Media, Arte, Cultura

L’arte è una festa di bambini

Apre oggi la grande manifestazione veneziana. Il padiglione più sorprendente e felice è quello belga. Francis Alÿs propone una installazione di video girati in tutto il mondo: in simultanea si vedono ragazzini giocare e divertirsi. Sono giochi inventati “dal basso”, poveri, semplicissimi. Uno spettacolo di umanità…

di Giuseppe Frangi

Un frastuono felice ti accoglie appena varchi la soglia del Padiglione belga alla Biennale di Venezia appena inaugurata. Un frastuono inaspettato in quel contesto. Dappertutto rimbalzano grida di bambini, raccolte nella concitazione dei loro giochi.

Dal 1999 Francis Alÿs, l’artista che firma il padiglione, girando il mondo ha raccolto i filmati di questi divertimenti spontanei, fatti con pochissimi mezzi. Un rito felice, che si rinnova in modalità ogni volta diverse e che si adatta a ciò che il contesto mette a disposizione. Il primo video Alÿs lo aveva girato in Marocco, filmando i ragazzini che si divertivano con il carocoles: una bottiglia di plastica piena d’acqua che veniva fatta rotolare da strade scoscese. Osservare, interrogare e descrivere il comportamento umano nell'ambiente urbano è una costante nel lavoro di Alÿs. I suoi video mostrano, da una prospettiva etnografica, la forza della tradizione culturale e l'atteggiamento libero e autonomo dei bambini, anche nelle situazioni più conflittuali. Nell'ultimo decennio, i giochi per bambini sono diventati centrali nella pratica di Alÿs, che è nato ad Anversa ma vive in Messico. Filmarli è diventato un modo per cogliere i modelli di vita delle persone. Mentre alcuni di questi giochi fanno parte di un territorio o di una tradizione specifica, la maggior parte di essi esiste in tutto il mondo. Questo dà al lavoro di Alÿs una portata universale.

Contento di filmare senza intervenire, Alÿs rivela le regole non dette del gioco, il modo inventivo in cui i bambini si impadroniscono del loro ambiente, la loro complicità profonda, il loro ottimismo, la loro gioia. Questa installazione invita il visitatore a vagare attraverso un labirinto di schermi, mettendolo al centro di un parco giochi globale. Da una sequenza all'altra, suoni e immagini interagiscono, come frammenti di un tutto, allegorie che rendono la complessità di una realtà a volte brutale.

Sono giochi dove la fantasia compensa la mancanza di mezzi, anche dei mezzi minimi. A Mosul, in Iraq, i ragazzini anno inventato l’Haram Football. Giocano a calcio senza pallone. Si vede un ragazzino correre e gettarsi a terra, con la gamba spazzare la terra per toccare con il piede una palla immaginaria. Segna anche un gol… «La gioia si irradia nelle strade secche e polverose. La palla non è lì, ma lui è…» commenta la curatrice del padiglione, Hilde Teerlinck. Si gioca con tutto, anche con i copertoni dei camion magari prelevati in qualche discarica: in Congo i ragazzini li portano in cima alle dune, vi si infilano dentro, e poi rotolano a perdicollo, gridando per la felicità e un po’ anche per la paura.

La bellezza dell’opera di Alÿs sta nella coralità che popola il padiglione. I video vanno in contemporanea su grandi schermi, le voci e i gesti si sovrappongono; così pure i contesti: dal deserto alle periferie urbane, dalle spiagge alle foreste. Ma le distanze si annullano, nel segno di una concitazione felice che riempie lo spazio del padiglione e riempie il cuore e gli occhi di chi vi entra.


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