Welfare & Lavoro

La capacità di welfare e la voglia di welcome dei piccoli Comuni

Il modello del Welcome sulla gestione delle migrazioni è stato al centro di un incontro tra l'ANCI Sicilia e la "Rete dei Piccoli Comuni del Welcome". Una realtà, quest'ultima, che, anche attraverso le Cooperative di Comunità, propone un sistema che pone al centro di tutto la persona, ripensando al tema dell'accoglienza e del welfare in quanto benessere della comunità

di Gilda Sciortino

Una pluralità di esperienze all’interno della quale un diverso concetto di accoglienza da realizzare a livello locale può generare un’ integrazione più a misura d’uomo, di famiglia.

Un’esperienza concreta, importante, quella dei Piccoli Comuni del Welcome; tanto importante che l’ ANCI Sicilia li ha voluti incontrare per avere illustrato il metodo del welcome sulla “Gestione delle migrazioni ed esperienze delle Cooperative di Comunità”. Un confronto necessario, tenuto anche conto che Anci Sicilia coordina la Rete SAI dei Comuni Siciliani a cui hanno già aderito: Acireale, Alcamo, Bronte, Caltagirone, Campobello di Mazara, Canicattini Bagni, Castroreale, Catania, Grammichele, Marsala, Mazzarino, Milazzo, Mirabella Imbaccari, Mirto, Pace del Mela, Oliveri, Ragusa, Rodi Milici, San Cipirello, S. Margherita Belice, Tusa, Trabia, Valderice e Vizzini, oltre all’Area Metropolitana di Palermo e i Liberi Consorzi di Caltanissetta, Ragusa e Siracusa che comprendono altri 137 Comuni, ai quali si sono aggiunti i Comuni di San Giuseppe Jato, Vittoria, Prizzi e Mazara del Vallo.

Ancora più nello specifico l’interesse era a capire il modello di innovazione sociale rappresentato dalle Cooperative di Comunità dove i cittadini sono produttori e fruitori di beni e servizi, generatori di sinergia e coesione all’interno do un sistema composto da singoli cittadini, imprese, associazioni e istituzioni. Realtà in cui viene valorizzata la centralità del capitale umano secondo criteri organizzativi e gestionali che favoriscano la partecipazione e coinvolgimento.

Altra fondamentale peculiarità delle Cooperative di Comunità del Welcome è la loro composizione: una parte dei soci, infatti, deve essere composta dalle persone migranti accolte nei Progetti SAI dei piccoli comuni in cui nascono. Un modo per consentire, a chi giunge da mondi lontani, di coltivare il sogno di restare nei nostri piccoli borghi, prendersene cura, investire qui il proprio futuro, invertendo il trend di spopolamento.

E sono proprio i piccoli comuni ad avere colto la visione nella quale integrazione e partecipazione sono parte integrante di un sistema di welfare il cui obiettivo è solo il benessere del territorio.

«Non so se questo momento era stato pensato prima dello scoppio della guerra – afferma Angelo Moretti, presidente del Consorzio “Sale della Terra” e referente della Rete dei Piccoli Comuni del Welcome – ma ci dà modo di riflettere insieme sulla novità straordinaria in termini di accoglienza dei profughi. Il massimo dell’accoglienza è stata di 180mila persone nel 2016 quando si parlava di rischio invasione, mentre oggi siamo davanti a 4 milioni di profughi dall’Ucraina che sicuramente aumenteranno. Bisogna guardarci attorno molto bene perché il sistema dell’accoglienza non è affatto qualcosa di residuale in Italia e non riguarda solo gli addetti ai lavori, ma ha a che vedere con lo sviluppo quale modello di futuro del Paese Italia».

Su cosa ha, quindi, voluto porre l’attenzione la Rete Welcome?

«Siamo partiti da un condizione di stupore rispetto a quello che stava succedendo in tema di accoglienza in Italia. Quando nel 2011 c’è stata l’emergenza Sud Africa, quella che è scoppiata in Libia, da allora in poi pensavamo che non potesse mai più accadere che l’accoglienza fosse un aspetto economico che chiamava in causa i privati. Come quando qualcuno dice che le carceri stanno scoppiando, che sono troppo piene di detenuti, invece di riformare il sistema penale immagina come realizzare carceri private. Di esempi così ce ne sono tanti. Dalla chiusura degli ospedali psichiatrici, si sono centuplicate le esperienze di comunità residenziali protette. Io vengo da Benevento e, nel mio territorio, ci siamo accorti di dinamiche assurde: imprenditori di concessionarie di auto che improvvisamente aprivano centri di accoglienza. Ma solo per fare un esempio tra tanti».

Necessita rendersi conto che il welfare non può più essere a compartimenti stagni, solo per migranti, disabili, anziani, fragili, ma deve creare le condizioni per una reale coesione territoriale

«Il welfare è uno – aggiunge Moretti – , è la capacità di investire sulla coesione sociale di un territorio e sull’accoglienza, ma non andando in direzione contraria al welfare degli italiani. Secondo noi il sistema dell’accoglienza con il sistema del welfare italiano possono integrarsi. Basta informare i Comuni, per esempio su come funzionano i Sai per chiarire la differenza con gli Sprar. Oggi, poi, dobbiamo parlare di governance, o meglio ancora di co-governance creativa. E questo si può fare più facilmente proprio nei piccoli comuni, che in questo momento storico stanno dimostrando una grande capacità di innovazione sociale, attraverso proposte concrete e pratiche ma anche di visione».

L’accoglienza rimane sempre un valore, ma anche un asset del welfare che riguarda tutti e non solo i migranti. Come valorizzare ciò che abbiamo?

«Possiamo mettere in campo le terre incolte. L'Italia ha 18 milioni di ettari di terreno non utilizzati negli ultimi 40 anni. Dato che ci restituisce l'Istat sulla superficie agricola che possediamo, insieme a quello sugli 8 milioni di case abbandonate. Stiamo vivendo in questi giorni l'assurdità del ricatto non solo del gas ma anche del grano. Un Comune con un piccolo Sai, 20/30 persone alle quali destinare budget salute, reddito di cittadinanza, interventi di social housing, budget educativi per gli adolescenti, può diventare a esclusione zero. Una dinamica di uguaglianza che già molti Sai del Sud hanno dimostrato di sapere attuare e gestire attraverso la loro capacità di welfare e tanta voglia di welcome. La ricetta giusta per creare comunità nelle quali recuperare la nostra umanità».