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Sostenibilità sociale e ambientale

Dopo il catastrofismo: per una nuova mente ecologica

Saggezza, un metodo per realizzarla e una comunità inclusiva sono i tre fondamenti della mente ecologica. Insieme a un nuovo linguaggio

di Stefano Davide Bettera

È fuori discussione che la crisi climatica che stiamo affrontando richiede atti e risposte radicali senza precedenti. La rapidità con cui si è presentata in questi ultimi anni, la sua ferocia, la totale imprevedibilità e la difficoltà di prevedere gli scenari futuri rende la nostra incertezza totale e ci fa sentire ancora più fragili di fronte a un pianeta che sembra non volerci più. Occorre capire, in primo luogo, qual è la strada più efficace da seguire per prendersi cura di questa ferita, senza che gli atti e il linguaggio, finiscano per generare ulteriore divisione, non utile alla chiarezza. Ci servono, allora, tre elementi: una nuova mente ecologica, un metodo per realizzarla e una comunità che si assuma il compito di tutelarla e diffonderla. È proprio questa la sfida che abbiamo di fronte: agire e non semplicemente reagire di fronte a un’emergenza. Un cammino che inizia dal cambio di prospettiva e linguaggio.

L’eco-filosofo Timothy Morton[1] sostiene che è tempo di liberarci dell’idea che parlare di ecologia equivalga a parlare di natura e ci esorta a pensare proprio un ambientalismo senza natura e con una diversa narrazione della crisi climatica. La sua tesi severa è che il grande limite dei movimenti ecologisti sta nell’aver utilizzato un linguaggio e un approccio moralista e inefficace. Morton sottolinea che in quanto parte della stessa biosfera, la distinzione tra umano e non umano, “cultura versus natura”, è solo “una sovrapposizione concettuale. Non significa nulla da un punto di vista logico e viene usata solo per scopi negativi, per distinguere forme ‘naturali’ e ‘innaturali’ di genere e sesso. L’evoluzione non lo fa affatto»[2]. E si sofferma su quello che è diventato il tema chiave del discorso pubblico ambientalista, il cambiamento climatico. Questo viene presentato sempre e solo come una catastrofe in termini di spazio e di tempo. Anzi, gli ambientalisti fondano tradizionalmente il loro ragionamento su dati e raccomandazioni, ossia su numeri e un immaginario che ci fanno sentire in colpa. Già nel 1979 in Le Principe responsabilité, il filosofo Hans Jonas scriveva che per consentire la sopravvivenza del pianeta, occorre porre fine alla ragione dell'Illuminismo, che non ha prodotto altro che disastri, a quell’"un'euristica della paura" che ci porta a drammatizzare, preoccuparci, amplificare, amplificare, esagerare, spaventare. Quindi, l'esatto contrario di pensare, esaminare, riflettere e discutere.

È emblematico il “caso Michael Shellenberger” ambientalista e attivista del clima, nominato “Eroe dell’Ambiente” nel 2008 dalla rivista Time, fondatore e presidente di Environmental Progress. In un lungo articolo pubblicato sul sito della sua organizzazione, si è scusato pubblicamente per l’allarmismo climatico creato negli ultimi trent’anni dal movimento ambientalista. Dopo queste dichiarazioni è stato bollato come “negazionista climatico” attirando l’ira di molti attivisti che sposano invece una linea più intransigente. In realtà le sue posizioni si fondano sui migliori studi scientifici disponibili, inclusi quelli condotti o accettati da IPCC, FAO, IUCN e altri principali organismi scientifici. Con grande onestà, ammette di essersi riferito ai cambiamenti climatici come ad una minaccia “esistenziale” per la civiltà umana e di essere rimasto in silenzio sulla campagna di disinformazione sul clima per la paura di perdere amici e finanziamenti mentre i suoi colleghi ambientalisti terrorizzavano il pubblico. La critica di Morton, Shellemberger e Jonas, dunque, non riguarda l’evidenza della crisi climatica ma la scelta del modo di affrontare, nel dibattito pubblico questo genere di problemi. Invece di stimolare le persone a pensare con lucidità, questa strategia comunicativa è un ostacolo alla capacità di agire liberamente e creativamente. Occorre, perciò, una rivoluzione nell’approccio per sviluppare una nuova coscienza ecologica e, in questa sfida la saggezza della filosofia può giocare un ruolo importante nella scelta di avere un approccio problematico e profondo nei confronti della realtà. Ci aiuta a comprendere che il “come” è tanto importante quanto il “cosa” pensiamo e soprattutto lo è il come lo esprimiamo, come diamo corpo concreto, tangibile, ai pensieri, alle idee.

Si inizia creando le condizioni perché la mente ecologica emerga e la strada è la contaminazione, l’apertura, il dialogo. La contaminazione permette la conoscenza, si apre al dialogo, permette di inserire alcuni elementi di saggezza "involontaria" in contesti diversi. Come ad esempio la scelta di alcuni attivisti ambientali che scelgono di sedersi in meditazione in mezzo alla strada, solo per testimoniare con il silenzio, una presenza. Pratiche come questa non sono certamente nuove e il movimento di disobbedienza civile li ha usati per molto tempo. Ma la novità di oggi è che questa forma di "emergenza planetaria" rompe paradossalmente ogni schema. Richiede urgentemente impegno da parte di chiunque sia disposto a proporre, anche in modo creativo, un momento di consapevolezza e saggezza per attuare un cambio di prospettiva reale. È proprio la caratteristica creativa, adattabile, non dogmatica e non ortodossa di questa nuova mente che la rende per sua natura aperta alla contaminazione. Allo stesso tempo, consente di portare il valore della consapevolezza, della saggezza nella nostra vita, di invertire il processo di desacralizzazione di del mondo, consentendo al sacro di tornare a essere parte della nostra vita nei gesti, nelle parole, nello scambio, nell’ascolto.


Stefano Bettera terrà un dialogo con la filosofa Sivia Capodivacca nella cornice di “Festival Mimesis”, all’interno del quale presenterà anche il suo nuovo libro "L’abbraccio del mondo: coltivare l’eleganza dello spirito per costruire la mente ecologica". L'appunamento è per sabato 23 ottobre 2021 alle ore 18.00 presso la Libreria Friuli – Via dei Rizzani 1/3, 33100 Udine.


[1] Ne parla diffusamente una recente intervista apparsa su La Lettura, allegato al Corriere della Sera del 21 luglio 2019.

[2] ibidem


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