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La via della pace è il disarmo

Dialogo con Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo: «La risposta alla situazione odierna rischia di essere una nuova e ulteriore militarizzazione. C’è chi cerca di illuderci che più ti armi più sei sicuro ma non è così. La guerra non è un antidoto alla guerra e per avere una de-escalation l’unica strada è demilitarizzare. Per questo servirebbe ascoltare i pacifisti quando non c’è la guerra, perché è lì che si fa la pace»

di Sara De Carli

«Nell’emergenza si può solo cercare di limitare i danni, non si può davvero costruire la pace, che è troppo preziosa e fragile per essere realizzata con urgenza. Le premesse per evitare la guerra vanno fatte crescere per tempo, ed è qui dove la politica continua a fallire». E anche «La via di uscita vera (se non si vuole essere alla mercé di autocrati e interessi dei complessi militari-industriali) è voltare le spalle al militarismo, rafforzando la cooperazione fra i popoli. Oggi la Resistenza si chiama Nonviolenza e la Liberazione ha il nome del Disarmo». Sono due dei post che ha pubblicato questa mattina Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Pace e Disarmo, una realtà nata nel settembre 2020 dall’unione fra la Rete della Pace (fondata nel 2014) e la Rete Italiana Disarmo (fondata nel 2004), che oggi riunisce una sessantina di organizzazioni.

Ieri pomeriggio la Rete Pace e Disarmo ha organizzato un incontro online per approfondire le cause della crisi in Ucraina e per tratteggiare possibili strade di intervento, a partire da proposte di neutralità attiva che il movimento della Pace chiede all'Italia e all'Europa (si può rivederlo qui). Oggi avete presentato delle proposte molto dettagliate a medio termine per intraprendere una strada di vera pace e riconciliazione, ovviamente dopo la cessazione immediata delle ostilità. E per sabato 26 avete chiamato a partecipare alla manifestazione di Roma (Piazza SS. Apostoli, ore 11). È la prova plastica che l’impegno per la pace ha tutte queste molteplici forme – l’analisi, la proposta, la presenza – al di là della provocazione di questi giorni su “che fine ha fatto il pacifismo”…
In queste settimane molti si erano mobilitati a livello territoriale e noi continuiamo a dire che occorre mobilitarsi nei territori. In queste ore la manifestazione di Roma ha preso le dimensioni di manifestazione nazionale. Non è una manifestazione convocata dalla Rete ma la cosa interessante è che è convocata sulle proposte della Rete, con una convergenza delle altre reti sulle proposte che abbiamo elaborato e sintetizzato in queste ore in un documento di analisi, di posizionamento e di proposta sulla situazione in Ucraina che va oltre l’emergenza, sottoscritto anche da realtà non aderenti alla Rete come Cgil, Cisl, Uil, il Forum del Terzo Settore, Oxfam e tanti altri. Saranno quelle le richieste e le proposte di tutti, sabato 26. È il riconoscimento di un lavoro collettivo del mondo della pace.

Il 26 saremo in piazza. Le mobilitazioni hanno senso se hanno dietro una proposta, che non deve essere “no alla guerra” ma deve articolarsi in obiettivi specifici e soprattutto di medio periodo. Nell’emergenza infatti puoi bloccare la guerra ma non fare la pace, fare la pace è un’altra cosa. Se vai in piazza senza sapere come fare a fermare la guerra e poi come fare a costruire la pace, la testimonianza si depotenzia

Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo

In piazza perché?
Quello che ho tentato di spiegare più volte in questi giorni è che le mobilitazioni hanno senso se hanno dietro una proposta, che non deve essere “no alla guerra” ma deve articolarsi in obiettivi specifici e soprattutto di medio periodo. Nell’emergenza infatti puoi bloccare la guerra ma non fare la pace, fare la pace è un’altra cosa. Se vai in piazza senza sapere come fare a fermare la guerra e poi come fare a costruire la pace, non ha senso. Sono aspetti che vanno al di là della contingenza, noi ad esempio puntiamo tantissimo sul disarmo e oggi, onestamente, quanto saremmo tutti più al sicuro se le armi nucleari fossero state già messe fuori dalla storia? Quindi in piazza ma con dietro un ragionamento, un documento, il collegamento con i movimenti pacifisti locali… La testimonianza è importante ma si depotenzia se dietro non ha queste valutazioni. E noi di certo non stiamo lavorando su questi temi da oggi: già nel 2019 per esempio avevamo sottolineato he l’Europa sarebbe diventata un campo di battaglia dopo che Putin e Trump avevano stracciato il Trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty). Noi lavoriamo continuamente e facciamo proposte continuamente, ma non possiamo nemmeno tacere che le strade che ci hanno portato fin qui sono strade diverse da quelle che noi abbiamo proposto.

In questo senso diceva che «è qui dove la politica continua a fallire»?
Si sono aumentate le spese militari, si sono militarizzati i confini, si è spinto sull’export di armamenti… e adesso è colpa del movimento pacifista? No, la colpa è di una politica troppo militarizzata. Dobbiamo averne chiara coscienza, perché altrimenti la risposta alla situazione odierna rischia di essere una nuova e ulteriore militarizzazione. Invece no, la risposta non può essere una nuova militarizzazione. È chiaro che c’è una tendenza che cerca di illuderci che più ti armi più sei sicuro ma non è così, la verità è che più ti armi più il bubbone scoppia. La guerra non è un antidoto alla guerra e per avere una de-escalation l’unica strada è demilitarizzare. Per questo servirebbe ascoltare i pacifisti quando non c’è la guerra, perché è lì che si fa la pace.

Si sono aumentate le spese militari, si sono militarizzati i confini, si è spinto sull’export di armamenti… e adesso è colpa del movimento pacifista? No, la colpa è di una politica troppo militarizzata. Dobbiamo averne chiara coscienza, perché altrimenti la risposta alla situazione odierna rischia di essere una nuova e ulteriore militarizzazione. C’è chi cerca di illuderci che più ti armi più sei sicuro ma non è così. La guerra non è un antidoto alla guerra e per avere una de-escalation l’unica strada è demilitarizzare. Per questo servirebbe ascoltare i pacifisti quando non c’è la guerra, perché è lì che si fa la pace.

Che cos’è la neutralità attiva per costruire strade di vera pace di cui parlate?
Già Gandhi diceva che per fare la pace devi poter parlare con l’avversario, capire le sue ragioni e le sue percezioni. In un confronto militare e muscolare invece, dove c’è sempre di più un “noi” e un “loro”, questo non lo puoi fare. Allora sembra che teniamo la parte di Putin? No, tant’è che abbiamo condannato fermamente quel che è successo nella notte e detto chiaramente che Putin sta invadendo l’Ucraina. Però c’è un popolo russo che non possiamo ridurre a Putin. Per essere costruttori di pace occorre essere neutrali a priori, che non significa far finta che tutto sia uguale ma nemmeno può significare prendere la posizione contraria a priori. Però deve essere una neutralità attiva, che significa dire chiare le cose e fare delle proposte per trovare delle soluzioni. La pace in fondo la fai con il nemico, non con l’amico. Non con Putin, ma con il popolo russo.

La Russia è una potenza nucleare. Lei ha scritto «stiamo rischiando troppo, stiamo rischiando una distruzione apocalittica». Cosa rischiamo?
La Russia è la seconda potenza nucleare al mondo, l’unica che ha la triade. Putin nel suo discorso, dicendo che “succederanno cose mai viste” ha minacciato una escalation. Questo preoccupa moltissimo. L’Ucraina aveva armi nucleari e le ha cedute alla Federazione Russa ma resta un paese dove ci sono impianti nucleari. L’escalation possibile riguarda sia l’utilizzo di armamenti nucleari – e sarebbe un disastro – sia il fatto che gli attacchi convenzionali possano essere indirizzati su centrali nucleari. Gli effetti sarebbero di portata differente, ma gravissimi anche in questo secondo caso. Ecco allora che torno a chiedere: quanto saremmo tutti più sicuri, oggi, se le armi nucleari le avessimo tutti già messe al bando?

Foto Sintesi/Avalon


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