Sostenibilità sociale e ambientale

Cento milioni di migranti forzati, il clima è la prima causa

Il Dossier statistico Immigrazione 2022 di Idos, redatto in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di studi politici “S. Pio V”, certifica che una persona su 78 è costretta a lasciare la propria casa a causa di guerre, carestie e avversi eventi climatici. Alla fine del 2021 si contavano già 89,3 milioni di migranti forzati (+8% rispetto al 2020). Quest’anno superata la soglia dei 100 milioni. In Italia e in Europa ai migranti forzati per cause climatiche non viene riconosciuto lo status di rifugiato. Tra i Paesi più colpiti figurano la Cina, le Filippine e l’India

di Redazione

Una persona su 78, nel mondo, è costretta a lasciare la propria abitazione per andare altrove, in cerca di migliore fortuna. Alla fine del 2021, si contavano 89,3 milioni di migranti forzati (+8% rispetto al 2020), ma quest’anno è stata superata la soglia dei 100 milioni anche a causa del conflitto in Ucraina. Nel Dossier statistico Immigrazione 2022, a cura del Centro studi e ricerche “Idos” in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di studi politici “S. Pio V”, si individuano anche i migranti forzati per cause climatiche, il cui numero resta per lo più non dichiarato visto che in Italia e in Europa a loro non viene riconosciuto lo status di rifugiato. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), negli ultimi 15 anni i disastri naturali sono stati la causa principale della maggior parte degli sfollamenti interni. Solo nel 2021 sono stati registrati 23,7 milioni di nuovi sfollati per cause ambientali, contro i 14,3 milioni prodotti dalle guerre: una proporzione che induce a un’attenta riflessione da parte di tutti i governi. Tra i Paesi più colpiti figurano la Cina, le Filippine e l’India.

Secondo la Banca mondiale, entro il 2050 i migranti ambientali potrebbero arrivare a quota 220 milioni. Gli sfollati del clima sono invisibili per la legge, ma già presenti anche nei Paesi ad alto reddito, come quelli europei. “Va però sottolineato – si legge nel rapporto – che l’impatto del cambiamento climatico non è uguale per tutti. Una maggiore vulnerabilità può essere ricondotta sostanzialmente a tre fattori principali: geografico (vivere in aree più fragili e maggiormente esposte agli effetti del riscaldamento globale); socio-economico (assenza di risorse e servizi, ma anche incapacità di adattarsi o prevenire gli impatti della crisi climatica-ambientale); fisiologico (specificità di singole categorie, come bambini, donne e anziani). In sintesi, a essere colpiti sono soprattutto i Paesi poveri e i poveri che vivono nei Paesi ricchi”.

Restringendo lo sguardo ai flussi migratori verso l’Italia, le nazionalità dichiarate dai migranti sono riconducibili ai Paesi che maggiormente stanno soffrendo la pressione del cambiamento climatico. Nel 2021, tra i primi Paesi di origine, troviamo: Tunisia, Egitto, Bangladesh, Afghanistan, Siria, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea, Pakistan e Iran. “Parliamo di Paesi dipendenti dal grano russo e ucraino e aree del mondo allo stremo per la siccità intervallata da alluvioni, l’innalzamento delle temperature medie e le conseguenti carestie che stanno affamando decine di milioni di persone”, sottolinea il Dossier Idos. “A far crescere il numero degli sfollati, infatti, ci sono i conflitti disseminati in tutto il mondo, che non provocano solo morti, sfollati e distruzione di intere città, ma generano un forte impatto ecologico che peserà anche sulle future generazioni. Ne è un esempio il conflitto in Ucraina, che ha innescato anche un’altra guerra, molto subdola, quella del grano e dei cereali, che a sua volta rischia di peggiorare la già precaria sicurezza alimentare in diversi Paesi del mondo e il cui effetto sui prezzi delle materie prime alimentari potrebbe farsi sentire a lungo termine (Russia e Ucraina, secondo i dati della Fao, producono il 12% di tutte le calorie alimentari importate ed esportate a livello globale, controllando il 29% dell’export totale di grano). La dipendenza dal grano proveniente dai due Paesi belligeranti, unitamente alla crisi climatica in corso – in particolare per quanto riguarda il Medio Oriente, l’Africa settentrionale e quella subsahariana – minaccia quindi di aumentare la spinta migratoria dalla sponda Sud del Mediterraneo”.

Ad accogliere l’esodo di milioni di sfollati sono, principalmente, Paesi con risorse precarie e a loro volta fragili anche da un punto di vista ambientale. Nel 2021, l’83% dei rifugiati è stato accolto in Paesi a reddito basso o medio. Eppure, negli Stati più ricchi e maggiormente responsabili della crisi climatica continua a diffondersi un allarmismo sull’arrivo in massa di profughi climatici. “Sempre più denaro pubblico – fa notare il Dossier – viene speso per militarizzare i confini piuttosto che per ridurre le cause del disastro climatico, alimentando il cosiddetto global climate wall, un muro climatico globale, fatto di ingenti investimenti economici per barriere, droni, tecnologie di sorveglianza, a detrimento degli aiuti necessari ai Paesi più vulnerabili per mitigare e adattarsi al cambiamento climatico. Inoltre, l’invasione russa in Ucraina e la conseguente crisi dei prezzi del gas hanno riacceso in Europa i riflettori sui rischi legati alla dipendenza energetica dall’estero (la Russia è il primo esportatore mondiale di gas naturale e il secondo esportatore di petrolio) e spinto diversi Paesi a riaprire le centrali a carbone o a pensare di autorizzare nuove trivellazioni per estrarre combustibili fossili o, ancora, a considerare l’energia nucleare come la soluzione ai problemi energetici. Tutte scelte che ci allontanano dalla riduzione delle emissioni di CO2, prima causa del cambiamento climatico”.

«Ingiustizia climatica e ingiustizia sociale – è il commento del presidente di Idos, Luca Di Sciullo – si saldano e la migrazione diventa l’unica strategia di adattamento per chi non ha altra alternativa che fuggire dalla povertà in tutte le sue forme. Non basta evitare i conflitti per risolvere la questione delle migrazioni forzate; è anche necessario imparare a convivere in maniera più sostenibile con il nostro pianeta, rovesciando l’attuale modello di sviluppo e ragionando concretamente sul diritto a migrare».


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