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Usa, giovani e middle class: scende la fiducia nel non profit

I dati dell’ultimo sondaggio dell'Independent Sector, che fornisce pareri e consulenza al Congresso degli Stati Uniti, rivelano che la Generazione Z si fida molto meno rispetto ai loro genitori e nonni degli enti del Terzo settore. Dello stesso avviso, anche coloro che percepiscono un reddito inferiore a 35mila dollari annui. Ma intanto le donazioni crescono, grazie ai super ricchi

di Paolo Manzo

Forse pochi ne sono consapevoli ma il mondo del non profit è centrale per la tenuta del tessuto sociale statunitense. Per questo preoccupa non poco quanto rivelato dall’ultimo sondaggio dell'Independent Sector, autorevole organismo che fornisce pareri e consulenza al Congresso degli Stati Uniti: la Generazione Z, ovvero, i nati tra la fine degli anni '90 e la fine degli anni 2000, si fidano molto meno di genitori e nonni degli enti del terzo settore, appena il 46%. Dello stesso avviso, anche coloro che percepiscono un reddito inferiore a 35.000 dollari annui. Di fatto anche se le donazioni al terzo settore negli Stati Uniti aumentano grazie alle donazioni miliardarie di “paperoni” come Jeff Bezos o Bill Gates, da oramai oltre un decennio diminuisce il numero dei piccoli donatori. «Il motivo è semplice», spiega la professoressa Kirsten Grønbjerg dell’Indiana University Bloomington, l’Università più prestigiosa delle Americhe per quanto concerne gli studi sul non profit. «Negli ultimi 20 anni la disparità tra super ricchi e classe media ha toccato un livello mai raggiunto prima, con la cosiddetta middle class che ha visto erodere di molto il proprio potere di acquisto”. Il risultato è che “chi prima faceva piccole donazioni ogni anno, adesso non riesce più a farlo perché fa fatica ad arrivare alla fine del mese».

Oggi sono «oltre 1,6 milioni le organizzazioni senza fini di lucro riconosciute negli Stati Uniti, esenti dalle imposte sul reddito federali ai sensi della sottosezione 501 (c) del codice fiscale dell'Internal Revenue Service (IRS), l’Agenzia delle entrate statunitense», dettaglia la professoressa Grønbjerg. I criteri chiave che le organizzazioni non profit devono soddisfare per non pagare tasse sono quelle di essere organizzate e gestite esclusivamente per scopi di beneficenza. Secondo la prestigiosa rivista “Stanford Social Innovation Review” queste organizzazioni rappresentano tra il 5 ed il 10 percento dell’economia americana e danno lavoro per il 10 percento sulla cifra totale dell’occupazione negli USA, circa 12,3 milioni di lavoratori. Numeri sorprendenti che si sono rafforzati ulteriormente soprattutto sul fronte delle donazioni nell’ultimo anno e mezzo durante la crisi del Covid19, la maggiore crisi socio-sanitaria dell’ultimo secolo per gli Stati Uniti. Al netto dell'inflazione, infatti, le offerte di beneficenza lo scorso anno sono cresciute del 3,8% rispetto al 2019, secondo le stime del rapporto annuale "Giving USA", che monitora il settore delle donazioni a “stelle e strisce”.

Secondo le classifiche rese note il primo novembre del Chronicle of Philanthropym l’organizzazione non profit ad avere raccolto più dollari di beneficenza nel 2000 negli Stati Uniti è stata la United Way Worldwide, seguita dall'Esercito della Salvezza e dal St. Jude Children's Research Hospital. L’Esercito della Salvezza teme che gli americani quest’anno donino di meno, dopo quasi due anni in cui percependo l'emergenza della pandemia, avevano donato molto. «Ciò che temiamo, come altre organizzazioni non profit, ovviamente, è la stanchezza dei donatori», afferma Dale Bannon, segretario per le relazioni con la comunità nazionale e per lo sviluppo presso l'Esercito della Salvezza, che ha raccolto 1,8 miliardi di dollari l'anno scorso, con un aumento del 31% rispetto al 2019. Ampliando un po’ il raggio dell’analisi e partendo dal 1998, le entrate annuali delle organizzazioni non profit negli Stati Uniti sono comunque aumentate quasi ogni anno. Si rileva, infatti, una costante crescita dei ricavi annuali, passati da 1,04 trilioni di dollari nel 1998 a 2,62 trilioni di dollari nel 2020.

Non è un caso che gli Stati Uniti risultino in prima posizione nel World Giving Index, l’indice mondiale della generosità, messo a punto dalla britannica Charities Aid Foundation mentre l’Italia si colloca appena al 54° posto. Secondo il report Giving in Europe pubblicato nel 2017 dall’European Research Network on Philanthropy, nel nostro paese ogni anno vengono donati circa 9 miliardi di euro, a fronte degli oltre 400 miliardi di dollari annui degli Usa. Una spiegazione di questo divario la dà Carola Carazzone, Segretario generale di Assifero e presidente di Dafne, il Donors and Foundations Network in Europe, organizzazione con sede a Bruxelles che riunisce 30 associazioni filantropiche in 28 Paesi del continente: “Nei Paesi protestanti la ricchezza è vista in modo diverso da quelli cattolici. Lì la filantropia è parte della società”, osserva. Ma la differenza tra Italia da una parte e Stati Uniti dall’altra è enorme perché «il modello sociale degli Usa è fondato sul sostegno dei privati, che usano le fondazioni per intervenire nel welfare, mentre da noi se ne occupa lo Stato», spiega Marco Grumo, professore di Economia aziendale all’Università Cattolica di Milano, dov’è coordinatore scientifico per il terzo settore. «Anche per questo la filantropia beneficia di maggiori agevolazioni fiscali negli Usa e quando si tratta di donazioni a charity è prevista la totale deducibilità».

Negli USA, inoltre, è stato creato anche un ente non profit privato e indipendente, l'Association of Fundraising Professionals (ASP) da cui è nato il Donor Bill of Rights, un decalogo della donazione riconosciuto dall'intero Terzo Settore. E, sempre negli Stati Uniti, operano una serie di organismi qualificati quali il Better Business Bureau – Wise Giving Alliance (associazione di consumatori-donatori) ed il già citato Independent Sector. Non tutto però è rose e fiori. La quota di americani che donano è infatti in calo da decenni e ora si aggira intorno al 50% ma, ciononostante, le donazioni totali continuano ad aumentare. Il motivo è semplice: sono aumentate le grandi donazioni, quelle superiori a 10.000 dollari, o quelle addirittura milionarie, incoraggiate dal boom del mercato azionario e dal fatto di essere totalmente deducibili per il fisco. E proprio Independent Sector ha condotto di recente uno studio sul terzo settore made in USA.

La ricerca evidenzia che ben l’84% degli intervistati crede che gli Enti del Terzo Settore possano “rafforzare la società” ma solo il 57% di questi ritiene, altresì, che le non profit possano fare “la cosa giusta”. Per quanto riguarda la filantropia, il 65% degli americani si rivelano fiduciosi del fatto che la filantropia possa contribuire a “rafforzare la società”. La fiducia nell’ente contribuisce, secondo il 63% degli intervistati, a decidere come e chi finanziare o supportare attraverso attività di volontariato. L’83% degli americani è convinto che le non profit debbano guadagnarsi la fiducia del pubblico prima di ricevere supporto. Naturalmente chi dona o fa volontariato è tra coloro che più ripongono fiducia nel Terzo Settore al pari di chi è a contatto con enti comunitari o che operano nel proprio quartiere o cittadina. Gli over 40 hanno più fiducia verso il mondo non profit mentre, più diffidenti gli under 25 e chi guadagna meno di 35.000 dollari annui. «Comprendere queste rilevazioni è fondamentale perché la fiducia negli enti è fondamentale affinché questi riescano a creare comunità più eque, giuste e in salute. Sappiamo che quanto più il settore interagisce con le comunità locali, tanto più la gente tende a fidarsi di esso», afferma il presidente e CEO di Indipendent Sector, Daniel J. Cardinali, «Dobbiamo usare questi dati per riemergere dalla crisi scaturita da COVID-19 ed essere, anzi, più forti per riuscire ad affrontare gli attuali problemi di ingiustizia etnica, di sostenibilità ambientale, di difficoltà economica ed altri. Tutte le comunità devono poter prosperare negli Stati Uniti d’America». Il sogno americano è anche questo.


Foto di Karolina Grabowska da Pexels


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