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Cooperazione & Relazioni internazionali

Putin a Vladivostok: “Ovunque ci sono russi è Russia”

Lunedì scorso, fatto passato inspiegabilmente in secondo piano dai media italiani, Putin ha approvato il concetto di azione umanitaria della Russia all'estero che ha come obiettivo la protezione delle comunità russofone che risiedono negli altri paesi. Di fatto è la riproposizione sotto mentite spoglie della dottrina del "Mondo russo” dottrina già usata in Moldavia e in Georgia,e ora in Ucraina, ma domani potrebbe farlo in Estonia, Lettonia o Kazakistan

di Paolo Bergamaschi

"Le politiche adottate dai leader di Usa e alleati vanno contro gli interessi pubblici che sono chiamati proteggere. Questo dimostra che le élites occidentali sono scollegate dai propri cittadini". Non usa mezze parole Vladimir Putin nel suo discorso dal palco di Vladivostok dove è intervenuto al Forum Economico Orientale. Per trentasette minuti l'autocrate russo si è scagliato contro i paesi che, a suo dire, con le sanzioni adottate contro la Russia minacciano il mondo intero e non rispettano gli impegni presi.

"La nazioni occidentali", ha affermato Putin, "vogliono mantenere il vecchio ordine mondiale, del quale approfittano, per obbligare gli altri a rispettare le regole inventate da loro stessi e che loro stessi regolarmente violano o cambiano" riferendosi implicitamente alla crisi ucraina. E proprio sulla guerra in Ucraina il leader russo non trova di meglio che ripetere la sua logora e stantia narrativa: "Noi non abbiamo iniziato niente in termini di azione militare. L'azione militare è cominciata nel 2014 a seguito di un colpo di stato armato in Ucraina di coloro che non volevano uno sviluppo normale e cercavano di soggiogare il popolo sottoponendo per otto anni a un genocidio i cittadini del Donbass".

Poco importa se le sue tesi sono contraddette dai fatti, in Russia da anni questo non è un problema. La guerra del Donbass secondo stime ufficiose ha causato 13.000 morti ripartite approssimativamente a metà fra i due campi. Il 16 marzo scorso, inoltre, nell'intimare alla Federazione Russa di fermare l'invasione dell'Ucraina la Corte di Giustizia Internazionale dell'Aja ha affermato che non esiste alcuna evidenza a sostegno della giustificazione addotta dal Cremlino per la guerra scatenata, cioè che l'Ucraina stesse commettendo un genocidio contro la popolazione russofona delle regioni orientali.

Lunedì scorso, peraltro, fatto passato inspiegabilmente in secondo piano dai media italiani, Putin ha approvato il concetto di azione umanitaria della Russia all'estero che ha come obiettivo la protezione delle comunità russofone che risiedono negli altri paesi. Un documento di 31 pagine in cui Il Cremlino definisce questa dottrina “una politica umanitaria”. La Federazione russa, si afferma, “fornisce supporto ai suoi connazionali che vivono all'estero” e deve “proteggere, salvaguardare e promuovere le tradizioni e gli ideali del mondo russo”. Di fatto è la riproposizione sotto mentite spoglie della dottrina del "Mondo russo". Russkiy Mir, Mondo Russo è la linea guida seguita dal Cremlino in politica estera negli ultimi anni. "Ovunque ci sono russi è Russia" è la filosofia che sta alla base di questo approccio ultranazionalista che minaccia buona parte degli stati che hanno preso il posto dell'Unione sovietica. In tanti di questi, infatti, si trovano minoranze russofone che Mosca cerca di usare come quinta colonna per ricomporre, almeno in parte, l'impero antico e riaffermare inequivocabilmente l'egemonia e il controllo dell'ex spazio sovietico.

Mosca si riserva il diritto-dovere di intervenire laddove ritiene discrezionalmente che i diritti delle minoranze russe siano violati o a rischio. L'ha già fatto in Moldavia e in Georgia e ora lo sta facendo in Ucraina ma domani potrebbe farlo in Estonia e Lettonia o in Kazakistan, dove risiedono importanti comunità russe. Nessuno può sentirsi tranquillo in questo scenario. Bisogna mettersi nei panni di chi governa in questi Paesi per capire fino in fondo come sia complicato e sensibile affrontare la questione della sicurezza in queste condizioni. Fa un certo effetto, da questo punto di vista, ascoltare nei nostri talk-show, che sembrano più spesso "trash-show", opinionisti di ogni risma che dal pulpito di un provincialismo spocchioso e presuntuoso a 3000 chilometri di distanza pontificano e pretendono di impartire lezioni a finlandesi, svedesi e cittadini delle repubbliche baltiche su come ci si deve comportare con la Russia di Vladimir Putin. Troppo facile e spregiudicato. La comoda posizione geografica falsa la percezione della Russia nell'opinione pubblica italiana che tende a vederla più come un'opportunità che una minaccia. Ma i conti con l'oste poi li pagano i Paesi confinanti mentre noi consumiamo gratis. È paradossale, così, che alla fine di questo conflitto scatenato dal Cremlino per impedire la presunta adesione dell'Ucraina alla Nato, che non era all'ordine del giorno, la Russia si ritroverà con un'alleanza atlantica allargata lungo altri 1300 chilometri di confine. L'architettura europea di sicurezza è in frantumi e va ricostruita anche se non può e non deve essere la guerra a gettare le basi per la pace.

«La situazione che stiamo vivendo in Estonia è quella di "ve l'avevamo detto"», mi racconta l'ex eurodeputato Indrek Tarand da Tallin riferendosi agli avvertimenti lanciati negli anni scorsi dal suo Paese a quelli dell'Europa occidentale. "L'Ucraina non sta difendendo solo se stessa, sta difendendo tutti noi", continua preoccupato, "nessun paese europeo può realisticamente impedire che l'Estonia diventi la prossima vittima del predatore russo". Secondo Tarand fintanto che il battaglione franco-tedesco rimane stazionato a Strasburgo e non a Tallin anche l'Estonia è a rischio. "Se Mosca vincesse", mi dice "non escludo che qualcuno della numerosa minoranza russa nel mio paese possa, subito dopo, provocare incidenti simili a quelli del 2014 nel Donbass (che hanno fatto da preludio all'invasione)". La memoria drammatica dell'occupazione sovietica è ancora ben presente nelle Repubbliche Baltiche. Fa parte della memoria collettiva di noi cittadini europei anche se in Italia si tende, purtroppo, a ignorarlo.


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