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Il volontariato? È una proposta di cambiamento

Mario Alberto Battaglia, da 47 anni volontario dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla, racconta la sua lunga esperienza di volontariato. «Essere vicino alle persone, dare un servizio e fare advocacy: queste tre anime del volontariato per me sono sempre andate insieme. Il volontariato deve puntare a cambiare la realtà in cui viviamo».

di Sara De Carli

Ogni volta che gli dicevano “questa cosa non c’è, quest’altra non si può fare”, lui rispondeva “facciamola”. Il volontariato per lui è stato prima di tutto una scommessa: la scommessa che cambiare le cose si può, in meglio. Mario Alberto Battaglia questo rilancio continuo lo fa da 47 anni, come volontario di Aism. Classe 1954, genovese, Mario Alberto Battaglia è professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica all'Università di Siena: il suo nome è legato da una vita a quello di Aism, l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla. È stato volontario da giovane studente di medicina, quando mise in piedi il primo servizio di riabilitazione per le persone con sclerosi multipla; è stato volontario come presidente di Aism dal 1986 al 2006 e poi, dal 1998, come presidente della Fism; è volontario tuttora sia in Aism sia nel Consiglio Superiore di Sanità, dove è stato chiamato proprio in virtù della sua esperienza associativa. Che sia in giacca e cravatta in una audizione formale in Parlamento o in maniche corte a scaricare cassette di mele per i banchetti, il suo stile di volontario passa sempre dal proporre una soluzione: «Essere vicino alle persone, dare un servizio e fare advocacy, queste tre anime del volontariato per me sono sempre andate insieme. Le barricate se serve le fai, ma dalle barricate devi fare una proposta: io, che sono in questa situazione, ti suggerisco una soluzione per me e per gli altri. Questo è il passo in più che abbiamo sempre voluto fare. Il volontariato deve puntare a cambiare la realtà in cui viviamo: nel piccolo, spingendo la carrozzina di una persona, come nel grande, cercando di fare in modo che tutti possano muoversi da soli perché la città è accessibile, perché ci sono le carrozzine elettriche, perché ci sono dei farmaci e delle terapie che permettono di non arrivare alla disabilità», dice Battaglia. Ecco un’intervista a tutto tondo.

Professore, come ha cominciato?
Ho cominciato a fare volontariato a 15 anni, come tanti della mia generazione raccoglievamo soldi per le missioni e organizzavamo campi estivi per ragazzi disagiati. Nel 1974, ero già iscritto a Medicina, un neurologo amico fraterno di mio padre, che aiutava un gruppetto di persone con SM di Genova in quella che era quella che col senno di poi un po’ pomposamente chiamavamo “sezione”, mi invitò a dargli una mano. Cercai di resistere perché avevo tanti impegni, ma mio padre mi disse “almeno una volta vai, vedi di cosa si tratta”. Sono andato e… sono rimasto.

Cosa faceva all’inizio?
Visitavo le persone a casa, valutavo i loro bisogni e mi ingegnavo per vedere come attivare dei servizi, sia pubblici sia di volontariato. Per me era una scommessa, ogni volta che qualcuno mi diceva questa cosa non c’è, quest’altra non si può fare, dicevo facciamola. A Genova all’epoca non c’era riabilitazione per le persone con SM, allora nel 1977 abbiamo chiesto un contributo alla regione, ci hanno dato 4 milioni di lire, con cui abbiamo cercato fisioterapisti e abbiamo iniziato a fare un piccolo servizio di riabilitazione. Le persone erano molto contente. Oggi il Centro Riabilitazione AISM Liguria è accreditato con il Ssn ed è il più grande d’Italia, ma è nato così, con qualche fisioterapista e io. La mia prima esperienza di advocacy è stata proprio su questo: quando nel 1980 con la 833 è nato il Ssn, la Regione Liguria organizzò una grande assemblea pubblica con migliaia di persone per presentare tutte le cose belle che avrebbero fatto. Io ero un neolaureato ma mi alzai è dissi: “Non è vero che tutto funziona, per la SM non c’è riabilitazione”. La mattina dopo l’assessore regionale mandò un telegramma a tutte le Usl per farla partire.

Quando c’è stato il passaggio da Genova alla dimensione nazionale e internazionale?
Ho iniziato molto presto, nel 1977, ad esser attivo a livello nazionale e ad avere contatti con Giorgio Valente, il fondatore di Aism. Valente, che non parlava inglese, mi aveva portato ad Amsterdam per fargli da traduttore e iniziai così a seguire le attività che si facevano all’estero e a portarle in Italia. Vedevo e poi raccontavo, potremmo fare anche noi così… Nel 1980 per esempio girai l’Italia per parlare dell’housing sociale che avevo visto in Svezia, con condomini che avevano alcuni con alloggi accessibili e una centrale che oggi chiameremmo centrale di distretto che faceva assistenza per tutto il quartiere e seguiva le persone con disabilità di quel condominio… Poteva essere un modello. All’epoca a pochi anni dalla diagnosi una persona con SM era in carrozzina, non c’erano farmaci, non si sapeva usare bene nemmeno il cortisone. La riabilitazione era sinonimo di qualità di vita, ma ce n’era pochissima. Nei primi anni '80 coordinavo un po’ il Nord Italia e nel 1986 il fondatore chiese al consiglio direttivo nazionale di elegger me a presidente nazionale, dicendo che avrei avuto la capacità di portare avanti e sviluppare l’associazione. Avevo poco più di 30 anni. Per me è stato un grande onore lavorare accanto a Rita Levi Montalcini, che è stata nostra presidente onoraria finché è morta: con lei ho imparato moltissimo. Nel 1986 abbiamo introdotto la peer review in Italia per la prima volta: abbiamo creato fastidi. E a fine anni '80 da due o tre paesi, tra cui l’Italia, abbiamo lanciato la prima Giornata Nazionale della SM che poi negli anni 2000 è arrivata ad essere mondiale. Tutto questo lo abbiamo fatto con i volontari, perché l’associazione ha sempre avuto pochissimi dipendenti. È così anche oggi.

La mia prima esperienza di advocacy è stata nel 1980, con la nascita del Ssn: la Regione Liguria organizzò una grande assemblea pubblica con migliaia di persone per presentare tutte le cose belle che avrebbe fatto. Io ero un neolaureato, ma mi alzai è dissi: “Non è vero che tutto funziona, per la SM non c’è riabilitazione”. La mattina dopo l’assessore regionale mandò un telegramma a tutte le Usl per farla partire.

C’è qualcosa che ricorda in particolare?
​Le notti del 24 dicembre o del 31 dicembre negli anni ’80 a rispondere al telefono: avevamo una sorta di numero verde ante litteram, per dare informazioni sui servizi e sulla ricerca, ma anche solo di ascolto, chiamavano da tutta Italia. Un altro servizio che è nato così, da volontari, è stato quello di approfondire e spiegare i risultati della ricerca: quando arrivavano notizie, intervistavamo i ricercatori, anche all’estero. Nel 1988 con grandi difficoltà perché eravamo piccoli abbiamo ospitato a Roma il Congresso mondiale sulla SM, con mille ospiti: abbiamo fatto tutto in 5 volontari, senza agenzie. Siamo stati i primi ad andare al Festival di Sanremo con una campagna di sensibilizzazione, dal 1992 al 1994, grazie a Coop Italia che fece anche una prima iniziativa di cobranding, donavano mille lire ogni cinque prodotti acquistati: in tutto raccogliemmo 5 miliardi. E nel 1994 facemmo la prima maratona tv diversa da Telethon, su Mediaset, a spese nostre e organizzata tutta da volontari: in due abbiamo raccolto e destinato alla ricerca 15 miliardi di lire. Avevamo iniziato a finanziare la ricerca nel 1986, con 200 milioni di lire Sono tutte cose che sono rimaste. Uno dei miei grandi impegni di volontariato fino al 2009 è stato quello di girare tutta Italia, il sabato e la domenica, per visitare le sedi, incontrare le persone, far crescere le sedi e il volontariato. Adesso Aism è enorme, con anche tutti i problemi che questo comporta. Io continuo da volontario l’attività di coordinamento, oltre che di presidente della Fism. Diciamo che ho dedicato ad Aism a mia vita di volontario, che in certi momenti è stata anche due terzi della mia vita. Dal 1986 in poi, con il volontariato, ho cercato di trovare tute le soluzioni e fare tutte le proposte possibili per cambiare la SM.

Un volontario può fare volontariato nel piccolo come nel grande con l’ambizione di essere utile a una comunità più ampia in cui si vive. Le barricate se serve le fai, ma dalle barricate devi fare una proposta: io, che sono in questa situazione, ti suggerisco una soluzione per me e per gli altri. Questo è il passo in più che abbiamo sempre voluto fare

Il volontariato è la forza di AISM: quanti sono i volontari e come sono strutturati?
Aism ha oltre 13mila volontari e poco meno di 270 dipendenti e collaboratori, solo la metà delle sedi ha un dipendente. I volontari solo il 97% delle persone di Aism e sia tra i volontari che tra i dipendenti molti sono persone con SM, quindi persone con un coinvolgimento personale che va ben oltre il lavoro o il servizio. I volontari sono quelli che trasmettono la forza, la passione, l’entusiasmo, la certezza che insieme possiamo sconfiggere la SM. Io dico sempre che ogni mattina ci sono 3-4mila persone che lavorano per sconfiggere la SM, come volontari: mandano avanti quotidianamente le attività delle sedi, fanno accompagnamento, trasporti, compagnia, ritiro farmaci, organizzano attività di socializzazione, vacanze, rispondono allo sportello informativo…. Poi ci sono 3/4mila persone che donano il loro tempo solo per le manifestazioni di piazza. Gli altri danno una disponibilità di tempo intermedia, che può variare molto.

La possibilità di coinvolgere i giovani c’è, però bisogna offrire un ambiente associativo che sia specchio della comunità, aperto ad attività diverse; non puoi pensare di avere i giovani facendo il tè delle cinque

Che cosa caratterizza il volontario Aism?
Come dicevo prima, un volontario può fare volontariato nel piccolo come nel grande con l’ambizione di essere utile a una comunità più ampia in cui si vive. Le barricate se serve le fai, ma dalle barricate devi fare una proposta: io, che sono in questa situazione, ti suggerisco una soluzione per me e per gli altri. Questo è il passo in più che abbiamo sempre voluto fare: è meglio che stare sulle barricate e basta. Per esempio quando si discutevano i decreti attuativi del Jobs Act abbiamo lavorato per dare il diritto al part time anche alle persone con SM, all’epoca il diritto al part time era solo per i pazienti oncologici: quando tutti sono stati d’accordo, abbiamo alzato l’asticella. “Togliete le parole SM e mettiamo malattie cronico degenerative ingravescenti”, abbiamo detto. Non lavoriamo per creare una “lobby della SM”, creiamo qualcosa che valga per tutti. Per questo per me è sempre stato importante promuovere un certo coordinamento tra associazioni, lavorare insieme. Insieme si riesce a cambiare la realtà.

Cosa è cambiato negli anni e quali sono le nuove sfide?
Io credo che nel prossimo futuro ci sarà una partecipazione maggiore dei cittadini, anche nel volontariato. Occorre una società civile dove i cittadini fanno la loro parte: delegare a qualcun altro non va bene, tanto meno se di questo qualcun altro poi ci si lamenta. Certamente però questo è il momento di fare spazio alle nuove generazioni, che siano messe nelle condizioni di poter generare cambiamento, come abbiamo fatto noi. Aism ha tanti giovani, tanti giovani con SM che conoscono altri giovani, un buon 40-50% dei consigli direttivi provinciali è fatto da giovani con SM e di giovani che hanno incontrato Aism in servizio civile e sono rimasti.


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