Welfare & Lavoro

Accoglienza, la deriva della politica: norme sbagliate e prassi incoerenti

A livello nazionale il fronte politico si dimostra incapace di assumere decisioni che possano rendere efficiente la gestione dei migranti nel nostro Paese. L’inchiesta di Daniele Biella sul numero del magazine di ottobre suona come un pugno nello stomaco a un Governo che sulla gestione degli immigrati non riesce a trovare il bandolo della matassa

di Daniele Biella

«In mare abbiamo sempre offerto doverosa assistenza ai migranti». Nelle parole del ministro degli Interni Luciana Lamorgese l’approccio è chiaro: discontinuità con il suo predecessore Matteo Salvini. La relazione con le navi di salvataggio umanitarie, in effetti, è in un’altra fase rispetto all’epoca dei porti chiusi.

Ma che succede alle persone una volta in Italia? I rimpatri sono al palo — Italia ultima in Europa, nel 2020 è stato allontanato solo il 20% di chi riceve un foglio di via, riporta la Fondazione Moressa — e tra leggi valide solo sulla carta e decreti che diventano storture, la vita di migliaia di migranti è a dir poco a ostacoli.

Ecco otto temi cruciali su cui la politica governativa ha perso la bussola.

«Avvengono lentezze incomprensibili con chi è fuggito dall’Afghanistan. Stiamo parlando di 5mila persone arrivate con voli governativi, perché non hanno ancora lo status di rifugiato? Lo dice la legge che devono averlo, basterebbe un decreto ad hoc oggi stesso». È più che basito l’ex prefetto capo del Viminale Mario Morcone, oggi assessore all’Immigrazione in Campania. Anche perché molte di queste persone sono state tuttora inserite in strutture Cas, Centri di accoglienza straordinaria, ovvero l’accoglienza prefettizia con logica emergenziale che da anni dovrebbe essere soppiantata a favore di un sistema strutturale gestito dai Comuni, il Sai (ex Sprar e Siproimi). «Ma così equipari i profughi afgani ai richiedenti asilo, ingolfi le strutture e crei difficoltà sul territorio», aggiunge Morcone. Una volta ottenuto l’asilo, queste persone, spesso famiglie, potrebbero subito riprendere in mano la propria vita, «e muoversi in area Schengen, ricongiungendosi anche con parenti in altri Paesi europei». Il Tai, Tavolo asilo e immigrazione (riunisce le maggiori sigle associative italiane che operano nell’accoglienza) in una lettera a governo e Ue di inizio settembre cita in questo senso la Direttiva 55/2001 dell’Unione Europea, che concede visti temporanei sul territorio Ue con ripartizione dell’accoglienza, come sancisce anche l’art. 78 del Tfue, uno dei Trattati fondamentali della Ue. «Siamo pronti a un tavolo di coordinamento unitario con i ministeri interessati», spiega Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci, membro del Tai. Ma a un mese dalla lettera, nessuna risposta.


Maggio 2020, fine del primo lockdown: l’allora ministro per le Politiche agricole Teresa Bellanova piange nella conferenza stampa che annuncia la norma del Decreto Rilancio che punta a sanare la posizione di gran parte dei 600mila migranti irregolari presenti in Italia. «Oggi gli invisibili sono meno invisibili», dice. In realtà poi non è andata come si aspettava: in tutto a settembre 2021 sono 60mila le pratiche giunte a buon fine, 11mila invece i dinieghi o le rinunce. Altre 64mila istanze sono in corso, aspettando una risposta, moltissime non sono ancora state esaminate. E tutti gli altri? «Accedere alla procedura è complicato, le persone non riescono a produrre i documenti che servono ma spesso non dipende da loro. Per esempio, può cambiare o morire — per colf e badanti — il datore di lavoro », sottolinea Miraglia. Poi c’è la burocrazia: «Alcuni criteri sono assurdi, come il garantire un minimo di metri quadri dell’appartamento. I paletti burocratici inseriti rinnegano la volontà del Parlamento», rincara Morcone. «Dovevano aprire all’edilizia, alla meccanica e ad altri settori, non limitarsi all’agricoltura e ai servizi alla persona». Gli operatori dei territori, tra l’altro, segnalano pesanti storture: richiedenti asilo o persone non sicure di ottenere il permesso di soggiorno che si licenziano dai lavori che avevano per provare a entrare nelle liste della sanatoria. E poi si ritrovano nel mercato dei contratti fittizi nei settori ammessi, e, una volta diniegati, con il cerino in mano…


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