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Se i carcerati lavorano, lo Stato guadagna

Del lavoro in carcere portato avanti dalle cooperative sociali beneficiano i detenuti, il sistema carcerario e lo Stato. Lo dimostra, numeri alla mano, una ricerca promossa dalla Fondazione Zancan: se il 50 per cento dei detenuti in Italia fosse impiegato presso cooperative - oggi siamo al 4 per cento - le casse statale potrebbero contare di un incremento del gettito Iva di 90 milioni di euro

di Luca Cereda

Il lavoro portato avanti con professionalità in carcere dalle cooperative sociali paga i suoi dividenti. Non agli investitori come nel caso delle grandi aziende, ma è molto meglio così: lavorare in carcere polverizza la recidiva tra i detenuti impiegati – e già lo si sapeva -, ma fa bene a tutti, a chi è dietro le sbarre, al sistema carcerario e allo Stato. E potrebbe andare anche meglio secondo lo studio di Fondazione Zancan che nel titolo riporta in molto chiaro l’obiettivo stesso della ricerca: “Valutare l’impatto sociale del lavoro in carcere”. E mette al centro i benefici dell’attività lavorativa nel percorso di rieducazione e reinserimento sociale dei detenuti. «Oltre ad azzerare o quasi la recidiva, il lavoro tra le sbarre dona maggiore dignità, previene la depressione e l’ansia tenendo la mente occupata e diminuendo l’uso di farmaci dei detenuti», spiega Devis Geron, ricercatore di Fondazione Zancan e curatore dello studio portato avanti negli istituti penitenziari italiani di Torino, Padova, Siracusa.

Considerando le cooperative che danno lavoro nei tre istituti penitenziari presi in esame dalla ricerca, il fatturato annuo medio è pari a 1 milione di euro per cooperativa. «Parte della ricchezza prodotta si traduce, al netto degli sgravi fiscali e contributivi – prosegue Devis Geron -, in contribuzione fiscale a beneficio delle finanze pubbliche, compresa l’Iva, stimabile in oltre 100 mila euro all’anno in media per cooperativa. Inoltre il lavoro in carcere ha un impatto che si estende anche sul lavoro all’esterno del carcere: «I dati del 2019, gli ultimi disponibili prima della pandemia e capaci di catturare una fotografia che integri il sistema-lavoro in carcere in rapporto al mondo dell’impresa sociale esterno, dicono che le cooperative coinvolte all’interno delle carceri analizzate dalla ricerca lavorano in media 210 detenuti per un fatturato complessivo delle cooperative di 7,5 milioni di euro. A Milano Bollate sono quasi 200 persone lavorano in un call center e in attività di manutenzione. Oltre ai detenuti impiegati queste cooperative danno lavoro in media ad altre 106 persone non detenute. La stima della ricerca porta ad un gettito Iva per le casse dello Stato di 750mila euro.

Se in carcere lavorasse il 50 per cento dei detenuti…

Le cooperative coinvolte nello studio impiegano anche mediamente un ex detenuto, ogni 2 detenuti. «La produzione delle cooperative sociali conta su un “indotto” per altre aziende, clienti e fornitori, in media oltre 100 clienti/fornitori per cooperativa».

I benefici quindi non riguardano solo i detenuti, che stando alla ricerca sentono di avere uno scopo, imparano un lavoro e possono essere utili alla famiglia inviando anche soldi a casa, ma sono tangibili anche per l’economia reale. A questo punto lo studio ha provato a mantenere le attuali proporzioni economiche, ipotizzando cosa accadrebbe se il 50 per cento dei detenuti in Italia fosse impiegato presso cooperative – oggi siamo al 4 per cento -. Questa semplice proporzione garantirebbe: benefici diretti a 25mila detenuti in più che sarebbero occupati, sarebbe un’occasione lavorativa anche per ulteriori 13mila persone non detenute. Questo genererebbe un fatturato pari a 900 milioni di euro in più all’anno, con un corrispondente maggiore gettito Iva pari a 90 milioni di euro in più annui.

Parlare di carcere e lavoro non è parlare del futuro del sistema penitenziario: significa analizzare il valore reale e l’impatto sociale che il lavoro ha all’interno degli istituti. Perché i grandi cambiamenti anche in questo ambito così spesso immobile e chiuso per antonomasia, possono essere realizzati solo con il coinvolgimento e la partecipazione della società civile, del Terzo settore, dei detenuti e delle istituzioni carcerarie.


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