Economia & Impresa sociale 

Il Sud ha più anticorpi per combattere usura e racket

Secondo l'ultimo "Report nazionale sull’usura" di Confcommercio, racket e usura sono due fenomeni fortemente presenti nel nostro Paese, ancor di più in conseguenza del Covid e ora anche dei venti bellici. Di contro, c'è chi sottolinea il fatto che oggi "paga chi può pagare", evidenziando una certa debolezza di Cosa Nostra che, però, non sembra invogliare alla denuncia gli imprenditori

di Gilda Sciortino

Non ci sono dubbi che al Sud, quando si parla di racket e usura, si sa bene di cosa si tratta e, anche se le denunce sono ancora troppo poche rispetto a quante ce ne dovrebbero essere, ci sarebbero gli anticorpi giusti per combattere entrambi i fenomeni. Per Luigi Cuomo, presidente nazionale di Sos Impresa, la consapevolezza che c’è al Sud non esiste, invece, al Nord dove "gli imprenditori sono capaci di subire estorsione e usura senza rendersene conto. Qui c’è la consapevolezza, appare tutto più concentrato perché la lotta tra vittima e carnefice, non solo si percepisce ma è più vivace che in qualunque altro luogo del mondo”.

A sollecitare il dibattito sullo statut quo relativo a entrambi i fenomeni è l’ultimo Report nazionale sull’usura di Confcommercio che fotografa una situazione che dovrebbe preoccupare molto di più di quel che evidenziano i dati, anche perché l’allarme lo lanciano proprio coloro i quali hanno quotidianamente a che fare con le aziende e gli imprenditori, ma anche con tutto quel tessuto sociale e culturale che, schiacciato dalla criminalità, non cresce e non fa crescere le nostre comunità.

I dati, per esempio, ci dicono che al Sud le imprese del terziario di mercato percepiscono un peggioramento dei livelli di sicurezza, più che nel resto d’Italia, restando l’usura il fenomeno criminale più diffuso secondo il 30% delle imprese (il 27 a livello nazionale). In particolare, poi, la percentuale di imprenditori preoccupati per il rischio di esposizione a fenomeni di usura e racket nella zona in cui operano è del 19,1%, dato superiore alla media nazionale pari al 17,7%.

Di fronte a fenomeni di usura e racket, poi, il 66,7% delle imprese del Sud ritiene che si debba sporgere denuncia (un valore ampiamente superiore alla media nazionale del 58,4%). Una situazione aggravata dalle prolungate chiusure per Covid e dalla mancanza di liquidità. Si può, per esempio, calcolare che almeno 2.500 – 3.000 imprese rischiano di essere “assorbite” da chi, attraverso l’usura e l’estorsione, cerca di approfittare del livello di grave difficoltà delle aziende dei settori più colpiti.

«Confcommercio fa benissimo a puntare i riflettori su questi temi – afferma Cuomo – che sono di un’attualità e di una gravità sempre più ampia perché le conseguenze sulle aziende di due anni di pandemia e anche della crisi bellica sta completando il lavoro di indebolimento e di estinzione delle piccole e medie imprese, favorendo l’opera di infiltrazione nell'economia da parte delle criminalità. Le mafie sparano sempre di meno e si espongono ancora di meno agli aspetti eclatanti perché hanno scoperto che c’è un altro modo di ottenere gli stessi risultati, addirittura potenziati, rischiando sempre di meno. Grazie alla grande quantità di denaro sporco riciclato c’è un'opportunità unica di riproporsi nel mercato con le vesti candide e innocenti, determinando invece un rischio reale della democrazia nel nostro paese. Questo perché controllare il sistema economico delle imprese in Italia, da parte della criminalità, significa ridurre sino a estinguere la libertà individuale di ognuno».

Situazione che riguarda non solo i commercianti, gli operatori economici, ma anche la comunità, riguarda i cittadini, le istituzioni. Dall'altra parte, invece, rimane ancora tale il disimpegno totale della politica che “si accende” solo quando serve.

«La politica e le istituzioni – aggiunge il presidente di "Sos Impresa" – non danno un buon esempio di fiducia e interesse. Da anni, poi, assistiamo a campagne di delegittimazione interne ed esterne della magistratura. Scenario che riduce i cittadini, gli operatori economici, in una sacca di incertezza che non si concilia con la necessaria azione sulle mafie. Sforzi in campo ne sono stati fatti e se ne fanno, ma evidentemente sono insufficienti. Un esempio molto concreto? Due mesi fa, esattamente il 28 febbraio, è andato in pensione il Commissario nazionale Antiracket e ancora deve essere sostituito. Se lo faranno con un altro Prefetto alla vigilia della pensione, durerà un anno, un anno e mezzo al massimo, e non quattro come impone la legge. Le chiacchiere sono elevatissime, ma nei fatti la reale attenzione è scarsa e inappropriata».

Usura e racket sono reati ancora più gravi perché le organizzazioni criminali definiscono ancora di più il rapporto tra vittima e carnefice, esercitando un effetto negativo nel sistema economico e democratico del Paese. Una gravità estrema. Le denunce, poi, sono sempre pochissime e fare un paragone tra un anno e l'altro non serve a molto: tutte messe insieme non sono solo insufficienti, ma sono anche assolutamente incapaci di raccontare la realtà che invece arriva dai commercianti.

Che dire, in modo specifico, dell’usura?

«Aldilà dei dettagli, la ricerca conferma che è un fenomeno in crescita. Peraltro la pandemia ha aumentato l’esposizione delle imprese, quindi è un dato oggettivamente acquisito perché, mancando purtroppo quell’effetto di fiducia verso le istituzioni, la dimensione del fenomeno non consente di capirne bene la sua portata. Anche nelle piccole cose, come la nomina di un commissario che duri il tempo di dargli gli strumenti per contrastare il fenomeno insieme al sistema delle associazioni, che sono state bravissime, come la magistratura, a farsi male da sole. Nei primi del 2000, invece, il movimento antiracket nel nostro Paese é stato dominante, anche dal punto di vista culturale. Un obiettivo che il nuovo commissario dovrebbe porsi sarebbe il rilancio del movimento, dandogli una mano a ritrovare le condizioni di unità complessiva, di maggiore trasparenza, ma anche e soprattutto di un’efficacia operativa tale da creare, tra operatori economici, istituzioni e cittadini, quel ponte virtuoso che aiuti a riacquistare la fiducia e aumentare il ricorso alla denuncia».

Ma, se volessimo scendere più nello specifico di un territorio come quello palermitano?

«Siamo davanti a una strana situazione – spiega Salvatore Cernigliaro, presidente della cooperativa "Solidaria", promotrice del Premio Libero Grassi giunto alla XVI edizione – e cioè che da noi “paga chi vuole pagare”. Lo dico alla luce del fatto che non emergono reazioni Chi non paga non riceve neanche una ritorsione. Sembra che non vendano più attak, mentre sino a 10, 15 anni fa, un giorno si e uno no, se non pagavi, ti mettevano l'attak ai lucchetti della saracinesca. Prima anche gli incendi, oggi neanche quelli. Nelle intercettazioni si sente chiaramente “da quello è meglio non andare perchè è sbirro". Proprio oggi ho ricevuto una persona che mi raccontava che gli si erano avvicinati e, quando lui ha detto che non poteva pagare, non si sono più fatti vedere. Il danno che può fare la denuncia è più grave del non avere pagata la quota fissa. Oggi Cosa Nostra sembra non potersi permettere azioni che prima sosteneva e combatteva, ma questo non induce i palermitani a dire basta, dando la giusta spallata. Oggi denuncia solo chi non ne può più. Alla base di tutto c’è la speranza. Quando non ne hai chiudi, quando ce l'hai, pensi che la ripresa è vicina perche stanno arrivando fiumi di denaro grazie al Pnrr, quindi sei invogliato a resistere. Non rispondendo il sistema creditorio legale, però, non ti resta che rivolgerti a quello illegale. Oggi ti rivolgi all’usuraio solo per rimanere nel sistema».