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Allo Zen i libri combattono anche la discriminazione

Ha dimostrato che, anche in un quartiere del quale si è sempre parlato per aspetti più legati al disagio, la lettura può diventare strumento di riscatto sociale e culturale. Giunto alla sua terza edizione, lo "Zen Book Festival" ha parlato anche di discriminazione di genere grazie alla presenza di Monica Martinelli, fondatrice della casa editrice “Settenove”, i cui testi riescono a utilizzare un linguaggio universale che raggiunge gli adulti ma anche bambini e bambine

di Gilda Sciortino

Ripensare lo Zen attraverso la lettura, ma soprattutto coinvolgendo grandi e piccini in laboratori, letture ad alta voce e performance per spettatori di ogni età.

Un bel traguardo, per il popolare quartiere palermitano, ribattezzato anni fa “San Filippo Neri” ma mai riconosciuto con questo nome dai suoi abitanti, essere arrivati alla terza edizione dello “Zen Book Festival, manifestazione realizzata in collaborazione con Save The Children Italia, che in una delle insule del quartiere ha un suo punto luce, con l’obiettivo di aprire nuove visioni attraverso la letteratura per ragazzi e ragazze, dalle graphic novel agli albi illustrati a firma di scrittori e case editrici leader o outsider creative nel panorama della letteratura per l’infanzia.

«Quando parliamo di accorciare le distanze – afferma Fabrizio Arena, presidente del “Laboratorio Zen Insieme” – ci riferiamo al processo che porta ad avvicinare il centro alla periferia piuttosto che il contrario. Il quartiere, durante il festival, diventa l’epicentro di cultura, saperi, diritti e lotta agli stereotipi che hanno come protagonisti proprio i suoi abitanti. Tutti fanno la loro parte, bambini, bambine e adolescenti, ma anche genitori, insegnanti, educatori ed educatrici, creando una sinergia che non ha eguali ».

Un quartiere, lo Zen, certamente non facile, soprattutto perché porta con sé la nomea di realtà nella quale la povertà materiale ed educativa ha sempre attratto chi è capace di sfruttare questa condizione per alimentare le casse della criminalità organizzata.

«Lo Zen non è più quello che si raccontava anni fa – aggiunge Maria Romana Tetamo, responsabile degli eventi della Biblioteca Giufà che allo Zen è diventata un punto di riferimento e di aggregazione anche per chi viene da fuori quartiere -. Il festival è la dimostrazione della voglia di riscatto da parte di tutti. Certo, abbiamo ancora tanto da fare per fare capire a chi non abita qui che oggi, ma anche da diverso tempo, è una realtà nella quale potere venire serenamente. Nel momento in cui arriveranno le famiglie, genitori e bambini compresi, avremo vinto. Sono processi lunghi, ci vuole tempo, ma già il fatto che quest'anno partecipi al festival anche Monica Martinelli dimostra che stiamo procedendo sulla giusta strada. Insieme a lei, abbiamo deciso di dare un messaggio chiaro sulle posizioni dell’associazione rispetto ai temi che, in questi ultimi tempi, sono sempre di più al centro di dibattiti, riflessioni e, purtroppo molto spesso, di attacchi. Ci piace pensare che Giufà possa davvero presentarsi come centro nevralgico da cui prende vita una visione politica dove il rispetto di tutti e tutte e l’accettazione delle diversità sia davvero la base per costruire insieme ai bambini e alle bambine una società migliore».

Tra i momenti clou e attesi del festival proprio quello con la Martinelli, fondatrice della casa editrice “Settenove”, nata nel 2013, il cui catalogo è ricco di testi che hanno da sempre portato il loro contributo alla lotta contro la discriminazione di genere. Allo Zen ha incontrato librai e bibliotecari, raccontando il suo percorso editoriale che intreccia letteratura, attivismo e formazione.

«Il nostro catalogo ha un format che prevede sia libri per l'infanzia sia di formazione e di sensibilizzazione per adulti – spiega l'energica editrice – perché in realtà le questioni di genere sono questioni di rapporti di potere. Bisogna abbandonare il pensiero che certi atteggiamenti siano normali e non culturali, come in effetti sono, e che si può scardinarli anche solo rendendosene conto. Con i bambini e le bambine si lavora molto con le storie perché si possono offrire punti di vista differenti. Lo facciamo con libri i cui temi si sviluppano attraverso tante personalità, tanti corpi, tante forme di relazione, semplicemente rappresentandoli per scardinare pregiudizi e contribuire a creare un immaginario più libero, anche se filtrato. Per parlare di disabilità ai bambini inseriamo spesso dei personaggi con disabilità, non necessariamente principali, che vivono in mezzo a tanti altri. In questo modo si può essere ancora più potenti. Lo dico perché i disabili solitamente non si vedono nei libri sussidiari o nelle sgorie che raccontano la vita quotidiana».

Difficile scardinare stereotipi che si pensa appartengano a determinate categorie di persone.

«La violenza di genere rappresentata dalla discriminazione – prosegue l’editrice – è assolutamente democratica. Noi ne parliamo con la forza di una casa editrice di nicchia, alla quale negli anni si sono avvicinate sempre più persone. Dopo la nostra nascita si è cominciato a parlare di gender, proponendo libri scolastici che manipolavano la mente dei bambini e delle bambine. Adesso se ne discute di più e ne siamo lieti ».

Come mai la scelta di Settenove come nome per la casa editrice?

«È intanto la celebrazione del 1979, quando è nata la CEDAW, la onvenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, identificando per la prima volta lo stereotipo di genere come seme della violenza. Non volevo che fosse un nome immediatamente riconoscibile, ma che si potesse scoprire piano pano. Tra l'altro, nel 1979 è stato proiettato il famoso processo per stupro che ha dato vita a un movimento fantastico che ha aperto la strada a tante battaglie e conquiste. Abbiamo fatto tanta strada, così come l’ha fatta questo festival e come ne dovremo fare tutti insieme ancora».