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Sostenibilità sociale e ambientale

L’energia di comunità per sconfiggere la crisi del fossile

Una nuova norma potenzia le comunità energetiche, associazioni tra cittadini, enti locali e imprese che hanno come obiettivo l'autoproduzione di energia pulita. Questo strumento potrebbe essere una risposta verde all'attuale crisi del petrolio e del gas naturale

di Veronica Rossi

Tra i rincari in bolletta e l’emergenza in Ucraina, di energia ormai si parla moltissimo. Le fonti fossili importate dall’estero – come il gas o il carbone – danno prove sempre più evidenti dei loro limiti: servono metodi innovativi di approvvigionamento, che siano sostenibili sia dal punto di vista economico che da quello ambientale. Alla fine dell’anno appena trascorso il Decreto legislativo "Red II" (d.lgs 8 novembre 2021, 199) – attuazione della Direttiva europea 2018/2001 sull’utilizzo delle rinnovabili – ha dato vigore a uno strumento che può rivoluzionare il modo di produrre e usufruire della corrente elettrica: la comunità energetica. Abbiamo chiesto a Roberto Savini, presidente di Confcooperative Consumo e Utenza, di parlarci di questa nuova misura.

Presidente, cos’è una comunità energetica?

Si tratta di una forma di associazione tra cittadini, persone giuridiche o anche enti locali, che nasce con uno scopo mutualistico: la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili, soprattutto dal fotovoltaico e dall’eolico, ma non esclusivamente. La comunità può avere diversi tipi di personalità giuridica, ma la più consona, a mio parere, è quella della cooperativa. I partecipanti, a fronte di un investimento iniziale, possono usufruire a titolo gratuito dell’elettricità dell’infrastruttura condivisa; c’è anche la possibilità di cedere una quota di corrente inutilizzata alla rete, con un pagamento che verrà deciso dalle autorità che regolano i prezzi dell’energia quando i regolamenti attuativi stabiliranno l’ammontare degli specifici incentivi.

Si tratta anche di una forma produzione di energia locale. Giusto?

Si, per sua stessa natura la comunità energetica è territoriale. Tutti gli utenti devono essere dislocati in prossimità di una cabina; gli associati – condomini, imprese, edifici pubblici – devono trovarsi in una condizione di prossimità. Non è pensabile, per esempio, che una persona di Napoli si unisca a una realtà di Milano.

La comunità energetica può essere uno strumento per contrastare i rincari delle bollette?

Si. È una misura per la quale più gli associati sfruttano l’energia prodotta dal sistema più risparmiano. Bisogna mettere in atto una serie di accorgimenti e imparare a utilizzare la corrente quando ci sono i picchi di produzione; per il fotovoltaico, per esempio, è meglio usufruire dell’elettricità durante il giorno e in maniera maggiore nei mesi da marzo a ottobre, quando in molte case, ormai, sono accesi i condizionatori. Uno dei vantaggi delle comunità energetiche è che, mettendo insieme più soggetti e quindi raggiungendo un investimento abbastanza importante, si riesce ad arrivare a impianti vicini al megawatt. Insomma, si tratta di azioni che hanno un duplice effetto positivo: da un lato contrastano i rincari nel prezzo dell’energia e dall’altro costituiscono un elemento di grande sostenibilità ambientale.

Qual è lo stato dell’arte delle comunità energetiche?

Ci sono delle piccole esperienze già avviate su tutto il territorio italiano, da Nord a Sud, grazie alla precedente normativa. Non si tratta di realtà significative dal punto di vista della produzione o dei tagli alle bollette, quanto per le ricadute positive sul territorio; queste comunità sono piccole perché i tempi sinora non erano maturi. Ora abbiamo un nuovo decreto, a cui abbiamo contribuito attivamente affiancando il legislatore, che permette impianti di maggiori dimensioni ed efficienza. Stiamo ancora aspettando alcuni regolamenti attuativi, che ci permetteranno di sapere l’entità degli incentivi e quindi di realizzare dei business plan accurati. In questo momento stiamo sollecitando la nostra base sociale perché sia pronta a cogliere le opportunità che si presenteranno; so che anche le singole Regioni, come la Lombardia e l’Emilia – Romagna, stanno lavorando per dotarsi di leggi specifiche.

Il governo, per far fronte alla crisi energetica, ha appena aperto la possibilità di rimettere in funzione i gruppi a carbone e a olio combustibile nelle centrali. Pensa che sia un passo indietro rispetto alla direzione delle normative sulla sostenibilità?

Dunque, bisogna dire che viviamo in un clima di incertezza generale, dovuto alla situazione geopolitica attuale. Ci dobbiamo rendere conto che potremmo non essere in grado di realizzare una transizione completa in pochi mesi, dopo una pandemia e un evento bellico che hanno portato i prezzi dell’energia alle stelle. Capisco quindi il legislatore, costretto a prendere scelte emergenziali: per quanto l’utilizzo delle fonti rinnovabili vada sostenuto e incentivato, non è nemmeno pensabile lasciare che nel frattempo manchi l’approvvigionamento e che le aziende rischino di andare in default. Pur ritenendo che riattivare le centrali a carbone significhi da un certo punto di vista tornare indietro di vent’anni, dobbiamo far fronte a una situazione difficile, causata anche da una mancata attuazione di politiche previdenziali in passato.

Le comunità energetiche possono essere supportate anche dal Pnrr?

Si, il Pnrr ha una grande disponibilità economica per le comunità energetiche, di 2,2miliardi. In questo caso, però, si tratta di fare una progettazione davvero a largo spettro: non si può pensare alla singola azienda o alle piccole realtà che si organizzano con investimenti di poche centinaia di migliaia di euro. Serve un atto di coordinamento territoriale che coinvolga anche gli enti locali in un progetto che diventi sistemico.

Le comunità possono sconfiggere la povertà energetica?

Quello della povertà energetica è un tema del tutto attuale ma va disciplinato, secondo me, da un altro punto di vista. Chi non arriva a fine mese e non può procurarsi la corrente, non potrà mai avere il capitale necessario a fare un investimento per la costruzione di un’infrastruttura. L’unico intervento che vedo possibile è l’inclusione di queste persone in progettualità più ampie e strutturali, che comprendano anche aziende e enti locali, senza che debbano dare un apporto di risorse in termini economici.

Photo by American Public Power Association on Unsplash


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