiara i nessi di causa effetto e così il rischio insito nell’emulazione diventa ancora più alto: volare dall’alto è provare la propria bravura, ma non si rendono conto che quando sei planato ti schianti», prosegue Guida.

Il terzo elemento è quello del denaro. Si gioca, accettando che tra le regole del gioco ci sia la morte, perché in gioco c’è una somma indicibile di denaro, quella che ti permetterebbe di svoltare e di uscire da una vita “che è già un inferno” come dice più di un protagonista. È il denaro che fa andare ed è il denaro che fa tornare, superando ogni remora, che sia quella della paura per la propria vita o quella della morale. Al di là del bene e del male. «È una metafora dello stare in pista, uno contro tutti, mors tua vita mea, che dipende in toto dal denaro. Non esattamente il principio che vogliamo passare ai ragazzini».

Si può vede o no? «Per i bambini no. Con i più grandi può essere interessante come spunto critico, per fare certi ragionamenti: non escludo che ci possa essere una visione accompagnata per far lavorare i ragazzi attorno a temi così importanti, ma certamente per Squid Game non può esserci la visione autonoma, da soli, senza accompagnamento di un adulto».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA