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Profughi siriani bloccati in Libano: un assedio che si fa sempre più stretto

A quasi undici anni dall’inizio della guerra in Siria Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che vive insieme alle famiglie siriane in un campo profughi dal 2014, ha appena pubblicato il suo V report

di Asmae Dachan

A quasi undici anni dall’inizio della guerra in Siria, la situazione dei civili che si sono riversati in Libano si fa sempre più drammatica. Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che vive insieme alle famiglie siriane in un campo profughi dal 2014, ha appena pubblicato il suo V report, intitolato: “Profughi siriani bloccati in Libano, un assedio che si fa sempre più stretto”.

Vivendo fianco a fianco con le famiglie siriane, la presenza dei volontari rappresenta sia un supporto per le difficoltà che affrontano quotidianamente i profughi siriani in Libano, sia un mezzo per registrare ogni abuso e intimidazione. Le informazioni contenute nel report sono infatti frutto di numerose conversazioni private, interviste, discussioni e osservazioni dirette di eventi. Il dossier affronta vari temi, tra cui il deterioramento delle condizioni di vita nelle tendopoli e la persistente mancanza di condizioni minime di sicurezza per il ritorno in Siria.

La crisi libanese penalizza anche i profughi

Il report inizia evidenziando come la crisi politica ed economica in Libano stia penalizzando tutta la popolazione, compresi i profughi. Nove famiglie siriane in Libano su dieci vivono oggi in condizioni di estrema povertà. I beni essenziali e di prima necessità, come il latte in polvere per bambini, sono diventati inaccessibili per il 47% dei libanesi e per circa il 90% dei siriani. I volontari di Operazione Colomba si sono ritrovati inermi ad assistere a scene di neonati del campo di Tel Abbas che non mangiavano da giorni, a causa dell’impossibilità di trovare latte. Negli stessi giorni, in un magazzino sono state trovate più di venti tonnellate di latte scaduto, che erano state messe da parte dai commercianti in attesa che finissero i sussidi statali sulla merce, per poterli rivendere ad un prezzo più alto. Un elemento interessante è che le medicine di ogni tipo, diventate praticamente irreperibili in Libano, vengono introdotte illegalmente nel Paese dalla Siria.

Bambini costretti a lavorare e minacciati

I più penalizzati da queste condizioni, sono soprattutto i bambini, che rappresentano oltre la metà dei siriani rifugiati nel Paese dei Cedri. La maggior parte delle famiglie siriane con cui Operazione Colomba è in contatto in Libano, ha rinunciato a mandare i bambini a scuola a causa dei prezzi dei mezzi di trasporto, diventati inaccessibili. “Il lavoro minorile è aumentato in modo massiccio e visibile – indica in report. Nella zona di Tel Abbas, dove vivono i volontari di Operazione Colomba, la maggior parte dei bambini lavorano in campagna per poche lire. Secondo le stime di Unicef, si tratta di un bambino su dieci”. Un medico di un’associazione siriana che opera nella valle della Bekaa e che nel report non viene nominato per motivi di privacy, ha testimoniato la drammatica situazione in cui versano molti ragazzini tra i 16 ed i 25 anni di età, che lavorano in campagna per circa 10.000 lire al giorno e che vengono maltrattati e spesso persino abusati sessualmente. “Questi ragazzi non ne parlano con nessuno perché sono spaventati, ma la Ong del medico ha riscontrato, tra questi, molti casi di malattie sessualmente trasmissibili”. Secondo il Sottosegretario Generale per gli Affari Umanitari e dei Soccorsi d’Emergenza i bisogni umanitari in Siria sono ai livelli più alti dall’inizio della guerra.

Violazioni, promesse tradite e tensioni sociali

Nel periodo che va da marzo a settembre 2021, gli sfratti ai danni di famiglie siriane aumentati a causa della crisi economica e dell’impossibilità dei siriani di pagare l’affitto delle tende o delle case. Sempre nello stesso e intero periodo di tempo, nell’enclave di Arsal – abitata da 35.000 libanesi e 100.000 siriani, di cui 80 mila nei campi – non si sono mai fermati i raid dell’esercito libanese nei campi profughi. “Eseguiti senza un motivo specifico, sono sempre stati seguiti da arresti arbitrari di siriani accusati, senza fondamento, di essere sostenitori dell’Isis o della rivoluzione siriana e dei gruppi armati ad essa collegati”, denuncia il report. L’accusa di terrorismo è dal 2014 il principale motivo di arresto di cittadini siriani, e quasi sempre avviene senza prove, in seguito a denunce effettuate da altri cittadini siriani o libanesi e per colpire oppositori del regime siriano.

Aumentano, inoltre, le ritorsioni. Il 30 di agosto nel villaggio di Kawkaba, governatorato di Hasbaya, abitato da una comunità siriana di circa 900 persone, in seguito ad una lite tra un giovane siriano ed un giovane libanese, degenerata in uno scontro con coltelli e bastoni, i residenti libanesi hanno deciso di cacciare tutti i siriani dal villaggio. Si tratta del secondo caso eclatante di sfollamento come punizione collettiva a danno di siriani nel giro di un anno

Impossibile tornare in Siria in sicurezza

“Ci avevate promesso che le prossime elezioni nel nostro Paese sarebbero state democratiche; invece, stiamo vivendo l’ennesima umiliante farsa” ha raccontato Ahmad, Tripoli, a maggio 2021. Le elezioni in Siria del maggio 2021, hanno paradossalmente rappresentato una speranza, seppur molto tenue, nel cuore di chi vive sapendo di non poter rivedere la propria casa. Speranza prevedibilmente infranta, alla luce degli avvenimenti che hanno riconfermato la totale assenza di aperture democratiche in Siria.

“La fiducia che molti siriani riponevano nella società internazionale e nelle sue istituzioni è, nella maggior parte dei casi, totalmente persa”, si denuncia nel documento, “insieme alla speranza nella volontà politica dei paesi occidentali e delle Nazioni Unite di provare a risolvere la crisi siriana alla radice: un enorme fallimento che si ripercuote sulle vite dei 10 siriani ma che riguarda anche ogni cittadino europeo, anche solo per le conseguenze geopolitiche che esso crea, come ad esempio le ondate di profughi e gli allarmi terroristici”.

Tra le raccomandazioni finali elencate nel documento, a partire dalla necessità di supportare la società civile libanese in questo drammatico momento di crisi. Si chiede, inoltre, di sollecitare il neonato governo libanese affinché agisca nel rispetto delle norme internazionali e nel rispetto del principio di non-refoulement, come stabilito dall’articolo 3 della Convenzione contro la Tortura di cui il Libano è firmatario. Fare pressione sul Libano per l’immediato rilascio dei prigionieri politici siriani e per la fine degli arresti arbitrari, estendendo questa richiesta a tutti i prigionieri politici ancora rinchiusi nelle carceri siriane. Concretizzare a livello europeo e internazionale un reale sforzo per la soluzione politica della questione siriana, data la poca incisività dell’azione umanitaria che è comunque totalmente insufficiente a soddisfare i bisogni dei siriani in Libano, specialmente con la crisi in corso. Si chiede, infine, di implementare e rafforzare i corridoi umanitari, unica alternativa nel breve termine alla disperazione di più di un milione di persone. Condannare la normalizzazione delle relazioni internazionali con il governo siriano, finché non sarà trovata una reale soluzione politica che garantirà una reale sicurezza per il ritorno in Siria, al momento ancora inesistente.


Tutte le foto sono tratte dalla mostra fotografica di Luca Cilloni: AKKAR – Vita e cronache dal confine siriano (Libano del nord, 2019)


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