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Mortari: «Il volontario offre il proprio tempo per una necessità di bene»

Vi proponiamo uno degli interventi più interessanti tra quelli proposti durante il convegno “Il volontariato che cambia la sanità. Il tempo della relazione è tempo di cura”, che si è tenuto a Bergamo lo scorso 19 febbraio, in occasione dell'investitura ufficiale di Bergamo Capitale italiana del volontariato 2022. Luigina Mortari, docente di Filosofia della cura all’Università di Verona, affronta il tema della cura

di Luigina Mortari

Noi siamo quello di cui ci prendiamo cura: lo diceva Martin Heidegger, il filosofo della contemporaneità che ha riportato alla nostra attenzione il tema della cura. La filosofia e la nostra cultura l’avevano dimenticato. Lo stesso Heidegger ci suggerisce una riflessione: le cose più importanti, che sono le cose del quotidiano, spesso non sono oggetto di pensiero. Si prendono in esame questioni sofisticate, temi esotici di cui la filosofia fa uso frequente, ma non si sta col pensiero là dove le cose accadono.

La filosofa spagnola Maria Zambrano, che aveva conosciuto la sofferenza dell’esilio, disse che se il pensiero deve aiutarci a vivere, dobbiamo stare dentro la realtà e non dentro la ragione. L’esperienza della pandemia per certi aspetti ci ha portato all’attenzione le cose più importanti per la vita, che devono esserlo anche per la politica. Le istituzioni che più in questo periodo hanno sofferto sono quelle sanitarie ed educative, cioè i luoghi dove lo Stato si prende cura dei suoi cittadini.

Il volontariato interpreta molto bene il concetto di cura. Non c’è vita se non c’è cura. Quando l’essere umano viene al mondo, è incompiuto. Le piante e gli animali sono interamente pensate dal “logos” dell’universo, non hanno bisogno di cercare altro. Noi esseri umani invece abbiamo il compito di diventare quello che possiamo essere, solo che questo è un lavoro difficile. Cesare Pavese lo chiamava “il mestiere del vivere”. Oltre che esseri incompiuti, siamo esseri dipendenti: dipendiamo dagli altri, sempre e comunque. Dipendenti sono i neonati, quando vengono al mondo; dipendenti sono gli anziani, quando perdono la forza vitale; dipendenti sono gli ammalati, quando si trovano in condizioni di dover essere completamente affidati agli altri; ma dipendenti, in qualche modo, lo siamo tutti, anche quando siamo adulti e nel bel mezzo delle forze, perché solo dagli altri ci viene quello che ci consente di essere pienamente umani.

La pandemia ci ha insegnato che ci eravamo dimenticati di prenderci a cuore la vita. E la vita aveva preso ritmi, tempi e modalità molto lontani dal concetto di prendersi a cuore di tutto ciò. C’era un liberismo imperante e c’è tutt’ora, non dobbiamo illuderci che la pandemia abbia sgretolato le logiche finanziarie liberistiche. Però ha messo in evidenza quanto queste logiche siano lontane dal senso dell’essere, e non siano le logiche che consentono di dare senso al tempo della vita.

Aristotele diceva che tutti gli esseri cercano il bene, ma l’essere umano cerca un bene particolare che è il benessere dell’anima, il benessere del pensiero e della coscienza. La massima libertà non è l’essere liberi dai vincoli, che non è umanamente possibile, bensì lo stare là dove la necessità ci chiede di stare. Come fanno i volontari. Non ci sarebbe stata la possibilità di uscire con una certa qualità di vita dalla condizione che abbiamo vissuto, se non ci fosse il volontariato. Ciò vale pure nei tempi ordinari, perché il volontariato, con la messa a disposizione del tempo, è l’essenza della cura. Seneca ci insegna che la vita è fatta di tempo, e noi cerchiamo di rimanere aggrappati al tempo che abbiamo. Il volontario fa qualcosa di diverso: prende il tempo e lo mette a disposizione dell’altro. Fa un’operazione strana, al di fuori della tensione auto-conservativa dell’essere. Ed è questo dedicare del tempo all’altro l’atto più intenso dal punto di vista etico perché, come dice ancora Seneca, “questa è l’unica cosa che nemmeno una persona riconoscente può restituire”. Il volontariato è un atto gratuito, e questo è il lavoro della cura.

Penso sia utile ricordare la riflessione che fece con me un’infermiera durante il lockdown. Era una mia allieva e ci sentivamo tutte le sere, al telefono. Una sera, dopo 14 ore di turno, era distrutta. Le chiesi: non potevi interrompere prima questo impegno? Se non hai cura di te, non puoi avere cura degli altri. Lei mi rispose: “No, non potevo, alcuni colleghi sono ammalati e in reparto siamo in pochi. Quando sei lì e le persone hanno bisogno, non hai il tempo di farti tanti ricami. Stai lì, fai quello che devi fare e poi cerchi di riposare quando ti viene concesso”.

Molti critici, che parlano di buonismo, dicono che queste persone devono colmare dei vuoti. Non sono d’accordo: chi fa volontariato, agisce dando il tempo all’altro quando l’altro ha bisogno, condividendo le proprie energie cognitive e fisiche come fa l’infermiere al letto del paziente, e lo fa perché sente la necessità del bene. Che è una buona qualità della vita. Se riesci a sentire l’appello che viene dal volto dell’altro, non puoi fare a meno di dare il tuo tempo all’altro. Il grande filosofo francese Emmanuel Lévinas, che aveva conosciuto gli orrori del nazismo e dei lager, diceva che “l’appello che viene dal volto dell’altro è qualcosa che ci rende responsabili per l’altro ancora prima che lo decidiamo”. Inizialmente non mi sentivo d’accordo con questo ragionamento perché mi sembrava che togliesse la libertà. Ho cambiato idea ascoltando chi fa un lavoro di cura: se l’altro ha bisogno, si fa e basta. Là dove va il senso dell’essere, le cose sono semplici ed essenziali.

La virtù più importante è quella che io chiamo virtù economica, che è la gratuità, proprio per mettere una netta distanza tra le politiche della cura e le politiche finanziarie e liberistiche. L’economia del dare non è l’emorragia dell’essere. Oggi dovremmo imparare, per stare al mondo secondo una misura di profonda umanità, la capacità della gratitudine nei confronti di chi qualcosa fa perché ci sia una migliore qualità della vita. Quando c’è una messa in circolo della riconoscenza, c’è una messa in circolo di una moneta buona che costruisce comunità, perché consente che ci sia attenzione al bene comune. È tempo che la politica, imparando dal volontariato, recuperi il senso profondo della disponibilità nel prendersi a cuore la qualità della vita di tutti.

* docente di Filosofia della cura dell’Università di Verona

Tratto dall’intervento al convegno

ll volontariato che cambia la sanità. Il tempo della relazione è tempo di cura, (Bergamo, 19 febbraio 2022)

a cura di Luigi Alfonso

Foto di Zhen Hu su Unsplash


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