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Il viaggio di Elena e Dasha, da Kharkiv a La Scala di Milano

Elena Arabadgi e sua figlia Dasha Parchami, di 10 anni, vivevano a Kharkiv. Quando hanno avvertito il fragore dei missili, hanno buttato pochi oggetti in un borsone e sono scappate. Da qualche giorno le ospita una famiglia a Milano. La piccola è stata accolta all'Accademia de La Scala. Il loro desiderio è quello di rimanere nel capoluogo. «Siamo qui per dare un futuro a Dasha», racconta la mamma, in un italiano perfetto: lei in passato ha tradotto in russo Elena Ferrante e Marco Missiroli

di Sabina Pignataro

Ora che sono al sicuro, ritroveranno consolazione e bellezza. Ma il punto di partenza di questa storia è un crepacuore. Prima di arrivare in Italia, una settimana fa, Elena Arabadgi, 43 anni, traduttrice, e Dasha Parchami, sua figlia di 10, hanno respirato il male a Kharkiv e attraversato strade devastate.

«Nei primi giorni dopo lo scoppio della guerra, sentivamo solo il baccano amaro dell’artiglieria. Sapevamo che saremmo dovute andare via, ma non immaginavamo così di fretta», racconta Elena. «Avevo letto che alcuni teatri europei si erano detti disposti ad accogliere le ballerine di danza classica, perciò ho scritto ai principali, allegando i provini di Dasha. Poi il giorno in cui abbiamo avvertito il fragore dei missili sopra le nostre teste, abbiamo buttato pochi oggetti in un borsone e in soli venti minuti siamo scappate. Se volevamo vivere, non avevamo alternativa».

In viaggio hanno incontrato solo un'umanità disperata. Ci sono voluti quattro giorni di macchina prima di arrivare in Romania. «Appena siamo arrivati a Bacau ho ricevuto una mail in cui l'Accademia de La Scala ci comunicava che avrebbero accolto Dasha».

A quel punto una straordinaria rete di solidarietà, gestita dalla congregazioni “Opera Don Calabria”, ha messo Elena e sua figlia su un volo lowcost per Orio al Serio. Ad accoglierle, la famiglia di Chiara e di Federico, con le loro due bambine, che non hanno esitato ad aprire le porte della propria casa a Milano.

«Non potevamo credere che dopo aver respirato la polvere avremmo incontrato tanta luce, tanta generosità. Studiare a La Scala è sempre stato uno dei grandi sogni di Dasha. E io mi sono specializzata alla scuola interpreti di Pescara, sono una studiosa della cultura italiana, amo Moravia, Tabucchi e Camilleri. Ho tradotto in russo anche “I giorni dell'abbandono” di Elena Ferrante (edizioni e/o) e “Fedeltà” di Marco Missiroli (Einaudi). Intuivo perciò che sarebbe stata un’ottima opportunità per noi, considerato il momento. Eppure all’inizio avevo dei forti dubbi: l’accoglienza non è scontata. Mi sbagliavo: la guerra mi ha fatto cambiare opinione su molte cose».

Le difficoltà in Italia
In questo preciso momento, racconta Chiara, "la mamma ospitante", le difficoltà principali sono quelle burocratiche. «C’è da capire come fare con i documenti: in Romania le hanno messo il visto per muoversi in area Schengen, ma con questo Elena può già lavorare? E poi, le misure anti Covid. Elena ha ricevuto due dosi, ma del vaccino cinese, che non è riconosciuto in Europa. Ha fatto una dose di Pfizer qui a Milano, ma del green pass non c’è traccia: non puo sedersi nemmeno in un bar, entrare in qualche posto mentre attende che sua figlia termini le lezioni di danza. Vorremmo aprire loro una conto corrente alle poste, ma senza permesso di soggiorno non si può. I nodi da sciogliere sono ancora parecchi».

La speranza di rimanere a Milano
Elena e Dasha non sanno cosa riservi loro il futuro che oggi ha la consistenza di sabbie mobili, anziché quella di un solido terreno. Ma una cosa la sanno, madre e figlia: «Siamo insieme». Nessuna delle due ha lasciato la mano dell'altra. E insieme continueranno a camminare, ballare. Respirare. Vivere.
Il loro desiderio è quello di rimanere a Milano. «Siamo qui per dare un futuro a Dasha», sospira Elena, osservando sua figlia che gioca con le due bimbe che le stanno ospitando. Insieme fanno “ciao ciao”, con la canzone de La Rappresentante di Lista.

«Lei ha già iniziato a frequentare l’Accademia de La Scala. Nel suo gruppo ci sono altre quattro allieve appena scappate da Kiev. A maggio avrà un esame, se lo supererà potrà continuare a vivere il suo sogno: la mattina in una scuola pubblica, con i compagni di quinta elementare. Il pomeriggio sulle punte». Quanto a lei, dice, «io come traduttrice ho sempre lavorato da remoto e potrei farlo ancora».


In questo momento non hanno intenzione di scrivere la mappa delle assenze che hanno rastrellato le loro vite.
Le abita un’indomabile fiducia. Un’ostinata tenacia. La loro è una gioia che tiene conto del dolore. Il pensiero va alla nonna della bambina. «Ogni mattina, appena mi sveglio, chiamo mia mamma che è rimasta a Kharkiv e verifico che sia viva. E’ troppo anziana per spostarsi», conclude Elena. «Oggi, comunque, proviamo gratitudine».

Come sosteneva la scrittrice austriaca Vicki Baum “ci sono delle scorciatoie per la felicità, e la danza è una di queste”.


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