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M. profugo siriano in Turchia: il mio calvario tra i confini

M. ha 20 anni, è uno dei 6,8 milioni di siriani che ha lasciato il Paese. Pubblichiamo la sua lettera, ricevuta dell'avvocato Francesca Napoli. «Racconto», scrive M., «le fasi della morte e della tortura tra la Turchia e la Grecia. La mia storia non è stata frutto dell'immaginazione o della realizzazione di cinema, film e favole tristi. Una storia vera che accade ogni giorno a decine di immigrati fuggiti dai loro paesi a causa di guerre, uccisioni e torture. Racconto la storia del mio viaggio verso l'Europa»

di Anna Spena

I numeri non racchiudono le vite. Ma con le migrazioni forzate funziona così: ci muoviamo quasi alla cieca, non esistono dati ufficiali, dati aderenti alla realtà che possano in qualche modo circoscrivere un fenomeno. Camminiamo tra le stime, per lo più al ribasso. E le facce delle persone, con le loro vite, le perdiamo per strada. Quante sono le Lesbo, le Lampedusa, le frontiere di terra dai Balcani fino al Messico che non conosciamo? Che succede non solo in Italia, ma in Medio Oriente, Africa, in America Latina? Una risposta certa, come dicevamo, un dato certo, non esiste. Abbiamo provato a raccontarlo qui.

E allora che facce hanno queste persone? Che storie hanno? Da dove vengono? M. ha 20 anni, è siriano. Un quarto della popolazione mondiale dei rifugiati è siriana: 6,8 milioni di persone, M. è uno di loro. Questa è la sua storia, la sua testimonianza. La riceviamo da Francesca Napoli, 39 anni, avvocato, tra le social influencer che abbiamo intervistato per il numero di Vita ora in edicola "Il sociale sui social", la sua pagina @storiedallaltromondo con oltre 60mila follower, l’ha aperta nel 2019, nel pieno dei Decreti Sicurezza volute dall’ex ministro dell’interno e leader della Lega Matteo Salvini: «Era un periodo buio», dice. «I migranti erano considerati criminali. E invece io volevo che le persone sapessero la verità, conoscessero le loro storie. Volevo con IG umanizzare il fenomeno delle migrazioni. Non immaginavo un riscontro così importante. La gente non sa neanche che conflitti avvengono nel mondo, le nostre televisioni non raccontano perché la gente fugge e così è nata la fandonia dei “migranti economici”». La community di storiedallaltromondo è molto attività: «quando attraverso le story lancio appelli solidali, che spesso riguardano raccolte fondi per sostenere i rifugiati, tendono ad essere presenti». La denuncia di quello che succede nelle prigioni in Libia, i viaggi lungo la rotta Balcanica, la condizione delle donne in Iran, la repressione degli uiguri in Cina, etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest del Paese, i diritti della comunità lgbt in Italia. «I diritti», dice, «tutti. Perché sono interconnessi e imprescindibili, non puoi parlare di uno senza parlare di un altro. Da qualche mese sono in conatto con M., rifugiato in Turchia. Ha provato più volte a raggiungere la Grecia, è stato sempre respinto e ha subito abusi e vessazioni. L'ultima volta è stato massacrato, ha scritto una lettera, e me l'ha inviata».

"Se il suicidio non fosse stato proibito, mi sarei ucciso", si legge nella lettera di M. "La mia storia è quella di un immigrato siriano che non ha compiuto vent'anni. Racconto le fasi della morte e della tortura tra la Turchia e la Grecia. La mia storia non è stata frutto dell'immaginazione o della realizzazione di cinema, film e favole tristi. Una storia vera che accade ogni giorno a decine di immigrati fuggiti dai loro paesi a causa di guerre, uccisioni e torture. Racconto la storia del mio viaggio verso l'Europa.

Lo giuro e lo dico, per Dio, per Dio, sono molto stanco e qui in Turchia ogni giorno si sente parlare della deportazione di persone in Siria. La vita è difficile in Turchia, e non so per quanto tempo rimarremo in questo stato. Quindi ho deciso di uscire e cercare un Paese sicuro per riposarmi e stabilirmi. Sai che il mio Paese, la Siria, sta assistendo alla guerra oltre che alla povertà e alla distruzione, e non c'è casa per me in Siria, e non appena tornerò in Siria, il mio destino sarà quello di combattere con le parti in conflitto o con il regime, o verrò ucciso o imprigionato e voglio solo vivere In sicurezza.

Ho appena superato le dure fasi dell'infanzia o sono ancora un bambino che non ha assaporato la dolcezza dell'infanzia e il sapore della vita. Questo è il caso di molti immigrati siriani. Il 01.06.2022 volevo andare in Grecia con un gruppo di immigrati. Ho attraversato il fiume che separava Turchia e Grecia dopo 3 tentativi. Ogni volta che ho fallito, sono stato catturato, umiliato, imprigionato, ho perso i miei soldi e sono tornato a piedi nudi in Turchia. Ma l'ultima volta che ho attraversato il fiume e ho camminato per 16 giorni in piedi, ho assistito ai peggiori tipi di tormento, oppressione, fatica, fame e sete, tutto per arrivare a riposare dalle preoccupazioni della vita fuggendo dal vortice della guerra e della vita difficile. Prima dei monti Komotini, sono rimasto senza cibo per 5 giorni e senza alcun aiuto, ma ho deciso di continuare a camminare. Il gruppo con cui ero ha avuto un'imboscata, tutti sono stati arrestati ma io sono scappato e mi sono nascosto. Durante cinque 5 giorni cercavo cibo mentre mi nascondo tra le montagne. Poi ho deciso di scendere verso un villaggio, sperando di trovare qualcuno che mi nutrisse , perché non potevo più sopportare la fame

Appena arrivato al villaggio gli abitanti mi hanno denunciato alle autorità. Poi è arrivata la polizia e mi ha arrestato. Questa volta non sono scappata perché mi sono arreso alla realtà. Mi hanno arrestato con le lacrime che mi scorrevano lungo le guance per la gravità della fatica e della tristezza per la mia condizione.

Ho passato lunghe giornate nei boschi. Poi la polizia mi ha portato in una prigione al cui interno c'è un campo per le persone che vengono catturate nelle automobili o che, come me, cercano di attraversare il confine a piedi. Mi hanno gettato come un cane.

La mia colpa è stata solo aver chiesto un pezzo di pane per riempirmi lo stomaco affamato. Il poliziotto mi ha detto che non c'era cibo. "Sei siriano, perché sei venuto qui? Vai nel tuo paese". Gli ho detto che nel mio paese c'è la guerra. Mi ha detto che non sono affari che lo riguardano. Gli ho detto che avevo solo chiesto del cibo e ho giurato che sarei morto di fame, allora mi ha colpito con un bastone chiedendomi di stare zitto e non parlare più né chiedere cibo. Qui sono esploso di rabbia e gli ho detto "sono un essere umano e non un animale, perché tutta questa umiliazione io voglio asilo" ed ecco che ha cominciato a ridere e mi ha ripetuto di nuovo di stare zitto. Gli ho detto che sono un essere umano, anche un animale mangia perché non mi è permesso mangiare?

Mi ha portato fuori dalla cella e mi ha picchiato assieme a quelli che erano con lui mentre urlavo finché non ho perso conoscenza. Quando mi sono svegliato mi sono ritrovato in cella. Poi siamo stati portati di notte in macchina. Fuori la porta della prigione siamo stati picchiati e trattati come pecore. Poi ci hanno condotto in macchina alla prigione di Abu Riha. Questo nome deriva dall'odore sgradevole che pervade la prigione.

Ci hanno messo in 70 persone su un camion, non riuscivo più a respirare e stavo soffocando, e ho quasi perso la vita per mancanza di ossigeno. Lì siamo stati anche spogliati dei nostri vestiti e delle nostre cose, e ci hanno picchiato e derubato. Dopo 4 ore, ci hanno portato al fiume di notte per respingerci verso la parte turca. Sono sceso dalla macchina lentamente perché non riuscivo più a muovermi ed ero troppo stanco, mi hanno picchiato per farmi andare più veloce, così sono caduto a terra e ho urlato per il dolore. Allora il pestaggio è iniziato senza pietà. È vietato gridare qui perché guardie di frontiera turche non devono accorgersi che ci riportano in Turchia, quindi sono stato picchiato perché ho messo a rischio il piano e mi hanno accusato di essere la causa, quindi mi hanno picchiato con un bastone sulla testa senza pietà della mia condizione. Siamo stati respinti in barca dalla parte turca. Siamo stati ricevuti dalla gendarmeria turca, e qui è iniziata la domanda, dov'eri, perché sei tornato da dove sei venuto? Perché sei tornato da noi? Diceva: vorrei essere dimenticato e non essere creato in un mondo che non conosce né umanità né misericordia.

In quel momento ho cercato di nascondersi tra l'erba dopo il fiume fino all'alba, ho camminato fino al primo villaggio turco, e prima ho raggiunto il villaggio' cioè quando ho attraversato il fiume' ho trovato un gruppo di immigrati che mi hanno dato da mangiare e da bere e mi hanno coperto. Mi hanno anche fotografato…poi mi hanno mandato le foto sul mio numero di telefono quando sono arrivato.. Attualmente sono in Turchia e ogni giorno piango perché sono tornata in Turchia nonostante tutte le torture che ho subito. Per Dio, se non avessero detto che il suicidio è proibito, per Dio mi sarei tolto la vita"


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