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Zuppi: non possiamo abituarci a convivere con la guerra

Il Cardinale arcivescovo di Bologna e presidente dei Vescovi, ha aperto ieri con una sua introduzione i lavori della sessione invernale del Consiglio Cei parlando di pace e di come essere pacificatori: «Il mondo deve porre fine a questa guerra e affrontare seriamente gli altri conflitti aperti, che sono meno sotto gli occhi di tutti, ma pure così dolorosi. Con sgomento assistiamo all’uccisione dei sogni delle giovani generazioni»

di Redazione

Il Cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente dei Vescovi, ha aperto ieri con una sua introduzione i lavori della sessione invernale del Consiglio Cei. Qui il passaggio sulla pace.

«Non possiamo abituarci a convivere con la guerra in Ucraina. Non possiamo accettare l’indifferenza, evidente o raffinata, come se la guerra fosse una malattia ineluttabile. Papa Francesco – cui inviamo la manifestazione del nostro affetto, della nostra comunione e del nostro comune sentire – ha affermato con il suo profondo pathos per la pace: «…con la guerra siamo tutti sconfitti! Tutti noi, in qualsiasi ruolo, abbiamo il dovere di essere uomini di pace. Nessuno escluso! Nessuno è legittimato a guardare da un’altra parte». Ribadiamo la necessità della pace e l’urgenza di raggiungerla innanzitutto per amore del popolo ucraino! Ogni giorno che passa significa morte, lutto, odio. La guerra è terribile, contagia nel mondo globale, provoca tante sofferenze nel mondo intero, come vediamo con la crisi alimentare che fa pagare un prezzo a popolazioni inermi e lontane, causa un riarmo preoccupante e pericolose, insieme a ricadute belliche in altre parti del mondo come la Siria o il Caucaso. Il mondo deve porre fine a questa guerra e affrontare seriamente gli altri conflitti aperti, che sono meno sotto gli occhi di tutti, ma pure così dolorosi. Con sgomento assistiamo all’uccisione dei sogni delle giovani generazioni e sentiamo il dovere di esprimere la solidarietà verso questa gente che chiede libertà e giustizia. Sorge la domanda profonda e urgente per tutti, specialmente per i credenti: che significa essere uomini e donne di pace? Cosa significa educare alla pace ed essere artigiani di pace?

Il Papa ci offre un esempio con le sue parole e i suoi gesti. I suoi insistenti inviti, le sue riflessioni e appelli, la sua commozione nel giorno dell’Immacolata esprimono l’ansia personale e l’urgenza della pace. Nel recente discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (12 gennaio 2023), il Papa ha ricordato che la pace è possibile alla luce di quattro beni fondamentali: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà. Ma l’interrogativo riguarda la Chiesa e noi tutti. Anzitutto la nostra preghiera, lamento di intercessione innanzi a Dio e protesta contro la guerra. Le nostre comunità, le nostre liturgie domenicali, debbono risuonare insistentemente di preghiera per la pace. Mai dimenticare la forza della preghiera: questa dimensione orante, tanto decisiva nella Chiesa che Clemente di Alessandria chiamava eirenikòn genos, una stirpe pacifica. (…) Quest’anno si compiono i settantacinque anni della Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, nata dal ripudio del fascismo e della guerra, ma anche dalla volontà di guardare insieme il futuro. Varie riforme sono possibili e in discussione, ma la principale resta viverne lo spirito e applicarla fino in fondo e in tutte le sue parti. Non è difficile vedere in essa il sentire comune profondo proprio della Dottrina Sociale della Chiesa».


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