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Chi è il pacifista oggi?

Lo abbiamo chiesto al presidente di Rondine, Franco Vaccari. Che mette in guardia contro il pensare, da europei, che la guerra stia «da altre parti del mondo ma non qui. Noi ci pensiamo come quelli che hanno i musei della guerra, ma non la guerra. Il problema è che la guerra ha una voglia matta di uscire dai musei. E prima che la guerra arrivi c’è sempre un presagio: il nemico». Oggi non mancano le persone di pace, «ma le forme di aggregazione sono cambiate: serve una cittadinanza proattiva nei confronti delle istituzioni»

di Sara De Carli

Franco Vaccari, Presidente e Fondatore di Rondine Cittadella della Pace, in queste ore sta vivendo a Firenze l’incontro “Mediterraneo Frontiera di Pace” con i vescovi e i sindaci del Mediterraneo. Domenica ci sarà anche Papa Francesco.Nel 1995 Vaccari gestì una complessa mediazione di pace tra il Governo russo e la secessionista Repubblica di Cecenia: diventato figura di riferimento per entrambe le parti, nel 1997 accolse la richiesta di ospitare alcuni giovani nel borgo di Rondine, per educarli alla leadership in Paesi dilaniati dalla guerra. Nacque così Rondine Cittadella della pace, che accoglie per due anni giovani provenienti da Paesi in conflitto che accettano di convivere con il proprio nemico, guardando in faccia ciò da cui avrebbero voluto fuggire.

Chi è oggi l’uomo di pace?
È una domanda che ci facciamo tutti, non farsela oggi vorrebbe dire vivere in un altro pianeta. La prima riflessione che mi viene da fare è che sta venendo alla luce il dramma nelle nostre coscienze ripiegate, in un certo senso il lato oscuro del virus. Il secondo punto è che noi abbiamo cancellato l’idea che la guerra possa accadere anche in Europa. La guerra per noi europei è qualcosa che sta da altre parti del mondo ma in Europa mai. Noi ci pensiamo come quelli che hanno i musei della guerra, ma non la guerra.

Noi ci pensiamo come quelli che hanno i musei della guerra, ma non la guerra. Il problema è che la guerra ha una voglia matta di uscire dai musei. La guerra non sta nei musei, non è una cosa polverosa, al contrario ha una forza eccitante. Noi l’abbiamo confinata con un approccio moralistico nelle “cose brutte che fanno male”, ma la guerra in realtà scalda e seduce, la violenza seduce, il branco seduce… lo vediamo nelle nostre città. È un’idea ingenua e stupida pensare che la guerra stia nel museo

Franco Vaccari, fondatore e presidente di Rondine

Il problema è che la guerra ha una voglia matta di uscire dai musei. La guerra non sta nei musei, non è una cosa polverosa, al contrario ha una forza eccitante. Noi l’abbiamo confinata con un approccio moralistico nelle “cose brutte che fanno male”, ma la guerra in realtà scalda e seduce, la violenza seduce, il branco seduce… lo vediamo nelle nostre città. È un’idea ingenua e stupida pensare che la guerra stia nel museo. La fascinazione della guerra non va mai sottovalutata, come il fatto che la comunicazione della guerra si ammanta di meravigliosi ideali: in una società liquida un’idea forte affascina. Io con Rondine dico sempre che siamo tutti portatori sani di nemico. Guai a una visione irenica, dolciastra di questi temi.

ll fatto che la guerra è male purtroppo è una consapevolezza che non si eredita ma che ogni generazione deve interiorizzare e riconquistare. Ogni generazione deve tirare fuori le sue energie per abitare questa possibilità. Noi la guerra la vediamo alla tv, è roba degli altri, non nostra e poi invece ci si sveglia una mattina e con una sorta di ingenuità ci meravigliamo tutti di ritrovarcela vicina. È come quando arrivarono i barbari ed erano tutti nelle terme, con le coscienze addormentate e la pelle liscia.

Dal museo della guerra alla guerra, un brusco risveglio…
Il messaggio di Rondine è che prima delle armi, prima che la guerra arrivi c’è sempre un presagio: il nemico. Quando sentite la parola nemico fate attenzione, tirate fuori tutti i radar, diventate pensosi, guardinghi, sospettosi… il nemico è sempre una costruzione di relazione malate, di una politica malata. Sono morti quelli che hanno la vaccinazione della guerra, le persone che hanno scritto nella nostra Costituzione “mai più” la guerra. La guerra l’hanno ripudiata perché avevano nel naso l’odore della distruzione. Il fatto che la guerra è male purtroppo è una consapevolezza che non si eredita ma che ogni generazione deve interiorizzare e riconquistare. Si eredita una possibilità ma ogni generazione deve tirare fuori le sue energie per abitare questa possibilità. Noi la guerra la vediamo alla tv, è roba degli altri, non nostra e poi invece ci si sveglia una mattina e con una sorta di ingenuità ci meravigliamo tutti di ritrovarcela vicina. Bauman ci potrebbe fare lezione. È come quando arrivarono i barbari ed erano tutti nelle terme, con le coscienze addormentate e la pelle liscia. La globalizzazione è una frattura della memoria collettiva, Liliana Segre lo dice sempre. Chi tra i giovani sa che c’è stato il Muro di Berlino?

È pessimista?
Io non sono pessimista, so che non mancano le persone di pace. Ma le forme di aggregazione sono cambiate. C’è stato il tempo delle bandiere, degli slogan, delle chiamate a raccolta e delle piazze. Oggi sono i social che chiamano a raccolta, chiamano però in un altro modo, molto più emotivo, che velocemente aggrega e velocemente passa. È un modo nuovo, su cui anche i costruttori di pace devono ragionare per trovare il modo di usarlo. È poi c’è un tema molto nostro, di Rondine, di una leadership mondiale che soffre. Il mondo è totalmente cambiato, anche le forme della guerra stanno cambiando di settimana in settimana, mentre abbiamo una leadership che è preparata poco più che per le guerre napoleoniche, studiate sui manuali. C’è una leadership frammentata, chiusa nel gioco della comunicazione digitale per cui si testa ogni affermazione rispetto a quanto tiene l’elettorato. Serve allora un'educazione a un nuovo modo di stare nella crescita civile, un’educazione alla cittadinanza che sappia dire qualcosa nel III millennio, ossia una cittadinanza proattiva nei confronti delle istituzioni. Dobbiamo essere cittadini che bussano dal basso costantemente alla porta delle istituzioni, anche perché anche gli operatori di pace che stanno nelle istituzioni – che pure ci sono – soffrono di solitudine in questo momento e avere una sponda nella cittadinanza attiva è fondamentale.

Foto Agenzia Sintesi/Avalon


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