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Lavori e professioni: davvero la pandemia sta cambiando i paradigmi?

La pandemia ha accelerato processi già in atto e creato nuove tendenze. Tra gli esiti di questi cambiamenti, lo spostamento di professionisti dai settori più colpiti dalle conseguenze delle norme per contenere il Covid-19. L’intervista a Francesco Armillei assistente di ricerca alla London School of Economics e socio del think-tank Tortuga

di Redazione

Il mondo del lavoro è in perenne evoluzione, questo accadeva anche prima della pandemia, ma il virus ha da un lato accelerato alcuni processi in atto, dall’altro ne ha creati di nuovi causando anche spostamenti di settore, in particolare nei più colpiti dalle conseguenze delle norme per contenere il Covid-19. Ne abbiamo parlato con Francesco Armillei assistente di ricerca alla London School of Economics e socio del think-tank Tortuga.

Partirei da una questione forse più sociologica e filosofica che strettamente economica: ci sarà un prima e un dopo la pandemia nel mondo del lavoro?
La risposta è sì, ma con alcune precisazioni: c’è differenza tra settore lavorativo e professione: anche se spesso sono assimilabili non sono sovrapponibili. Chi “cambia” professione nella maggior parte dei casi resta comunque nel medesimo settore, anche in questa epoca pandemica. A differenza di quanto si sta verificando negli Stati Uniti – che hanno una cultura diversa – in Italia è difficile reinventarsi. Certo che l’aumento delle dimissioni anche nel nostro Paese è un aspetto interessante e da studiare sul medio-lungo periodo, ma oggi non non si segnala ancora alcun cambio di paradigma significativo del mondo del lavoro.

In che senso?
Possiamo immaginare che la pandemia abbia reso alcune professioni più richieste e altre meno. Per esempio sono calate quelle che presuppongono un contatto diretto coi colleghi e con il pubblico. Hanno invece guadagnato campo le professioni legate alle tecnologie o che si possono portare avanti agevolmente con soluzioni a distanza, telelavoro e smart working. Per questo motivo è opportuno monitorare la riallocazione del mercato del lavoro anche dal punto di vista delle professioni.

Si può dire che con la pandemia alcune professioni hanno “guadagnato”, e altre “perso”?
Nel modo più assoluto e a dircelo sono i dati: i numeri mostrati da un campione delle Comunicazioni Obbligatorie fornito per motivi di ricerca dal Ministero del Lavoro dicono che la variazione tra il 2019 e il 2020 nel numero di attivazioni per ciascuna professione segna un crollo complessivo nel primo semestre del primo anno di pandemia da 3,3 milioni nel 2019 a 2,4 milioni. D’altro canto è aumentato in modo significativo il numero di specialisti della salute assunti. Lo stesso è accaduto per il personale domestico come colf e badanti e per le altre professioni sanitarie. A pagare il maggior prezzo sono stati invece i lavoratori delle strutture ricettive legate al turismo e alla ristorazione, così come gli operai e gli artigiani specializzati. Nel secondo semestre del 2020 il quadro risulta molto simile: sono cresciute le professioni sanitarie e hanno perso addetti le professioni di cui sopra a cui si sono aggiunte quelle del mondo del commercio e delle attività artistiche.

Cerchiamo a questo punto di capire allora se i lavoratori si stanno riallocando, ed eventualmente da quale settore a quale altro comparto si spostano…
Facciamo parlare sempre i dati per primi: in Italia, tra marzo e aprile 2020, poi tra ottobre e dicembre e tra febbraio e marzo 2021, la percentuale di lavoratori neo-assunti la cui professione differiva da quella precedente è salita tra il 5 e il 7% rispetto agli anni passati. Dall’inizio delle pandemia in termini di riallocazione vedono nuove entrate i settori tipici del mondo delle costruzioni, soprattutto da chi proviene da quello dell’energia. Sono rallentati invece i flussi di chi si sposta dall’attività estrattiva al commercio, dalle attività immobiliari a quello del trasporto e al magazzinaggio. Al contrario possiamo quasi parlare di “fuga” dai settori “energia” e “trasporto”. Un ultimo aspetto su cui vorrei mettere l’accento è che nel secondo semestre 2020 sono cresciuti i flussi in ingresso nel settore dell’istruzione, mentre aumenta la fuoriuscita di lavoratori dai settori della pubblica amministrazione e delle attività artistiche.

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